19 settembre 2006

Montale: la quinta stagione

A venticinque anni dalla morte escono cinquanta nuove poesie: un ritratto diverso del Premio Nobel
di Dario Fertilio
Pessimista e nemico di ogni certezza: così il poeta si congedò dall’esistenza
La quinta stagione di Eugenio Montale, l’ultima e inedita, ritorna a noi dopo un quarto di secolo. Rivive attraverso poesie amare, pessimistiche, tentate addirittura dal nichilismo; eppure, al tempo stesso, animate dal sentimento giocoso dell’autoironia, quasi dal desiderio di concedersi un ultimo sorriso prima di congedarsi dalle debolezze del mondo. È un libro curato da Renzo Cremante, direttore del Centro manoscritti dell’università di Pavia, a restituirci questi scritti dimenticati, scartati o perduti del Premio Nobel per la letteratura del 1975. Ne emerge, come in un videoclip di cui si fosse ignorata l’esistenza, l’immagine del poeta senex, il letterato che ha già ottenuto tutto dalla vita (anche gli onori della politica con il titolo di senatore a vita, nel ‘67) e che però, giunto agli ottant’anni, guarda senza più entusiasmi né certezze allo scorrere degli eventi. Ma tutto questo avviene giorno per giorno, con partecipazione attenta, per lo più attraverso la lettura del Corriere, commentando le scoperte scientifiche e gli scandali, le novità artistiche e le risibili pretese ideologiche delle varie "chiese" (cattolica, marxista, freudiana eccetera). Il libro, che uscirà in ottobre per Mondadori e che porta anche la firma di Gianfranca Lavezzi, deve il titolo La casa di Olgiate alla più lunga poesia della raccolta, l’unica che risalga al ‘63, scritta dunque quando la vecchiaia era ancora lontana, e notevole soprattutto perché vi compare una misteriosa donna, evocata dal "tu", che farà certamente discutere i critici montaliani per l’indeterminatezza della sua identità. Ma il senso complessivo del nuovo materiale poetico, giunto a Pavia per volontà di Gina Tiossi (la donna che gli rimase più vicina negli ultimi anni) è quello di delineare, come sottolinea Renzo Cremante, la «quinta stagione» del poeta. «Dopo il primo tempo degli Ossi di seppia, i due seguenti delle Occasioni e della Bufera, dopo l’intervallo di silenzio che precedette il quarto, cioè la stagione diaristica e "comica" di Satura, qui ci addentriamo - sottolinea Cremante - in un terreno parzialmente diverso. Da queste pagine ci viene incontro un poeta vecchio, concentrato su testi brevi, epigrammatici; un uomo che segue la cronaca e le vicende contemporanee e su queste innesta le grandi domande supreme, le interrogazioni perpetue, una specie di suo dialogo personale con la fine del mondo». Come si può vedere anche dalle tre poesie che pubblichiamo in questa pagina, l’ultima stagione di Montale si svolge sotto il segno della «incompiutezza». «Nel senso che non si preoccupava della loro perfezione formale - spiega Cremante - spesso offrendo spunti e temi capaci di avere sviluppi diversi, ma che qui finiscono con il conseguire una loro autonomia, fino a trasformarsi in qualcosa di più che semplici varianti. La stringatezza esteriore non toglieva nulla alla serietà dei temi: lo scetticismo di fronte alle grandi scoperte scientifiche, un pessimismo radicale sull’avvenire, la coscienza della sua solitudine personale di fronte al mondo». Non che Montale, in questi suoi ultimi anni, facesse vita di eremita: la casa di via Bigli era frequentata da letterati e amici, e ogni tanto c’erano i brevi soggiorni in Versilia a Forte dei Marmi (proprio a una di queste circostanze, richiamata dalla «camera d’affitto» e dalla lettura del Corriere, si riferisce una delle poesie presenti in questa pagina). Certo però il suo scetticismo individualistico lo teneva lontano dai grandi miti collettivi: «In questi versi si conferma un liberale agnostico, senza concessioni e senza certezze», commenta Renzo Cremante. È questo dunque il filo che collega la divertita raffigurazione dell’universo come «un sigaro avana/ che si fuma da sè/ ma sul piattino resta la cenere»; l’idea del nostro mondo simile a uno dei tanti buchi neri disseminati nello spazio (anche se aggiunge: «io credo che il più nero/ sia abitato da noi»); l’ironia sull’arte d’avanguardia a buon mercato («Si può essere celebri/ bruciacchiando un asciugamano/ con un accendisigari o altro»); lo sberleffo alla scienza, accomunata alla teologia, all’astrologia «e altre balle». Il pessimismo, dunque, radicale e applicato per primo a se stesso. «Eppure proprio la libertà dagli scrupoli formali - commenta Cremante - consente al Montale di quest’ultima stagione il ritorno ai suoi privati fantasmi del passato: Mosca, la moglie scomparsa, e anche Clizia». Il «nuovo Montale», dunque, è antico e più che mai fedele a se stesso: anche dove la debolezza rende incerta, e a tratti incomprensibile, la sua scrittura. «A contatto con la cronaca sembrano scorrere lentissime, interminabili, le giornate del poeta - conclude Cremante - eppure ogni particolare qui trova il suo posto». Come se, sottraendo il superfluo, questi versi estremi ci restituissero i temi più autentici, la trama profonda della sua anima.
«Corriere della sera» dell’8 settembre 2006

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