di Massimo Gramellini
Qualcuno dovrebbe spiegarmi la logica dell'indulto. Hanno messo fuori dalle patrie galere oltre ventimila persone, molte delle quali perdute. Spiegazione prevalente: le carceri scoppiano. Anche gli ospedali, ma non per questo si buttano i malati in pigiama per la strada (non tutti insieme, almeno). La domanda giusta era un'altra: saremo in grado di reggere l'onda d'urto di un simile esercito di disperati? Ma in Italia preoccuparsi delle conseguenze di una decisione è considerato un gesto di ostilità ai limiti dell'ostruzionismo. Tutti liberi, allora: senza un piano di reinserimento per gli ex galeotti, né uno di protezione per i cittadini. Forse i nostri governanti pensavano che una volta in libertà i tossici avrebbero cominciato a farsi di cioccolato fondente. Sorpresa, succubi della droga erano e succubi sono rimasti. Ma non avendo un lavoro, per procacciarsi la roba si sono rimessi a rubare. Effettivamente ci voleva un genio per prevederlo.
Così l'esercito dei miracolati si è riversato nelle città, dove sono subito aumentati gli scippi, i furti, le rapine e le aggressioni. Un caso di violenza, due omicidi. E per poliziotti e carabinieri è ricominciata la fatica di Sisifo: rimandare in galera chi ci stava. Ne sono già stati riacciuffati quasi mille. Fra qualche mese saranno di nuovo tutti dentro, in attesa del prossimo indulto. Se questo era stato creato per alleviare la pena a Previti o a qualche altra eccellenza, meglio sarebbe che in futuro i politici fossero meno timidi e avessero il coraggio di votarsi una legge valida solo per se stessi. La figuraccia sarebbe identica, ma i danni più contenuti.
«La Stampa» del 24 ottobre 2006
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