Boncinelli, niente dietrologie
di Francesco D'Agostino
Accusare non è mai gradevole. Ancora più sgradevole, però, è essere accusati. Ancor più quando gli accusatori sono scienziati (come ha fatto ieri sul «Corriere» Edoardo Boncinelli) e gli accusati tutti coloro che, pur rispettando profondamente la scienza e pur riconoscendone tutti gli autentici meriti, non assumono però nei suoi confronti quell'atteggiamento di soggezione, e - diciamolo pure - di venerazione, che con un bel po' di tracotanza certuni tra gli scienziati pensano sia doveroso nei confronti della scienza, in nome dei suoi indiscutibili meriti. Che si riassumerebbero essenzialmente in tre punti: la scienza aiuta l'umanità a progredire nel sapere; le reca innumerevoli benefici a seguito delle tecnologie che essa consente di elaborare; e infine, mettendo a disposizione dell'umanità in modo esemplare il suo stile di lavoro e il suo metodo critico, contribuisce in modo essenziale al diffondersi di quel bene, oggi irrinunciabile, che è il metodo democratico.
Ora, per quel che riguarda i meriti della scienza, è indubbio che le cose stiano così, ma non del tutto. E gli scienziati, poiché amano o dovrebbero amare la precisione e il rigore sopra ogni cosa, dovrebbero essere i primi ad ammetterlo. La scienza produce conoscenza? È indubbio! Produce conoscenze preziosissime. Ma non produce, né sarà mai in grado di produrre, tutte le conoscenze: esistono dimensioni del sapere (quelle estetiche, quelle morali, quelle affettive, quelle in cui si condensa l'esperienza di vita, quelle in sintesi che hanno dimensioni personali) che sono autentiche, ma non riducibili alle conoscenze scientifiche (che sono invece per loro natura oggettive, formali, astratte, necessariamente impersonali). La scienza produce utilissime applicazioni pratiche? È indubbio! Ed è da sciocchi parlarne male o anche solo minimizzarle.
La scienza però - e gli scienziati sono i primi a saperlo -- non è in grado, di per sé, di discriminare un'applicazione pratica che promuova il bene umano ( come una terapia) da un'applicazione pratica che gli faccia invece violenza (come una manipolazione).
Ed arriviamo infine al cuore del problema. La scienza ha un suo metodo: educa allo spirito critico, non dà nulla per scontato, è attenta alle argomentazioni dell'altro, è sempre disponibile ad essere criticata (in sintesi: è un sapere strutturalmente antidogmatico).
Uno scienziato che abbia letto solo qualcosa di Platone ammetterà che questo, prima ancora che di Galileo, è lo spirito di Socrate. È ovvio che Galileo ha aggiunto qualcosa a Socrate, ma proprio questo qualcosa è ciò che, mentre potenzia la scienza come sapere oggettivo, la impoverisce come sapere umano: è lo sguardo circoscritto, che coglie dei fenomeni solo la dimensione estrinseca e lascia cadere la domanda di senso. Torna alla mente la vicenda grottesca narrata da Musil (che, ricordiamocelo, di scienza se ne intendeva) in quell'opera capitale del Novecento che è L'uomo senza qualità: al marito che piange la morte improvvisa e inaspettata della moglie, e gemendo si chiede ad alta voce: Perché sei morta?, lo scienziato (o meglio lo scientista di turno) risponde meravigliato in un modo che è assieme scientificamente esatto ed umanamente assurdo: Caro Signore, ecco la risposta alla sua domanda: sua moglie è morta per arresto del cuore. L'incapacità - tutta scientifica - di percepire le domande di senso non va imputata alla scienza, ma a coloro (gli scientisti) che pensano che poiché la risposta a tali domande non è riconducibile alla logica della scienza, queste domande vanno a loro volta ritenute prive di senso.
Chi mostra i limiti costitutivi della scienza non è un nemico dello spirito critico, né meno che mai del progresso del sapere o dei benefici che la tecnologia ha apportato e continuerà ad apportare al genere umano. Lo spirito critico sta a cuore a tutti gli uomini che amano il sapere, perché senza spirito critico non c'è sapere di sorta.
Gli scienziati dunque si tranquillizzino e rinuncino a sterili dietrologie; chi vuole mostrare i limiti della scienza non è un nemico né della democrazia, né a maggior ragione della scienza: è piuttosto chi con Pascal (un altro che di scienza se ne intendeva!) è convinto che solo chi ama la verità è in grado di conoscerla. Nell'amore si fondono la logica dell'intelletto e quella del cuore: ambedue le logiche devono starci a cuore, perché solo grazie al loro equilibrio si può generare il bene dell'uomo.
Ora, per quel che riguarda i meriti della scienza, è indubbio che le cose stiano così, ma non del tutto. E gli scienziati, poiché amano o dovrebbero amare la precisione e il rigore sopra ogni cosa, dovrebbero essere i primi ad ammetterlo. La scienza produce conoscenza? È indubbio! Produce conoscenze preziosissime. Ma non produce, né sarà mai in grado di produrre, tutte le conoscenze: esistono dimensioni del sapere (quelle estetiche, quelle morali, quelle affettive, quelle in cui si condensa l'esperienza di vita, quelle in sintesi che hanno dimensioni personali) che sono autentiche, ma non riducibili alle conoscenze scientifiche (che sono invece per loro natura oggettive, formali, astratte, necessariamente impersonali). La scienza produce utilissime applicazioni pratiche? È indubbio! Ed è da sciocchi parlarne male o anche solo minimizzarle.
La scienza però - e gli scienziati sono i primi a saperlo -- non è in grado, di per sé, di discriminare un'applicazione pratica che promuova il bene umano ( come una terapia) da un'applicazione pratica che gli faccia invece violenza (come una manipolazione).
Ed arriviamo infine al cuore del problema. La scienza ha un suo metodo: educa allo spirito critico, non dà nulla per scontato, è attenta alle argomentazioni dell'altro, è sempre disponibile ad essere criticata (in sintesi: è un sapere strutturalmente antidogmatico).
Uno scienziato che abbia letto solo qualcosa di Platone ammetterà che questo, prima ancora che di Galileo, è lo spirito di Socrate. È ovvio che Galileo ha aggiunto qualcosa a Socrate, ma proprio questo qualcosa è ciò che, mentre potenzia la scienza come sapere oggettivo, la impoverisce come sapere umano: è lo sguardo circoscritto, che coglie dei fenomeni solo la dimensione estrinseca e lascia cadere la domanda di senso. Torna alla mente la vicenda grottesca narrata da Musil (che, ricordiamocelo, di scienza se ne intendeva) in quell'opera capitale del Novecento che è L'uomo senza qualità: al marito che piange la morte improvvisa e inaspettata della moglie, e gemendo si chiede ad alta voce: Perché sei morta?, lo scienziato (o meglio lo scientista di turno) risponde meravigliato in un modo che è assieme scientificamente esatto ed umanamente assurdo: Caro Signore, ecco la risposta alla sua domanda: sua moglie è morta per arresto del cuore. L'incapacità - tutta scientifica - di percepire le domande di senso non va imputata alla scienza, ma a coloro (gli scientisti) che pensano che poiché la risposta a tali domande non è riconducibile alla logica della scienza, queste domande vanno a loro volta ritenute prive di senso.
Chi mostra i limiti costitutivi della scienza non è un nemico dello spirito critico, né meno che mai del progresso del sapere o dei benefici che la tecnologia ha apportato e continuerà ad apportare al genere umano. Lo spirito critico sta a cuore a tutti gli uomini che amano il sapere, perché senza spirito critico non c'è sapere di sorta.
Gli scienziati dunque si tranquillizzino e rinuncino a sterili dietrologie; chi vuole mostrare i limiti della scienza non è un nemico né della democrazia, né a maggior ragione della scienza: è piuttosto chi con Pascal (un altro che di scienza se ne intendeva!) è convinto che solo chi ama la verità è in grado di conoscerla. Nell'amore si fondono la logica dell'intelletto e quella del cuore: ambedue le logiche devono starci a cuore, perché solo grazie al loro equilibrio si può generare il bene dell'uomo.
«Avvenire» del 31 ottobre 2006
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