TECNOLOGIA - Uno studio della Rand Corporation lancia l’allarme sul paradosso legato allo sviluppo informatico e biotecnologico. Che allarga il solco tra Paesi ricchi e poveri, perché immettere innovazione in situazioni culturalmente arretrate è come seminare nel deserto. Mentre altrove il progresso può risultare esplosivo
di Stefano Gulmanelli
Il prossimo futuro vedrà un Pianeta ancora tagliato in quattro fette: le nazioni «scientificamente avanzate», «competenti», «emergenti» e «ritardatarie»
Pioverà sul bagnato, verrebbe da dire. A dispetto delle rassicurazioni di analisti ed esperti sul ruolo che la tecnologia può avere nel diminuire, se non proprio chiudere, il divario fra ricchi e poveri nel mondo, uno studio di Rand Corporation (uno dei think tank più accreditati al mondo) prevede l'esatto opposto: i maggiori benefici dell'imminente ondata di innovazione tecnologica li avranno coloro che vivono nei Paesi sviluppati, mentre a chi appartiene a realtà già di per sé svantaggiate resteranno le briciole, in termini di miglioramento della qualità della vita indotta dalla tecnologia. «Il mondo è nel pieno di una rivoluzione tecnologica globale che nei prossimi 15 anni accelererà, con effetti ancora maggiori rispetto ad oggi sulle varie dimensioni della vita delle persone» è l'incipit dello studio condotto da Richard Silberglitt e da un gruppo di analisti di Rand (The Global Technology Revolution 2020). E proprio per verificare l'impatto che questo tsunami tecnologico potrà avere sulle varie realtà del mondo gli autori hanno scelto 29 Paesi rappresentativi per regione d'appartenenza, dimensione e status socio-economico al fine di valutarne la capacità di assorbire 16 applicazioni tecnologiche ritenute di probabile disponibilità nel 2020. Tecnologie già oggi note nella loro potenzialità e che per divenire di ordinaria fruibilità necessitano tutt'al più di perfezionamenti tecnici o di riduzioni di costo che generino la richiesta spontanea per farle decollare sul mercato. Ebbene, rispetto alla possibilità di metabolizzare queste innovazioni tecnologiche, l'insieme dei 29 Paesi finisce per sgranarsi come un gruppo ciclistico (vedi la tabella). In testa vengono a trovarsi quelli che Rand battezza «scientificamente avanzati»: l'Occidente e le sue propaggini Australia e Israele, con l'aggiunta piuttosto ovvia di Giappone e Corea del Sud. In questi Paesi, dice Rand, non vi sono virtualmente limiti all'implementazione di ognuna delle opzioni tecnologiche in arrivo, se non - come sottolinea Silberglitt (vedi intervista a fianco) - quelli che le società in questione potrebbero autoimporsi per motivi etico-culturali. Segue il drappello dei proficient (alla lettera «competenti») - nel quale si ritrovano tre giganti del calibro di Cina, India e Russia, oltre alla Polonia a rappresentare l'Europa Orientale - che nel 2020 saranno in grado di offrire ai propri cittadini tutta la palette tecnologica possibile, eccezion fatta per le 4 tecnologie il cui livello di capacità tecno-scientifica richiesto per l'implementazione è massimo: la coltura biogenetica dei tessuti, l'accesso «ovunque e comunque» all'informazione, la totale pervasività di sensori e network di monitoraggio delle aree pubbliche e gli apparati computerizzati da indossare come oggi indossiamo lo spolverino prima di uscire. Arranca, pur con dignità, il terzo gruppo: i Paesi «tecnologicamente emergenti», ovvero quasi tutti quelli latino-americani, l'Indonesia, la Turchia e il Sudafrica. Qui saranno infatti a portata di mano prodotti di una qualche raffinatezza tecnologica quali i kit di rilevamento istantaneo di agenti biologici e patogeni, le auto ad alimentazione ibrida e i processi di produzione "verde" (che minimizzano o eliminano gli scarti e i materiali di risulta tossici). Opzioni cui non avranno invece accesso i «ritardatari tecnologici», vale a dire la coda del gruppo alla quale sono destinati Paesi come Ciad, Kenya e Camerun (rappresentanti l'Africa subsahariana con l'eccezione sudafricana), Egitto, Iran e Giordania (in nome e per conto del Medio Oriente - Israele esclusa), Pakistan e Nepal, esponenti di quell'Asia mai lambita dal riscatto promosso dalle «tigri asiatiche», per chiudere con le Fiji, la Georgia e la Repubblica Domenicana, nella lista invece del «resto del mondo che conta poco». Quello cioè in cui la tecnologia regalerà tutt'al più energia solare a buon mercato, prodotti agricoli geneticamente modificati, processi di purificazione delle acque, metodi di costruzione delle case ecocompatibili ed economici e la comunicazione senza fili in ambiente rurale. Una serie di opportunità certamente non di poco conto ma che, avverte Rand, non impedirà che la distanza fra la testa e la coda del gruppo aumenti - e di molto - rispetto ad oggi.
«Avvenire» del 15 ottobre 2006
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