I «Racconti matematici» sul rapporto fra letteratura e aritmetica
di Annalisa Gimmi
Sarà una costruzione tridimensionale, la fortezza d’If in cui Edmond Dantès è rinchiuso da anni e da cui l’Abate Faria ha già cercato innumerevoli volte di fuggire, sbucando invece dai suoi cunicoli in celle sempre più interne, sempre più lontane dalla tanto agognata libertà? O non sarà piuttosto un universo con dimensioni infinite, prigione non solo in muratura, e inviolabile in quanto al di fuori di ogni logica umana? È questo che si chiede lo stesso Dantès nella sua cella ascoltando i rumori che provengono dall’esterno, che gli riesce sempre più difficile localizzare nello spazio. Si tratta del racconto Il conte di Montecristo di Italo Calvino, ripubblicato di recente da Einaudi in un volume di Racconti matematici, dedicati alla difficile relazione tra letteratura e scienza dei numeri.
Tradizionalmente si pensa che il rapporto tra letteratura e matematica sia difficile, talora impossibile. L’arte dello scrivere, con i suoi slanci di fantasia, e la scienza dei numeri, invece così precisa e fredda nella sua astrattezza, sembrano del tutto inconciliabili. Ma questa facile affermazione può essere agilmente contraddetta. In effetti, la matematica ha da sempre esercitato un grandissimo fascino sulle altre discipline della mente umana. Anzi, si può dire che sia l’impalcatura su cui è costruita l’intera esistenza, e quindi nessun ambito del pensiero e della vita può prescinderne. Si pensi alla coincidenza tra matematica e ritmo, e a come la musica, arte evanescente per eccellenza, si basi proprio su rigide scansioni frazionali; o ancora come le regole della prospettiva e dei rapporti di misura in pittura sia fondamentale per un’opera d'arte. E ancora l’architettura, il metro poetico, il pulsare della danza, addirittura (come ricorda Musil) la strategia militare, e... la filosofia. Certo. Anche la filosofia. E non solo perché all’origine del pensiero matematico ci sono studiosi a cui sono ugualmente debitrici le due discipline, ma perché concetti come lo zero (il nulla, il vuoto), ma soprattutto l’infinito, scivolano ampiamente nella filosofia. Il «tendere di una curva all’infinito», che porta a una approssimazione sempre più vicina allo zero altri rapporti (senza peraltro mai annullarli del tutto); oppure l’idea dell’infinito numero di punti individuabili su una retta o di rette su un piano; o ancora lo stesso concetto di infinità dei numeri: si tratta di rappresentazioni mentali che sfuggono alla sfera della nostra esperienza, e sono quindi comprensibili solo per «illuminazioni» della mente, molto simili ai ragionamenti filosofici.
E la letteratura, o - per essere più precisi - la narrativa? Da un punto di vista «strutturale» si può dire (come suggerisce Claudio Bartocci, il curatore della raccolta) che uno scrittore crea «mondi possibili», proprio come il matematico colloca in uno spazio astratto («possibile») i propri elementi. Poi è innegabile che la letteratura ha mutuato dalla matematica vari termini della narratologia (ad esempio proprio la «struttura» di un racconto), ma anche della retorica (si pensi all’iperbole, simile nella realizzazione alle arditezze della curva algebrica), senza poi trascurare il fatto che tutte le costruzioni della matematica si basano su degli elementi fondamentali, i numeri, così come la letteratura si basa sulle infinite combinazioni delle parole e delle lettere.
Ma quello che viene considerato nella raccolta in questione è soprattutto la scelta di temi matematici come oggetto di narrazione. Questo non è semplice. E soprattutto è prerogativa di generi letterari ben definiti. La fantascienza, innanzitutto, e anche il racconto dell’assurdo, oppure è oggetto dell’interesse di alcuni gruppi di scrittori sperimentali che tentano nuove vie, come il gruppo dell’OULIPO a cui aderì lo stesso Calvino. Borges e Asimov, Brown e Buzzati, Musil e Queneau. Ventiquattro autori per una trentina di racconti svolti sul filo della logica matematica più spinta. Oppure, racconti che vedono come protagonisti geni della matematica. Il fascino di un Pitagora, di un Archimede o, molto più vicini a noi, di un von Neumann o di un Turing ne hanno fatto personaggi letterari, che dopo aver vissuto nel «mondo possibile» dei loro pensieri, ora rivivono nel «mondo possibile» della fantasia di uno scrittore.
«Il Giornale» del 17 ottobre 2006
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