di Marina Corradi
Che il Parlamento europeo si sia pronunciato a favore della ricerca sulle staminali tratte dagli embrioni, e l'abbia fatto nella forma più permissiva tra quelle che aveva a disposizione, è certamente una sconfitta. Ora il testo tornerà al Consiglio dei ministri e, se approvato integralmente - se i Paesi contrari alle manipolazioni embrionali, come l'Italia fino al ritiro della firma da parte del ministro Mussi, non si interporranno - diventerà operativo. Una brutta giornata per l'Europa, dunque, di quelle che forse un giorno potrebbero essere ricordate nei libri di storia: quel giorno di giugno del 2006, in cui il Parlamento europeo decise che si poteva fare, del principio dell'uomo, materia da laboratorio. Ma la sconfitta non deve impedire di riconoscere alcuni segnali che pure ci sono in questo voto di Strasburgo. Si è perso, ma non in uno di quei risultati tranchant e senza appello che fan capire come la volontà popolare stia da tutt'altra parte. Il Parlamento è risultato quasi spaccato. L'emendamento Gargani al Settimo programma di ricerca - quello più netto nel fermare le sperimentazioni - ha raccolto 238 voti su 565 votanti, che non sembrano così pochi. L'emendamento Niebler, quello su cui sono affluiti in seconda battuta i voti di cattolici e moderati, trattandosi del compromesso più accettabile, ha perso, ma per soli 19 voti di scarto. La vittoria della proposta più permissiva, l'emendamento Ltre, che elimina ogni limite alla data di produzione degli embrioni sovrannumerari utilizzabili, è passato con un vantaggio di 45 voti. Non sono numeri da débâcle. Sono cifre, tuttavia, che fanno riflettere. La prima considerazione è che, a seguire il dibattito europeo sui media, e anche in aula - vista la rumorosità dei fautori della ricerca libera - si aveva l'impressione d'essere, noi contrari a u sare le staminali embrionali per ipotetici e tutti da dimostrare benefici alla comune salute, dei sopravvissuti, dei rimasti indietro, degli assediati su un'isola irresistibilmente trascinata dalla corrente del Progresso. «Perché l'Europa possa prosperare la ricerca è fondamentale», enunciavano in questi giorni a Strasburgo rosee deputate nordiche, sintetizzando con semplicità una fiducia pressoché fideistica in una Scienza che ci renderà sani e quasi immortali, solo che si accetti di usare di quelle cellule d'uomo nemmeno visibili agli occhi. Invece, i numeri del voto dicono che a condividere, radicalmente oppure in maniera più compromissoria ma comunque contraria a una liberalizzazione incontrollata, sono in tanti. Non sono, i contrari all'uso degli embrioni, gli ultimi dei mohicani, come qualcuno vorrebbe farci credere. La seconda riflessione riguarda la composizione del voto. Al Gargani, l'emendamento "duro", sono mancati 59 voti dei Popolari. Il Niebler - l'emendamento del compromesso meno doloroso - ha perso perché non ha raccolto, da parte dei Popolari, 63 voti: 50 no e 13 astensioni. Voti riversatisi poi sul più permissivo Ltre. Popolari europei - gli italiani quasi tutti hanno fatto il possibile - in confusione, dunque, ed è una constatazione amara sul laicismo che intacca i convincimenti più profondi di questa appartenenza politica. Ma il vuoto lasciato dai 60 è stato colmato - parliamo del voto sul compromesso Niebler - da ben 30 verdi del Nord Europa, 17 socialisti tedeschi, 6 deputati della sinistra del Gue, oltre che - e questo si sapeva - dalla destra. La giornata di ieri - che è stata una sconfitta - è anche un segnale: di sensibilità emergenti, di nuove alleanze possibili là dove non si sperava di trovarne. È il segno che - nonostante tutto - un'alternativa è ; forse possibile alla logica dell'uso dell'uomo che pareva dovere egemonizzare l'Occidente. Guai arrendersi.
«Avvenire» del 16 giugno 2006
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