di Pierluigi Battista
Che in Italia i premi letterari siano un termometro sensibile per decifrare equilibri e dislocazioni della vita politica, non è certo una novità. Ma che le scelte del Premio Strega siano attentamente calibrate con gli strumenti del manuale Cencelli per distribuire pesi e prebende all' interno del centrosinistra nuovamente al potere, questo è un salto di qualità che non era stato ancora contemplato nelle antologie della lottizzazione politica attraverso la letteratura. Dunque è esagerato affermare, come fa Giuseppe Scaraffia nel supplemento domenicale del Sole 24 Ore, che nel bivio tra «La ragazza del secolo scorso» e «Caos calmo», i pur impassibili giurati dello Strega saranno chiamati a optare «tra la rifondarola Rossana Rossanda e il veltroniano Sandro Veronesi». Però la repentina irruzione dell' autobiografismo militante della Rossanda ha irrevocabilmente alterato in chiave politica il clima delle dispute editorial-letterarie che di solito accompagnano (con stucchevole regolarità) il conferimento di uno dei premi più ambiti nella nostra Repubblica delle Lettere. Il libro della Rossanda non è un romanzo, ma questo dettaglio, in sé, non rappresenta un ostacolo insormontabile per aspirare alla vetta di un premio che pure nella valutazione dei romanzi trae la sua stessa ragion d' essere. E poi, in fondo, anche in un' autobiografia ricca di peripezie e di avventure può energicamente soffiare l' alito della vita romanzesca e romanzata. Ma il monumento biografico che la Rossanda ha eretto con i materiali della sua vita realmente vissuta assomiglia piuttosto a una medaglia al valore che dovrebbe sigillare con un marchio di nobiltà uno dei percorsi esistenziali e politici più influenti nella storia dell' Italia repubblicana. Rossanda non è «rifondarola», come con sbrigativa e addirittura brutale etichettatura partitica Scaraffia ha voluto collocarla. Ma sarebbe difficile non interpretare la sua eventuale consacrazione nel Premio Strega come l' equivalente nella sfera letteraria del riconoscimento solenne che le istituzioni hanno voluto tributare alla storia culturale e ideologica incarnata dall' attuale presidente della Camera, Fausto Bertinotti. Una storia sconfitta sul piano politico ma trionfante su quello dei simboli: lo sdoganamento nella dimensione della memoria di quella parte d' Italia, l' Italia in senso lato comunista (sia pure nelle forme specifiche e irriducibili dell' «italo-comunismo») che era sembrata soccombere per sempre sotto le macerie del muro di Berlino. E così come il presidente Bertinotti rivendica con ammirevole orgoglio la continuità simbolica e persino lessicale alle proprie radici (cos' altro ha rappresentato il ricercato omaggio alla «classe operaia» contenuto nel suo discorso di insediamento?), altrettanto può dirsi per la rilettura autobiografica incisa nelle pagine della Rossanda: un itinerario costellato sì di errori ma riscattati e illuminati dalla luce di una prospettiva considerata in sé giusta, una vita che ha attraversato le tragedie del ventesimo secolo ma senza restare macchiata indelebilmente dalle nefandezze di cui la «sua» parte si è innegabilmente resa responsabile. Se per esempio Rossanda avesse raccontato senza reticenze le asfissianti pressioni che lei, in sintonia con le richieste sovietiche, si prese l' onere di esercitare su Gian Giacomo Feltrinelli per dissuaderlo con militante insistenza dalla pubblicazione del «Dottor Zivago» di Pasternak, il suo monumento autobiografico ne avrebbe guadagnato in sincerità, pur nella sofferenza di un bilancio privo di autoindulgenze. Un monumento degno del massimo rispetto e, narrativamente potente, anche di un Premio dedicato alla letteratura.
« Corriere della sera » del 12 giungo 2006
Nessun commento:
Posta un commento