di Adriano Pessina
Che meraviglia. Finalmente il migliore dei mondi possibili si sta realizzando grazie ad un consapevole programma legislativo che, come si legge nell'editoriale di Stefano Rodotà, «Il dolore e la politica» (La Repubblica di ieri) tenderebbe a togliere il dolore, lenire la sofferenza, guarire i malati, assistere i morenti, dare nuove risposte ai disagi della vita e delle relazioni umane: insomma, si sta davvero avverando la promessa di organizzare per tutti un po' di felicità (e per di più la felicità che ognuno si sceglie da sé). Le suadenti parole di Rodotà, che sembra aver perso quella sobrietà che gli abbiamo spesso riconosciuto, non possono però impedirci di ragionare sulle questioni concrete di cui va parlando, che non possono essere tutte accomunate sotto il tema della liberazione dal dolore e dalla sofferenza. Rodotà mette insieme questioni eterogenee, che vanno dalla decisione di permettere lo sfruttamento degli embrioni per la ricerca sulle cellule staminali, alla promozione di tecniche per la palliazione del dolore, dal via libera alla Ru 486 come tecnica abortiva standard fino all'introduzione delle direttive anticipate e alla regolamentazione giuridica delle varie forme di unioni di fatto. Scelte che hanno contenuti e significati che non possono affatto essere rubricati sotto lo slogan mistificatorio della lotta al dolore e alla sofferenza; così come è mistificante ritenere che coloro che si oppongono ad alcune di quelle proposte di governo siano animati da spirito dolorifico o, peggio, da una sorta di sadismo reazionario e paternalista. Qual è il significato di questa strategia argomentativa artificiosamente unitaria? Non possiamo né credere né pensare che Rodotà non colga le differenze tra i temi proposti. L'impressione è che si tratti di un disegno che tend e a forgiare i costumi di un Paese attraverso un'operazione che vuole togliere dignità a quanti ritengono che ci sono modi differenti per rispondere alle esigenze di emancipazione dal dolore, di promozione della libertà e della dignità umana.
Un disegno, quello di Rodotà, che ha il sapore antico e amaro delle ideologie di un tempo, tese a soffocare la libertà del pensiero e la libertà della discussione sulle questioni che mettono in gioco l'idea di uomo che noi abbiamo, il significato stesso della solidarietà umana e della dignità della persona. Di fronte alle questioni più significative sul piano culturale non si può inoltre, in nome dell'apertura ad «una realtà mobile», considerare irrilevante il patto con gli elettori, rendendo superflui quei contenuti programmatici in base ai quali le coalizioni politiche chiedono e magari ottengo il consenso per il governo della casa comune. Dal sogno si passa subito all'incubo se si prende sul serio la trionfante affermazione di Rodotà «Non era mai accaduto che la vita nelle sue varie sfaccettature fosse oggetto di un consapevole programma di governo». Contrariamente alla sua tesi, questa è l'essenza stessa della biopolitica che inizia con l'annullare lo specifico etico delle diverse questioni in esame per finire con il promuovere l'idea, come scrive sempre Rodotà, di «un legislatore che accorcia la sua distanza dalle persone», pensando forse di diventare il fondamento del bene e del male.
Avvenire dell'8 giugno 2006
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