Croce e Gentile furono banditi perché entrambi avversavano la scolastica. Anche nell’insegnamento
di Antonio Airò
«Eretico nei suoi fondamenti, ingiurioso e offensivo alla Chiesa e al papato e atto a formare nelle persone colte pregiudizi ed errori gravissimi in materia di fede e di costumi». Con queste dure motivazioni, nel luglio del 1932, l'ex Congregazione del Sant'Uffizio, con il pieno consenso di Pio XI, inseriva nell'Indice dei libri proibiti La storia d'Europa nel secolo XIX di Benedetto Croce. Due anni più tardi (il 20 giugno 1934) il medesimo provvedimento era adottato per l'intera opera omnia dello storico e filosofo napoletano schierato da tempo su posizioni antifasciste. Ma all'Indice finivano tutti gli scritti di Giovanni Gentile, che del regime continuava a essere uno dei maggiori ispiratori. La condanna dei due filosofi veniva pronunciata in simultanea onde evitare che una decisione differenziata nel tempo potesse far pensare a una diversità di trattamento dovuta alle posizioni politiche di Croce e Gentile.
Attraverso un esauriente esame dei numerosi documenti conservati nell'archivio dell'ex Sant'Uffizio sulle varie fasi che hanno portato ai decreti di condanna coinvolgendo nelle decisioni padre Gemelli, rettore della Cattolica, i redattori della «Civiltà cattolica», autorevoli religiosi, monsignori e cardinali di curia (a cominciare da Pacelli), lo storico Guido Verucci ricostruisce una vicenda certamente segnata dallo scontro tra i sostenitori della filosofia neoscolastica insegnata nelle scuole e università cattoliche, e gli idealisti, che si rifacevano allo storicismo assoluto di Croce e all'attualismo di Gentile. Ma sullo sfondo ci sono i rapporti tra Stato e Chiesa, tra regime e istituzioni cattoliche, e questioni essenziali riguardanti la libertà della scuola, pubblica e non, la qualità dell'insegnamento, soprattutto di quelli di storia, filosofia e pedagogia nelle scuole superiori.
Attraverso un esauriente esame dei numerosi documenti conservati nell'archivio dell'ex Sant'Uffizio sulle varie fasi che hanno portato ai decreti di condanna coinvolgendo nelle decisioni padre Gemelli, rettore della Cattolica, i redattori della «Civiltà cattolica», autorevoli religiosi, monsignori e cardinali di curia (a cominciare da Pacelli), lo storico Guido Verucci ricostruisce una vicenda certamente segnata dallo scontro tra i sostenitori della filosofia neoscolastica insegnata nelle scuole e università cattoliche, e gli idealisti, che si rifacevano allo storicismo assoluto di Croce e all'attualismo di Gentile. Ma sullo sfondo ci sono i rapporti tra Stato e Chiesa, tra regime e istituzioni cattoliche, e questioni essenziali riguardanti la libertà della scuola, pubblica e non, la qualità dell'insegnamento, soprattutto di quelli di storia, filosofia e pedagogia nelle scuole superiori.
La condanna del Sant'Uffizio era in un certo senso obbligata se si guarda alla concezione immanentistica di Gentile e al razionalismo hegeliano di Croce , certamente inconciliabili con la dottrina della Chiesa. Eppure non erano mancati momenti di intesa e di confronto tra idealisti e cattolici. Gentile si era battuto fin dai primi anni del'900 per l'insegnamento della religione nelle elementari, «perché i bambini non possono fare filosofia». La sua riforma del 1923 lo avrebbe sancito (e sarebbe poi stata estesa alle medie) e il provvedimento, che aveva incontrato l'ostilità dei democratici, della sinistra e non poche riserve dei fascisti, che la ritenevano troppo severa e selezionatrice, non sarebbe passato senza il voto favorevole dei cattolici. Ancora negli anni Venti Croce, ministro della Pubblica istruzione, aveva firmato il decreto che dava vita all'istituto Toniolo, ente fondatore dell'università Cattolica.
Ma per Gentile lo Stato laico, «costituendo una realtà etica, deve affermarsi come fine a sé stesso, come un che di assoluto, di divino, come espressione di una religiosità immanente». Una realtà dalla quale la Chiesa era sostanzialmente esclusa, concetto che Mussolini faceva proprio all'indomani della Conciliazione (nel maggio 1929) dichiarando alla Camera che «nello Stato la Chiesa non è sovrana e non è nemmeno libera e che lo Stato fascista rivendica in pieno il suo carattere di eticità; è cattolico ma è fascista, anzi soprattutto esclusivamente, essenzialmente fascista». E padre Gemelli, nel settimo congresso nazionale di filosofia, precisa duramente che «nulla vi è di meno religioso, di meno cristiano del pensiero del Gentile e dell'idealismo».
Certo la Conciliazione con gli ampi riconoscimenti alla Chiesa e alla sua dottrina poteva aver indotto padre Gemelli, i redattori della «Civiltà cattolica» e non pochi esponenti del mondo cattolico italiano a ritenere vicina la nascita di una nuova cristianità in tutti i suoi aspetti. A cominciare dall'insegnamento della scolastica. Inoltre l'introduzione nelle scuole dei professori di religione con gli stessi diritti e doveri degli altri docenti poteva megli o favorire una «cattolicizzazione» del fascismo (o di contro una fascistizzazione del cattolicesimo) come sottolinea Verucci. In realtà già il dissenso nel 1931 tra la Chiesa e il regime proprio sul tema della formazione dei giovani, mostra che la questione della libertà educativa, era ancora irrisolta. E le argomentazioni del libro su questo aspetto ci sembrano parziali e insufficienti.
Guido Verucci, Idealisti all'Indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant'Uffizio, Laterza. Pagine 272. Euro 38,00
«Avvenire» del 23 giugno 2006
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