Libertà di fischio? Contestazioni e libertà d'opinione
di Pierluigi Battista
Quando il fischio (preventivo) diventa intimidazione e intolleranza
Nella neolingua che ci asfissia la chiamano «libertà di fischio». Ma è un equivoco: la libertà d'opinione prevede che si fischi dopo aver ascoltato, non per mettere a tacere preventivamente le opinioni da cui si dissente. Si dice: c'è una ricca tradizione di loggionisti che a teatro sbertucciano a suon di fischi il cane che si produce in una pessima esecuzione sul palcoscenico. Ma è tutta un'altra storia. Il loggionista, melomane appassionato, fischia perché hanno suonato male. Non impedisce di suonare. Non è un intollerante. Come quelli che, sempre più di frequente in Italia, chiamano libertà la loro vociante protervia. L'ultima scena è al Salone del libro di Torino, dove un folto gruppo di donne ha impedito la presentazione di un volume anti aborto del Movimento per la vita. Era legittimo essere in disaccordo, naturalmente. Ma bisognava rispettare quelli che erano d'accordo. O semplicemente che erano interessati ad ascoltare gli oratori. Chi invece ha inalberato il vessillo della libertà di fischio ha ostacolato l'esercizio di due diritti. Quello di chi non ha potuto parlare. E quello di chi non ha potuto ascoltare. Un doppio atto di prepotenza. In Italia si fa fatica a stabilire la differenza tra libertà di dissenso e intolleranza pura. Il fischio, l'interruzione, il lancio di oggetti, la coreografia della contestazione hanno oltrepassato la ritualità delle manifestazioni in cui solitamente si consuma la liturgia delle manifestazionidi piazza con annesso, ripetitivo, cerimoniale copione del dissenso di piazza(dal 25 aprile all'anniversario della strage di Bologna). Oramai la mistica dell'interruzione preventiva, non di rado violenta, sempre intimidatoria, ha invaso presentazioni di libri (l'apice è stato raggiunto con quelle di Giampaolo Pansa), convegni, comizi, dibattiti, feste di partito, persino prolusioni accademiche non gradite, come accadde con il discorso imbavagliato di Benedetto XVI all'Università di Roma, cui si dovette rinunciare per motivi di ordine pubblico: uno straordinario successo dell'intolleranza. Hanno impedito di parlare al leader della Cisl Bonanni durante la festa del Partito democratico, a Dell'Utri che voleva esibire i suoi diari pseudo mussoliniani, a Marcello Veneziani nell'ateneo romano perché a un «fascista» viene negato il diritto di esprimere un' opinione. Non volevano addirittura che parlasse lo scrittore israeliano Amos Oz a Torino. Giuliano Ferrara venne preso a sassate (si disse solo pomodori, ma era una minimizzazione eufemistica) in un comizio bolognese. Ogni volta si è sbandierato il «diritto al dissenso» come nobile motivazione. E il diritto di parola? Quello non viene preso in considerazione. Eppure il meccanismo della «contestazione» è facilissimo, collaudato, semplice da maneggiare. Basta essere un piccolo e compatto gruppetto, avere fiato nei polmoni, conoscere il repertorio dell'insulto, saper spintonare, lanciare oggetti contundenti, odiare a sufficienza chi viene considerato indegno di esprimere un'opinione diversa bollata come «scandalosa», «offensiva», «oltraggiosa», e il gioco è fatto: chi doveva parlare non parla e chi impedisce di parlare conquista la ribalta mediatica. Un'intimidazione ben riuscita. Alla prossima occasione ci penseranno due volte prima di consegnare una sala, un tendone, una piazzetta, un'aula universitaria, un qualunque luogo raggiungibile dai fischiatori, a chi viene bollato con il marchio del reprobo e destinato a essere zittito. Ecco perché l'indulgenza verso l'intolleranza mascherata da «libertà di fischio» è pericolosa: perché alimenta la paura, istiga al conformismo quietistico, mette in guardia dal formulare opinioni che si presumono sgradite, o comunque impopolari, capaci di scatenare la furia dei professionisti del fischio. Trasformare una discussione in un problema di ordine pubblico avvilisce la democrazia, deprime il dibattito tra tesi contrapposte, annichilisce l'idea che una democrazia liberale si fondi sul sano antagonismo delle idee e delle opinioni: argomento contro argomento e non aggressioni ripetute contro le persone costrette a restar zitte mentre l'unico argomento consentito è quello del fischio. Inoltre crea un'assuefazione alla scenografia della contestazione che rompe ogni argine e si nobilita come genuina sollevazione popolare, anche quando le persone che fischiano e ululano sono sempre le stesse, itineranti di piazza in piazza per recitare sempre lo stesso, umiliante spettacolo. Uno spettacolo mal recitato. Che meriterebbe i fischi, davvero. Ma solo quando è stata pronunciata l'ultima battuta, e cala il sipario sugli intolleranti.
«Il Corriere della sera» del 14 maggio 2011
Nessun commento:
Posta un commento