Tratto dal volume Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, Paravia, volume III, tomo 2/b, pp. 774 ss.
di Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria
Ha scritto Ungaretti: «L’Allegria di naufragi è la presa di coscienza di sé, è la scoperta che prima adagio avviene, poi culmina d’improvviso in un canto scritto in piena guerra, in trincea, e che s’intitola I fiumi. Vi sono enumerate le quattro fonti che in me mescolavano le loro acque, i quattro fiumi il cui moto dettò i canti che allora scrissi». È la poesia della consapevolezza, quindi, e di una raggiunta identità, che deriva dal recupero del proprio passato attraverso la memoria. Immergersi nella corrente dell’Isonzo equivale a ricordare tutti gli altri fiumi che hanno segnato l’esperienza ungarettiana, ricomponendone il tessuto lacerato. Prendere «coscienza di sé» significa allora chiarire il proprio percorso biografico-esistenziale, dando un senso, nello stesso tempo, alle motivazioni della ricerca poetica.
L’acqua è un evidente simbolo della vita, che dalle sue origini ancestrali (richiamate dal Serchio, il fiume della propria «gente», ai vv. 47-51), giunge alla chiarezza del presente (rappresentata dall’Isonzo), alla maturazione dell’uomo che la guerra ha dolorosamente determinato. In mezzo, ugualmente emblematici, ci sono gli altri due fiumi: il Nilo, che rievoca la stagione libera e avventurosa dell’infanzia e della prima giovinezza africana, con le spontanee acquisizioni della vita e dei sensi; la Senna, che richiama gli anni parigini dell’inquieta formazione artistica e intellettuale, con la scoperta della propria vocazione letteraria (si veda il v. 60, «mi sono conosciuto», che si oppone allo spensierato «ardere d’inconsapevolezza» della strofa precedente, al v. 55, ma rappresenta ancora una fase anteriore rispetto al «mi sono riconosciuto» del v. 29).
Il carattere autobiografico del componimento è sottolineato dall’uso della prima persona, con cui iniziano numerose strofe (si noti la frequenza dei pronomi personali e possessivi «mi», «mie», «miei», ecc.). Ma questa dimensione, come si diceva, tende subito a caricarsi di significati ulteriori. L’immersione nell’acqua ha un valore rituale, che rinvia a precisi riferimenti archetipici, e in particolare alla cerimonia del battesimo. La situazione può essere avvicinata per certi aspetti a quella del Porto sepolto, anche se qui il discorso tende a disporsi in forme più piane e descrittive, che riflettono non la folgorazione di una scoperta improvvisa, ma i passaggi di una più lenta e serena conquista interiore.
Il lavacro rigeneratore trasforma il fiume in un’«urna» (v. 10) che raccoglie la «reliquia» del corpo, con un uso dell’analogia che si avvale di un linguaggio liturgico e religioso, attribuendo un significato sacrale all’intera situazione. Lo scorrere dell’acqua, nei vv. 13-15, compie un’opera di trasformazione e di purificazione, riducendo l’individuo a una realtà minerale e ricongiungendolo alla natura primigenia, tanto da assimilarlo a un «sasso» del fiume. L’azione è così intensa che finisce per scarnificare la figura umana («le mie quattr’ossa», al v. 17), costituendo tuttavia il presupposto necessario per una riemersione che è anche rinascita e liberazione. Il motivo della partenza (v. 18: «e me ne sono andato»), che ne è il corrispettivo, assume un valore opposto rispetto a quello sviluppato in Girovago, traducendosi in un’immagine di straordinaria e quasi incorporea leggerezza: quella dell’«acrobata» (in relazione analogica con il «circo» del v. 4) che cammina «sull’acqua», con un richiamo al ben noto miracolo compiuto da Cristo, a conferma della disposizione religiosa presente nel componimento. Un altro elemento significativo, nella strofa che segue, è costituito dalla nudità del poeta, che non ha ancora indossato «i panni / sudici di guerra» (simbolo della corruzione e della morte) e che, in un immediato rapporto con la natura, si china «a ricevere / il sole» (ma si veda anche la nota 6), che porta con sé la luce e il calore della vita (il paragone «come un beduino» introduce l’atmosfera africana su cui il poeta tornerà nei vv. 52-56).
Attraverso la gradazione di questi passaggi, simbolicamente confluenti nel corso dell’Isonzo (v. 27), il poeta compie la conquista definitiva della propria identità, che consiste nel "riconoscersi" «una docile fibra / dell’universo» (vv. 30-31), pienamente partecipe della vita del tutto e capace di assecondarne i più intimi movimenti, vibrando all’unisono con il creato. È questa l’«armonia» (v. 35) e «la rara / felicità» (vv. 40-41) di cui il poeta va alla ricerca e che solo pochi momenti privilegiati di pienezza dell’essere sembrano in grado di poter realizzare. Di qui si compie anche il processo di riappropriazione del proprio passato (vv. 42-44), che ha un tangibile riscontro geografico nei fiumi via via nominati (il Serchio, il Nilo e la Senna); fiumi della realtà ma soprattutto fiumi della memoria (v. 62: «contati nell’Isonzo»), le cui acque zampillano in un’unica sorgente di vita e di poesia.
L’evidenza dell’immaginazione è anche nella forza dimostrativa dei pronomi, che, riprendendo il v. 27 («Questo è l’Isonzo»), Si ripetono regolarmente, con l’insistenza dell’anafora, all’inizio delle ultime strofe (si veda anche la variante puramente metrica fra i vv. 45-46, «Questi sono i miei fiumi», e il v. 61, «Questi sono i miei fiumi», il cui più ampio movimento confluisce nella specificazione successiva). Dalla raggiunta pacificazione con se stessi nasce anche il rapporto di quiete con il paesaggio notturno, che incornicia, per così dire, il componimento. Nell’ultima strofa le «tenebre» si risolvono nell’immagine floreale della «corolla»; nella strofa iniziale, strettamente collegata, la solitudine del «circo» supera la desolazione della natura («quest’albero mutilato», «questa dolina») con un «languore» che si placa, nonostante le «nuvole», nella tersa serenità della notte lunare.
L’acqua è un evidente simbolo della vita, che dalle sue origini ancestrali (richiamate dal Serchio, il fiume della propria «gente», ai vv. 47-51), giunge alla chiarezza del presente (rappresentata dall’Isonzo), alla maturazione dell’uomo che la guerra ha dolorosamente determinato. In mezzo, ugualmente emblematici, ci sono gli altri due fiumi: il Nilo, che rievoca la stagione libera e avventurosa dell’infanzia e della prima giovinezza africana, con le spontanee acquisizioni della vita e dei sensi; la Senna, che richiama gli anni parigini dell’inquieta formazione artistica e intellettuale, con la scoperta della propria vocazione letteraria (si veda il v. 60, «mi sono conosciuto», che si oppone allo spensierato «ardere d’inconsapevolezza» della strofa precedente, al v. 55, ma rappresenta ancora una fase anteriore rispetto al «mi sono riconosciuto» del v. 29).
Il carattere autobiografico del componimento è sottolineato dall’uso della prima persona, con cui iniziano numerose strofe (si noti la frequenza dei pronomi personali e possessivi «mi», «mie», «miei», ecc.). Ma questa dimensione, come si diceva, tende subito a caricarsi di significati ulteriori. L’immersione nell’acqua ha un valore rituale, che rinvia a precisi riferimenti archetipici, e in particolare alla cerimonia del battesimo. La situazione può essere avvicinata per certi aspetti a quella del Porto sepolto, anche se qui il discorso tende a disporsi in forme più piane e descrittive, che riflettono non la folgorazione di una scoperta improvvisa, ma i passaggi di una più lenta e serena conquista interiore.
Il lavacro rigeneratore trasforma il fiume in un’«urna» (v. 10) che raccoglie la «reliquia» del corpo, con un uso dell’analogia che si avvale di un linguaggio liturgico e religioso, attribuendo un significato sacrale all’intera situazione. Lo scorrere dell’acqua, nei vv. 13-15, compie un’opera di trasformazione e di purificazione, riducendo l’individuo a una realtà minerale e ricongiungendolo alla natura primigenia, tanto da assimilarlo a un «sasso» del fiume. L’azione è così intensa che finisce per scarnificare la figura umana («le mie quattr’ossa», al v. 17), costituendo tuttavia il presupposto necessario per una riemersione che è anche rinascita e liberazione. Il motivo della partenza (v. 18: «e me ne sono andato»), che ne è il corrispettivo, assume un valore opposto rispetto a quello sviluppato in Girovago, traducendosi in un’immagine di straordinaria e quasi incorporea leggerezza: quella dell’«acrobata» (in relazione analogica con il «circo» del v. 4) che cammina «sull’acqua», con un richiamo al ben noto miracolo compiuto da Cristo, a conferma della disposizione religiosa presente nel componimento. Un altro elemento significativo, nella strofa che segue, è costituito dalla nudità del poeta, che non ha ancora indossato «i panni / sudici di guerra» (simbolo della corruzione e della morte) e che, in un immediato rapporto con la natura, si china «a ricevere / il sole» (ma si veda anche la nota 6), che porta con sé la luce e il calore della vita (il paragone «come un beduino» introduce l’atmosfera africana su cui il poeta tornerà nei vv. 52-56).
Attraverso la gradazione di questi passaggi, simbolicamente confluenti nel corso dell’Isonzo (v. 27), il poeta compie la conquista definitiva della propria identità, che consiste nel "riconoscersi" «una docile fibra / dell’universo» (vv. 30-31), pienamente partecipe della vita del tutto e capace di assecondarne i più intimi movimenti, vibrando all’unisono con il creato. È questa l’«armonia» (v. 35) e «la rara / felicità» (vv. 40-41) di cui il poeta va alla ricerca e che solo pochi momenti privilegiati di pienezza dell’essere sembrano in grado di poter realizzare. Di qui si compie anche il processo di riappropriazione del proprio passato (vv. 42-44), che ha un tangibile riscontro geografico nei fiumi via via nominati (il Serchio, il Nilo e la Senna); fiumi della realtà ma soprattutto fiumi della memoria (v. 62: «contati nell’Isonzo»), le cui acque zampillano in un’unica sorgente di vita e di poesia.
L’evidenza dell’immaginazione è anche nella forza dimostrativa dei pronomi, che, riprendendo il v. 27 («Questo è l’Isonzo»), Si ripetono regolarmente, con l’insistenza dell’anafora, all’inizio delle ultime strofe (si veda anche la variante puramente metrica fra i vv. 45-46, «Questi sono i miei fiumi», e il v. 61, «Questi sono i miei fiumi», il cui più ampio movimento confluisce nella specificazione successiva). Dalla raggiunta pacificazione con se stessi nasce anche il rapporto di quiete con il paesaggio notturno, che incornicia, per così dire, il componimento. Nell’ultima strofa le «tenebre» si risolvono nell’immagine floreale della «corolla»; nella strofa iniziale, strettamente collegata, la solitudine del «circo» supera la desolazione della natura («quest’albero mutilato», «questa dolina») con un «languore» che si placa, nonostante le «nuvole», nella tersa serenità della notte lunare.
Postato il 2 maggio 2011
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