Tratto dal volume Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, Paravia, volume III, tomo 2/b, pp. 774 ss.
di Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria
Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese più straziato
Come Veglia, anche questa poesia contiene immagini di desolazione e di morte, legate alla guerra. Gli effetti della distruzione si riverberano qui, indirettamente, sulle cose, in uno squallido paesaggio di macerie e di rovine su cui si è abbattuta la furia degli eventi. L’evidenza dell’immagine viene fatta risaltare in primo piano dall’aggettivo dimostrativo «queste», mentre la sofferenza raccolta nello sguardo sembra farsi più acuta nell’uso inconsueto e quasi umanizzato di un sostantivo come «brandello», in relazione a «muro» (il termine si riferisce normalmente alla carne, alle stoffe o ai vestiti).
Dal paesaggio il pensiero si sposta, per una spontanea associazione, sui molti compagni caduti; di loro, a differenza delle «case», non è rimasto più nulla. La loro totale scomparsa è il segno di una distruzione più dolorosa e profonda, in quanto non ammette risarcimento o rinascita. A impedire che vengano del tutto cancellati non resta che la commossa e pietosa memoria di chi è sopravvissuto; un ricordo fatto di tante croci, che trasformano il «cuore» in una specie di cimitero. Di qui la folgorante analogia fra il «paese» e il «cuore», che appare come «il paese più straziato».
L’efficacia della straordinaria concentrazione ottenuta in questi versi è ancora più evidente se si considera la loro prima stesura: «Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro / esposto all’aria // di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto / nei cimiteri // Ma nel cuore / nessuna croce manca // Innalzata / di sentinella / a che? // Sono morti / cuore malato // Perché io guardi al mio cuore / come a uno straziato paese / qualche volta». Nella sua consueta opera di sottrazione e di scarnificazione, Ungaretti elimina le determinazioni di luogo che rendevano troppo insistito e trasparente il contrasto fra «esposto all’aria» e «nei cimiteri». Quest’ultimo complemento materializzava in termini troppo crudi un’immagine che resta invece implicita nel testo definitivo, affidata unicamente alle croci. Degli ultimi versi, che introducevano elementi prolissi e dispersivi, Ungaretti utilizzerà solo il nesso «cuore» / «straziato paese», inserendolo in un contesto di grande semplicità espressiva (anche attraverso l’inversione e la normalizzazione del rapporto fra gli ultimi due termini).
Tutta la poesia utilizza un linguaggio agevole e piano, fatto di parole comuni. La compattezza che la caratterizza è dovuta al rigore calibratissimo della costruzione, alla capacità di collocare le parole secondo calcolate simmetrie. Il sentimento della "corrispondenza", anche per quanto riguarda le sue implicazioni analogiche, trova espressione sul piano formale nel vario disporsi delle riprese e dei parallelismi: «Di queste case / non è rimasto» (vv. 1-2) - «Di tanti / ... / non è rimasto» (vv. 5 e 7); «Di tanti» - «neppure tanto» (v. 8); «Ma nel cuore» (v. 9) - «E il mio cuore» (v. 11). Si noti infine l’antitesi a distanza fra «qualche» (v. 3) e «nessuna» (v. 10). La simmetria riguarda anche la misura delle strofe, composte a due a due da un uniforme numero di versi. I distici sono formati, rispettivamente, da un quaternario e da un settenario, che, letti insieme, possono assumere la cadenza musicale e scorrevole dell’endecasillabo.
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese più straziato
Come Veglia, anche questa poesia contiene immagini di desolazione e di morte, legate alla guerra. Gli effetti della distruzione si riverberano qui, indirettamente, sulle cose, in uno squallido paesaggio di macerie e di rovine su cui si è abbattuta la furia degli eventi. L’evidenza dell’immagine viene fatta risaltare in primo piano dall’aggettivo dimostrativo «queste», mentre la sofferenza raccolta nello sguardo sembra farsi più acuta nell’uso inconsueto e quasi umanizzato di un sostantivo come «brandello», in relazione a «muro» (il termine si riferisce normalmente alla carne, alle stoffe o ai vestiti).
Dal paesaggio il pensiero si sposta, per una spontanea associazione, sui molti compagni caduti; di loro, a differenza delle «case», non è rimasto più nulla. La loro totale scomparsa è il segno di una distruzione più dolorosa e profonda, in quanto non ammette risarcimento o rinascita. A impedire che vengano del tutto cancellati non resta che la commossa e pietosa memoria di chi è sopravvissuto; un ricordo fatto di tante croci, che trasformano il «cuore» in una specie di cimitero. Di qui la folgorante analogia fra il «paese» e il «cuore», che appare come «il paese più straziato».
L’efficacia della straordinaria concentrazione ottenuta in questi versi è ancora più evidente se si considera la loro prima stesura: «Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro / esposto all’aria // di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto / nei cimiteri // Ma nel cuore / nessuna croce manca // Innalzata / di sentinella / a che? // Sono morti / cuore malato // Perché io guardi al mio cuore / come a uno straziato paese / qualche volta». Nella sua consueta opera di sottrazione e di scarnificazione, Ungaretti elimina le determinazioni di luogo che rendevano troppo insistito e trasparente il contrasto fra «esposto all’aria» e «nei cimiteri». Quest’ultimo complemento materializzava in termini troppo crudi un’immagine che resta invece implicita nel testo definitivo, affidata unicamente alle croci. Degli ultimi versi, che introducevano elementi prolissi e dispersivi, Ungaretti utilizzerà solo il nesso «cuore» / «straziato paese», inserendolo in un contesto di grande semplicità espressiva (anche attraverso l’inversione e la normalizzazione del rapporto fra gli ultimi due termini).
Tutta la poesia utilizza un linguaggio agevole e piano, fatto di parole comuni. La compattezza che la caratterizza è dovuta al rigore calibratissimo della costruzione, alla capacità di collocare le parole secondo calcolate simmetrie. Il sentimento della "corrispondenza", anche per quanto riguarda le sue implicazioni analogiche, trova espressione sul piano formale nel vario disporsi delle riprese e dei parallelismi: «Di queste case / non è rimasto» (vv. 1-2) - «Di tanti / ... / non è rimasto» (vv. 5 e 7); «Di tanti» - «neppure tanto» (v. 8); «Ma nel cuore» (v. 9) - «E il mio cuore» (v. 11). Si noti infine l’antitesi a distanza fra «qualche» (v. 3) e «nessuna» (v. 10). La simmetria riguarda anche la misura delle strofe, composte a due a due da un uniforme numero di versi. I distici sono formati, rispettivamente, da un quaternario e da un settenario, che, letti insieme, possono assumere la cadenza musicale e scorrevole dell’endecasillabo.
Postato il 2 maggio 2011
Nessun commento:
Posta un commento