Metro: versi endecasillabi, con qualche settenario. Irregolari le rime e le assonanze
di Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria
Dal testo alla storia. Dalla storia al testo. Volume III, tomo secondo/b, edizione gialla, pp. 812 ss.
Il viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.
Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.
Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.
NOTE
1. cure: preoccupazioni.
2. dividono: spezzano, indeboliscono.
3. pompa: che fa salire l’acqua.
4. che tentano ... flussi: che le onde del mare, col loro movimento continuo e lento, lambiscono. Flussi è soggetto di tentano, posposto per anastrofe.
5. Nulla ... leni: il mare (la marina, soggetto) non rivela, non lascia vedere nulla, se non foschie quasi immobili (pigri fumi), che il debole alitare del vento (i soffi leni) scompone, lasciando intravedere delle insenature (conche).
6. bonaccia: condizione di calma assoluta della superficie del mare.
7. l’isole ... migrabonde: le nuvole, che si spostano nel cielo (migrabonde).
8. la Capraia: isola di fronte alle coste toscane, che, nelle giornate più serene e limpide, si può vedere dalla Liguria, come la Corsica (detta dorsuta perché attraversata dal "dorso" di una catena montuosa).
9. vanisce: svanisce, scompare (ma c’è, in più, il senso sofferto della "vanità" di tutte le cose).
10. poca ... memorie: corrisponde, sul piano esistenziale, ai pigri fumi (v. 10) del paesaggio marino appena delineato. La memoria offuscata, o del tutto impossibile, è tema caro a Montale: cfr. Cigola la carrucola del pozzo, Non recidere, forbice e La casa dei doganieri.
11. che torpe: che trascorre come intorpidita, con un’estrema lentezza.
12. frangente ... destino: il destino di ogni uomo è rappresentato dall’immagine delle onde (frangente) che si infrangono sugli scogli. Il loro monotono movimento rappresenta il ripetersi sempre uguale della vita. Riprende l’immagine già proposta all’inizio con i minuti [...] eguali e fissi, paragonati al girare della pompa. Un’immagine analoga anche nella Casa dei doganieri: «Ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende» (vv. 19-20).
13. ti s’appressa: si avvicina per te.
14. passerai ... tempo: entrerai nell’eternità, avrai la certezza di una vita nuova e duratura.
15. s’infinita: raggiunge l’infinito, diventa immortale. «È un neologismo che ribadisce il verso precedente e si riallaccia all’ultimo» (Guglielminetti). È probabile che Montale abbia voluto emulare Dante, il quale aveva coniato il verbo «s’india», "diventa simile a Dio" (cfr. Paradiso, IV, v. 28: «De’ Serafin colui che più s’india»). Al Dio dantesco Montale sostituisce un più generico "infinito", in cui si racchiude il senso della sua teologia pessimistica e negativa.
16. disegno: del destino, che ci fissa in una condizione immutabile.
17. il varco: il punto, o luogo, che separa il tempo terreno dall’eterno (v. 37), dall’infinito. Corrisponde anche all’ipotesi di un passaggio dalla realtà contingente delle cose a una più profonda conoscenza dell’essere, ossia ad una realtà superiore capace di dare certezze definitive. Il motivo del varco ritorna nella Casa dei doganieri, v. 19.
18. qual ... ritrovi: possa ritrovarsi quale voleva essere, sottratto al destino immutabile.
19. segnarti: tracciarti, indicarti.
20. nei sommossi campi: sulla superficie mossa, agitata.
21. spuma o ruga: schiuma o corrugarsi dell’onda (a indicare l’estrema "labilità" e inconsistenza, o precarietà, della via di fuga).
22. l’avara: «la speranza d’immortalità del poeta è definita avara perché non è messa in comune con gli altri uomini; se viene condivisa, è solo per privarsene (avara, allora, vorrà anche dire esigua)» (Guglielminetti).
23. A’ nuovi giorni: per i giorni che verranno, per il tempo che mi resta da vivere (è un complemento di scopo, di destinazione).
24. fato: destino (ma l’uso di questo latinismo racchiude in sé qualcosa di inesorabile).
25. prode: rive, sponde.
26. Il tuo ... eterno: l’interlocutrice è fisicamente vicina ma spiritualmente lontana, perché forse ha già intrapreso il suo viaggio verso l’eterno.
ANALISI DEL TESTO
1. cure: preoccupazioni.
2. dividono: spezzano, indeboliscono.
3. pompa: che fa salire l’acqua.
4. che tentano ... flussi: che le onde del mare, col loro movimento continuo e lento, lambiscono. Flussi è soggetto di tentano, posposto per anastrofe.
5. Nulla ... leni: il mare (la marina, soggetto) non rivela, non lascia vedere nulla, se non foschie quasi immobili (pigri fumi), che il debole alitare del vento (i soffi leni) scompone, lasciando intravedere delle insenature (conche).
6. bonaccia: condizione di calma assoluta della superficie del mare.
7. l’isole ... migrabonde: le nuvole, che si spostano nel cielo (migrabonde).
8. la Capraia: isola di fronte alle coste toscane, che, nelle giornate più serene e limpide, si può vedere dalla Liguria, come la Corsica (detta dorsuta perché attraversata dal "dorso" di una catena montuosa).
9. vanisce: svanisce, scompare (ma c’è, in più, il senso sofferto della "vanità" di tutte le cose).
10. poca ... memorie: corrisponde, sul piano esistenziale, ai pigri fumi (v. 10) del paesaggio marino appena delineato. La memoria offuscata, o del tutto impossibile, è tema caro a Montale: cfr. Cigola la carrucola del pozzo, Non recidere, forbice e La casa dei doganieri.
11. che torpe: che trascorre come intorpidita, con un’estrema lentezza.
12. frangente ... destino: il destino di ogni uomo è rappresentato dall’immagine delle onde (frangente) che si infrangono sugli scogli. Il loro monotono movimento rappresenta il ripetersi sempre uguale della vita. Riprende l’immagine già proposta all’inizio con i minuti [...] eguali e fissi, paragonati al girare della pompa. Un’immagine analoga anche nella Casa dei doganieri: «Ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende» (vv. 19-20).
13. ti s’appressa: si avvicina per te.
14. passerai ... tempo: entrerai nell’eternità, avrai la certezza di una vita nuova e duratura.
15. s’infinita: raggiunge l’infinito, diventa immortale. «È un neologismo che ribadisce il verso precedente e si riallaccia all’ultimo» (Guglielminetti). È probabile che Montale abbia voluto emulare Dante, il quale aveva coniato il verbo «s’india», "diventa simile a Dio" (cfr. Paradiso, IV, v. 28: «De’ Serafin colui che più s’india»). Al Dio dantesco Montale sostituisce un più generico "infinito", in cui si racchiude il senso della sua teologia pessimistica e negativa.
16. disegno: del destino, che ci fissa in una condizione immutabile.
17. il varco: il punto, o luogo, che separa il tempo terreno dall’eterno (v. 37), dall’infinito. Corrisponde anche all’ipotesi di un passaggio dalla realtà contingente delle cose a una più profonda conoscenza dell’essere, ossia ad una realtà superiore capace di dare certezze definitive. Il motivo del varco ritorna nella Casa dei doganieri, v. 19.
18. qual ... ritrovi: possa ritrovarsi quale voleva essere, sottratto al destino immutabile.
19. segnarti: tracciarti, indicarti.
20. nei sommossi campi: sulla superficie mossa, agitata.
21. spuma o ruga: schiuma o corrugarsi dell’onda (a indicare l’estrema "labilità" e inconsistenza, o precarietà, della via di fuga).
22. l’avara: «la speranza d’immortalità del poeta è definita avara perché non è messa in comune con gli altri uomini; se viene condivisa, è solo per privarsene (avara, allora, vorrà anche dire esigua)» (Guglielminetti).
23. A’ nuovi giorni: per i giorni che verranno, per il tempo che mi resta da vivere (è un complemento di scopo, di destinazione).
24. fato: destino (ma l’uso di questo latinismo racchiude in sé qualcosa di inesorabile).
25. prode: rive, sponde.
26. Il tuo ... eterno: l’interlocutrice è fisicamente vicina ma spiritualmente lontana, perché forse ha già intrapreso il suo viaggio verso l’eterno.
ANALISI DEL TESTO
In questo componimento, Montale riprende il motivo del viaggio, tipico di tanta letteratura decadente e novecentesca, ma ne offre un’interpretazione del tutto personale: il viaggio è giunto alla fine, arrestandosi nell’immobilità della vita e del tempo. L’«anima» è morta, in quanto «non sa più dare un grido» (v. 3), simbolo di liberazione o comunque di vita (si veda anche il testo di Ungaretti, Tutto ho perduto, al v. 3); quella vita che si è come fermata nel giro dei «minuti ... eguali e fissi» (v. 4). Ma il paradosso consiste nel fatto che la vita continua, nell’implacabile monotonia delle sue «cure meschine»; il viaggio non è finito, ma, a ben vedere, non è neppure mai cominciato, se si attribuisce, a questo motivo, la possibilità di modificare la situazione di partenza, arricchendola di nuove prospettive e acquisizioni. Il viaggio di cui si parla non ha nessun referente reale, ma è un percorso interamente "testuale", quello, esemplificato dalle poesie del libro, attraverso una parola che non può sciogliere dubbi né offrire certezze consolatorie (si veda, in particolare, Non chiederci la parola).
Terminando alla «casa sul mare», il viaggio giunge comunque al suo limite estremo, oltre il quale non è possibile procedere. Il confine fra la terra e l’acqua non apre nuove prospettive, ma il mare risulta un termine e un ostacolo invalicabile, superficie opaca e stagnante che «nulla disvela» (a differenza di altri poeti, come Baudelaire e Rimbaud, che avevavo visto nel mare il senso profondo di un mistero aperto a nuove esigenze conoscitive). I «pigri fumi» della «marina» (vv. 10-11) corrispondono alla «poca nebbia di memorie» (v. 17), che viene a recidere anche i ponti con il passato, per l’incapacità della memoria di trattenere in vita le immagini dei ricordi felici (è il motivo sviluppato in particolare da Cigola la carrucola del pozzo, al quale si può anche ricondurre, su un piano di riprese intertestuali, l’immagine dei «giri di ruota della pompa», sviluppata nei vv. 5-7). La «casa sul mare» diventa quindi una specie di terra di nessuno, sospesa fra la vita e la morte, in un limbo in cui è difficile poter sperare o attendere qualcosa.
Anche qui, all’inizio della terza strofa, Montale si rivolge direttamente a un interlocutore, che rappresenta adesso, più propriamente; una persona vicina al poeta, una figura femminile alla quale si sente affettivamente legato (anche se non è identificabile con precisione, a detta dello stesso Montale). A questa persona il poeta vorrrebbe poter fornire qualche risposta sul «destino» dell’uomo, che sembra irrimediabilmente condannato dal «tempo»; forse prospettare un’ipotesi di «salvezza» nell’eternità, in cui si plachino - risolvendosi in essa - le inquietudini e le angosce della vita. Ma si tratta di un’ipotesi improbabile, del tutto vaga e remota; «labile» - per riprendere il rapporto fra ricerca interiore e realtà naturali - come «spuma o ruga» (v. 30) nell’incresparsi della superficie del mare. Il poeta non può che augurarla alla sua compagna di avventura terrena, donandole, quasi un gesto di offerta propiziatoria, «l’avara sua speranza»; quella speranza in cui egli, per se stesso, ha cessato di credere.
Terminando alla «casa sul mare», il viaggio giunge comunque al suo limite estremo, oltre il quale non è possibile procedere. Il confine fra la terra e l’acqua non apre nuove prospettive, ma il mare risulta un termine e un ostacolo invalicabile, superficie opaca e stagnante che «nulla disvela» (a differenza di altri poeti, come Baudelaire e Rimbaud, che avevavo visto nel mare il senso profondo di un mistero aperto a nuove esigenze conoscitive). I «pigri fumi» della «marina» (vv. 10-11) corrispondono alla «poca nebbia di memorie» (v. 17), che viene a recidere anche i ponti con il passato, per l’incapacità della memoria di trattenere in vita le immagini dei ricordi felici (è il motivo sviluppato in particolare da Cigola la carrucola del pozzo, al quale si può anche ricondurre, su un piano di riprese intertestuali, l’immagine dei «giri di ruota della pompa», sviluppata nei vv. 5-7). La «casa sul mare» diventa quindi una specie di terra di nessuno, sospesa fra la vita e la morte, in un limbo in cui è difficile poter sperare o attendere qualcosa.
Anche qui, all’inizio della terza strofa, Montale si rivolge direttamente a un interlocutore, che rappresenta adesso, più propriamente; una persona vicina al poeta, una figura femminile alla quale si sente affettivamente legato (anche se non è identificabile con precisione, a detta dello stesso Montale). A questa persona il poeta vorrrebbe poter fornire qualche risposta sul «destino» dell’uomo, che sembra irrimediabilmente condannato dal «tempo»; forse prospettare un’ipotesi di «salvezza» nell’eternità, in cui si plachino - risolvendosi in essa - le inquietudini e le angosce della vita. Ma si tratta di un’ipotesi improbabile, del tutto vaga e remota; «labile» - per riprendere il rapporto fra ricerca interiore e realtà naturali - come «spuma o ruga» (v. 30) nell’incresparsi della superficie del mare. Il poeta non può che augurarla alla sua compagna di avventura terrena, donandole, quasi un gesto di offerta propiziatoria, «l’avara sua speranza»; quella speranza in cui egli, per se stesso, ha cessato di credere.
Postato il 14 maggio 2011
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