Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con
i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d'inesauribile segreto
Mariano, il 29 giugno 1916
Il componimento, che dava il titolo alla prima raccolta ungarettiana, assume una particolare importanza per intendere l’idea di poesia che ne è alla base. Così ha scritto Ungaretti: «Si vuole sapere perché la mia prima raccoltina s’intitolasse Il Porto Sepolto. Verso i sedici, diciassette anni, forse più tardi, ho conosciuto due giovani ingegneri francesi, i fratelli Thuile, Jean e Henri Thuile. Entrambi scrivevano. [...] Abitavano fuori d’Alessandria, in mezzo al deserto, al Mex. Mi parlavano d’un porto, d’un porto sommerso, che doveva precedere l’epoca tolemaica, provando che Alessandria era un porto già prima d’Alessandro, che già prima d’Alessandro era una città. Non se ne sa nulla. Quella mia città si consuma e s’annienta d’attimo in attimo. Come faremo a sapere delle sue origini se non persiste più nulla nemmeno di quanto è successo un attimo fa? Non se ne sa nulla, non ne rimane altro segno che quel porto custodito in fondo al mare, unico documento tramandatoci d’ogni era d’Alessandria. Il titolo del mio primo libro deriva da quel porto».
Il «porto sepolto», in questo senso, rappresenta l’essenza della poesia, il suo mistero nascosto, la fonte del miracolo e il mito da cui trae origine. Il primo verso allude a una sorta di «immersione rituale e purificatrice nelle acque primigenie» (Ossola), di tipo iniziatico, cui segue la risalita alla superficie, quasi un gesto di resurrezione e di gioiosa rinascita, in cui la poesia, strappata alla profondità del mare, viene sparsa nell’atmosfera luminosa della terra. Ancora Ossola ha osservato che il verbo «disperde» deriva da alcuni luoghi dell’Eneide virgiliana (in particolare III, vv. 443-451, ma anche XI, vv. 617 e 794-795), dove si dice che «si disperdevano al vento le sentenze della Sibilla», con un gesto magico-misterico che sottolinea anche la «profondità simbolica» dell’immagine ungarettiana. Lo stesso interprete ha sottolineato, per la seconda strofa, il debito contratto nei confronti di Leopardi da Ungaretti, che così ha commentato L’infinito: «Ciò che è presente è inavvertitamente passato nello spazio infinito dell’assenza, nel mare dove i poeti usano naufragare: il questo - anche il questo della siepe - s’è fatto quello». Uno stesso uso dei dimostrativi si riscontra nei vv. 4 e 6 del Porto sepolto, in cui «questa poesia» si risolve in «quel nulla». Il nulla può essere considerato l’equivalente del «mare dove i poeti usano naufragare» (anche l’idea del "naufragio" è fondamentale nella poetica ungarettiana), nel passaggio, in cui consiste tanta parte del procedimento analogico, da una dimensione materiale a una dimensione immateriale dell’esistenza. Lo stesso «nulla», a sua volta, è sostanziato da un «inesauribile segreto», ossia dal mistero profondo della vita, che, toccando le radici dell’essere, non ha né inizio né fine, e coincide quindi con l’infinito. L’ossimoro «nulla»-«inesauribile» è quindi la condizione essenziale della poesia, con la sua accanita ricerca di una «parola» che sfiori il «segreto», senza tuttavia coglierne la sostanza indicibile (ma si veda anche, in proposito, l’analisi di Commiato, che si collega strettamente alla lirica qui esaminata).
Postato il 2 maggio 2011
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