30 gennaio 2008

Uomini adatti alla fuga davanti al Papa dialogante

In quei 67 docenti un deficit di coraggio
di Davide Rondoni
Una volta si diceva che la miglior difesa è l’attacco. Ma poiché il coraggio, come insegnava Manzoni, uno da solo non se lo da, i vili più spesso scelgono la fuga come modo per salvare le penne, anche a costo di lasciare sul campo la dignità. È quel che successo al robusto manipolo di 'coraggiosi' docenti de La Sapienza che han deciso di fuggire dal confronto con la parola di Benedetto XVI. Poiché di questo si è trattato.
Mandando avanti fumosi documenti, la minaccia di fumogeni, mandando avanti le teste affumicate da vecchi slogan di pattuglie di ragazzi sempre replicanti sogni invecchiati di costoro, hanno coperto la loro fuga. Benedetto XVI ha preso atto che costoro hanno costretto l’università La Sapienza alla fuga.
Tale viltà segnala un deficit non solo di laicità e di senso istituzionale e storico; soprattutto segnala paura e irresponsabilità. Due caratteristiche che in un ricercatore stanno come a un calciatore la lentezza e il piede a banana. La paura è quella che non accetta l’ospite. Lo lascia fuori dalla porta poiché teme che possa turbare il castelluccio di convinzioni e il tran tran di un piccolo potere.
L’irresponsabilità - che è più grave - è quella speciale viltà per cui si preferisce evitare di dare risposte alle urgenze, alle scoperte e alle novità del reale, e ci si limita nel cerchio tranquillizzante della propria ideologia, o della propria strategia di carriera. Una irresponsabilità dinanzi alle nuove acquisizioni della scienza - quelle sulla cui base Benedetto XVI sta richiamando tutti a uno sguardo umano e attento alla vita della persona. E una irresponsabilità dinanzi ai giovani che invece di essere introdotti al senso critico della realtà, considerandola il più largamente e profondamente possibile, vengono educati a slogans e a semplificazioni. È il viver come bruti, denunciato da Dante. Il documento dei Professori - che non passerebbe un serio esame di ammissione a qualsiasi Facoltà - e le successive dichiarazioni di alcuni, denunciano la vile attitudine a non entrar in 'mare aperto', nel merito delle questioni, preferendo buttare addosso all’interlocutore da cui si fugge una serie di luoghi comuni, di riduzioni che non solo mancano di rispetto ma, il che è quasi più grave in sessantottini di lungo corso, mancano di fantasia.
Sappiamo dalle statistiche che La Sapienza è al 150° posto per qualità, e un motivo ci sarà. In tale declassamento un peso lo deve avere anche questo tipo di viltà irresponsabile. Che convivendo con l’impegno ammirevole di tanti docenti, stavolta è emersa con la sua grigia e buffa divisa di gendarmi in fuga, e che nutre una ragnatela continua, dentro e fuori le aule. Questo non è un problema per il Papa, ma per l’Italia.
Nessun ragazzo, nessun intellettuale minimamente dotato di libero cervello presume che il Papa oggi abbia altra forza se non la persuasività del suo pensiero e della testimonianza dei cristiani. Solo un occhio offuscato può descrivere l’Italia in preda a falangi oscurantiste vaticane sui media e nelle aule politiche. Il fatto è, invece, che uomini liberi, credenti e non, menti aperte e ragazzi vivaci vedono in Benedetto XVI uno dei riferimenti più alti e sinceri con cui paragonare esistenza e scelte. E questo fa paura a chi invece cerca una supponente, cieca tranquillità. Si tratta di un eroismo da pantofolai, abituati alle coccole di media e di tribuni. Uomini adatti alla fuga di fronte a un Papa come di fronte alla realtà.
Ma, come hanno sempre scritto i poeti, la realtà è testarda. E si ripresenta, cercando uomini avventurosi, non vili.
«Avvenire» del 17 gennaio 2008

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