22 gennaio 2008

Se tutto diventa merce tutto diventa marcio: globalizzare la dignità

di Gennaro Matino
Il mercato è scambio: gli uomini sono spinti dai propri bisogni al commercio dei beni. Nelle primitive forme di baratto probabilmente si scambiavano dei beni equivalenti, forse chi aveva più acqua la scambiava con chi aveva più cibo. Forse all’origine delle prime forme di società la spinta del bisogno si affiancava a quella della solidarietà. Probabilmente si dividevano i beni secondo i bisogni di ciascuno. Oggi è diverso: dove ci sta portando un’economia senza solidarietà? Se la globalizzazione dei mercati ha globalizzato la povertà in alcune aree del pianeta e in fasce sociali sempre più ampie è perché lo scambio ha perso la sua originaria valenza: il suo essere divisione equa delle risorse del pianeta per fronteggiare insieme le situazioni di scarsezza.
Oggi lo scambio avviene tra chi si è preso tutto e chi, non avendo nulla da dare in cambio, è costretto a subire le regole di un mercato senza regole. Il capitalismo sfrenato, in nome di una presunta libertà dell’economia, ha finito col globalizzare l’ingiustizia, facendo perdere all’economia il suo essere scienza della liberazione e del progresso di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. La Chiesa che un tempo, in difesa dei valori etici universali e della libertà, arrivò a scomunicare ideologie e sistemi, oggi in difesa di quegli stessi valori non può che far sentire ancora più forte la sua voce. Il capitalismo senza etica è devastante, rendersene conto è la prima condizione per schierarsi dalla parte degli ultimi. Invece sembra che tra noi credenti ci sia un diverso approccio al problema. Anche se il Magistero affronta la questione con estremo coraggio, le nostre comunità non sempre sono interessate a tali problematiche. Nelle comunità parrocchiali dovremmo approfondire con maggiore attenzione la Dottrina sociale e ricordare quanto sia preoccupante e lontano da ogni principio evangelico l’atteggiamento di quanti, pur di accumulare tesori sulla terra, ostacolano la realizzazione di quel regno di giustizia e pace che noi cristiani siamo chiamati a costruire. Si dovrebbe rilanciare la Populorum Progressio, ancora attuale perché mai attuata e forse noi tutti dovremmo prendere atto che, su questo punto, aveva ragione Marx quando sosteneva che l’economia è la base della storia, come ben sa chi con la ricchezza genera ingiustizia. Di fatto oggi la coscienza dell’uomo sembrerebbe essere determinata dal solo interesse economico, dall’ingordigia di chi volendo ottenere sempre di più ha sovvertito le naturali leggi dello scambio. Bisognerebbe riscoprire il coraggio profetico della Rerum Novarum per frenare forme di capitalismo che, come all’epoca di Leone XIII, sfruttano la mano d’opera infischiandosene dei diritti dei lavoratori, della loro sicurezza, soprattutto se si tratta di extracomunitari, adulti o bambini che siano. Il numero delle morti bianche è un triste bollettino di guerra che ci dà la giusta misura di quanto, in nome del profitto, si calpesti la vita. Noi tutti dovremmo avere il coraggio di smascherare quanti, nascosti dietro il volto anonimo delle multinazionali, alimentano un’economia diabolica che sta trasformando persino i bambini in merce di scambio, in consumatori ideali, perché indifesi, di un mercato senza scrupoli.
La base economica di una società rispecchia l’etica di un popolo e non può esservi etica in un mondo che consente alle leggi del mercato di dimenticare che nello scambio dei beni l’unico vero bene dell’uomo è la sua dignità. Nessuno dovrebbe ignorare che l’economia è dell’uomo e non l’uomo dell’economia. Mai come oggi la Chiesa deve gridare dai tetti la sua indignazione o davvero l’etica non rimane altro che una sovrastruttura incapace di correggere la coscienza infelice dell’uomo.
«Avvenire» del 22 gennaio 2008

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