di Antonio Giuliano
Quel Garibaldi di spalle che campeggia sulla copertina svela già l’intento di questo libro. Che cosa c’è dietro l’immagine mitologica del nostro Risorgimento? I 'padri della patria', Cavour, Mazzini, Vittorio Emanuele II e il venerato eroe dei due mondi, meritano davvero l’aureola? Non chiedetelo all’autore di questo volume, Gigi Di Fiore: per lui il nostro processo unitario è stato sin troppo 'beatificato'.
Il titolo del suo saggio parla chiaro: Controstoria dell’unità d’Italia. Una rilettura che non nasconde gli abusi e gli intrighi dell’unificazione e mette sotto accusa i capisaldi di una pagina di storia celebrata ancora con retorica eccessiva. Il libro trabocca di fendenti. Tanto per cominciare l’unità d’Italia fu l’esito di una conquista militare dei Savoia e non il frutto di una rivoluzione di popolo. C’era una spinta, se pur minoritaria, che veniva dal basso, ma la maggioranza degli italiani conservò un atteggiamento passivo di attesa. In che modo poi l’esercito sabaudo avrebbe potuto spuntarla nelle Seconda (1859) e Terza (1866) guerra d’indipendenza senza l’ausilio delle armate francesi e prussiane?
E come i mille garibaldini riuscirono a sbaragliare i 50 mila soldati dei Borbone? Per l’autore sono passate sotto silenzio le collusioni con la malavita locale in Sicilia e a Napoli, la corruzione degli ufficiali borbonici o la cinica rete diplomatica del governo piemontese. Sul piatto fu messa la cessione di alcuni territori italiani (Nizza e Savoia) alla Francia e perfino un matrimonio-sacrificio della principessa Maria Clotilde di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II, con il cugino dell’imperatore, Girolamo Bonaparte. E per rincarare la dose di lusinghe Cavour non esitò a mandare a Parigi una sua lontana cugina diciottenne, Virginia Oldoini contessa di Castiglione: con la sua sensualità avrebbe finalmente convinto Napoleone III a dare l’appoggio politico e militare al Piemonte.
Ma ben più spregiudicato fu il governo piemontese nel Mezzogiorno. Drammatico fu il conflitto tra l’esercito italiano e i contadini meridionali. È tempo di chiamarla finalmente per nome: fu una 'guerra civile', sbotta amaramente Di Fiore. Il brigantaggio costò un numero di morti quasi uguale a quello delle tre guerre d’indipendenza insieme: dal 1861 al 1865, le vittime furono 5212, gli arrestati 5044, i consegnati 3597, secondo i dati dell’Ufficio storico dell’esercito. Sono i passi più crudi del testo quelli che rievocano l’ordine di fucilare tutti i briganti assoldati da Carmine Crocco e dal suo braccio destro 'Ninco Nanco' sui monti dell’Appennino lucano, il cuore della rivolta.
Probabilmente se oggi l’autore dovesse scegliere tra i Borbone e i Savoia opterebbe per i primi. Però è innegabile che l’estensione delle leggi piemontesi al Sud creò non pochi attriti con gli ex sudditi degli Stati preunitari. Senza contare gli altri atti d’accusa del volume: le dure normative imposte al solo meridione, i plebisciti 'combinati' per annettere gli Stati centrali e i provvedimenti anticattolici contro la Chiesa e gli ordini religiosi. Non è di certo il primo libro che punta l’indice contro il processo storico di unificazione del nostro Paese. Ma questo saggio è una corposa raccolta dell’ 'altro' Risorgimento: quello troppo spesso taciuto e volutamente dimenticato, soprattutto in alcuni manuali scolastici. C’è una comprensione evidente per le ragioni di quegli italiani che specie al Sud pagarono duramente l’unità. Ma ricucendo le ferite del nostro Risorgimento è forse più facile comprendere anche le difficoltà odierne del Paese. È questo l’intento dell’autore: «Non è sterile nostalgia per un paese diviso o per mettere in discussione l’assetto unitario: solo amore di verità senza pregiudizi». Anche le pagine più luminose della nostra storia non sono esenti da ombre.
Qualcuno disse: «Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento italiano durante il Risorgimento, vi troveranno cose da cloaca». Era amareggiato per la cessione di Nizza, ma queste parole sono dell’insospettabile Giuseppe Garibaldi.
Il titolo del suo saggio parla chiaro: Controstoria dell’unità d’Italia. Una rilettura che non nasconde gli abusi e gli intrighi dell’unificazione e mette sotto accusa i capisaldi di una pagina di storia celebrata ancora con retorica eccessiva. Il libro trabocca di fendenti. Tanto per cominciare l’unità d’Italia fu l’esito di una conquista militare dei Savoia e non il frutto di una rivoluzione di popolo. C’era una spinta, se pur minoritaria, che veniva dal basso, ma la maggioranza degli italiani conservò un atteggiamento passivo di attesa. In che modo poi l’esercito sabaudo avrebbe potuto spuntarla nelle Seconda (1859) e Terza (1866) guerra d’indipendenza senza l’ausilio delle armate francesi e prussiane?
E come i mille garibaldini riuscirono a sbaragliare i 50 mila soldati dei Borbone? Per l’autore sono passate sotto silenzio le collusioni con la malavita locale in Sicilia e a Napoli, la corruzione degli ufficiali borbonici o la cinica rete diplomatica del governo piemontese. Sul piatto fu messa la cessione di alcuni territori italiani (Nizza e Savoia) alla Francia e perfino un matrimonio-sacrificio della principessa Maria Clotilde di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II, con il cugino dell’imperatore, Girolamo Bonaparte. E per rincarare la dose di lusinghe Cavour non esitò a mandare a Parigi una sua lontana cugina diciottenne, Virginia Oldoini contessa di Castiglione: con la sua sensualità avrebbe finalmente convinto Napoleone III a dare l’appoggio politico e militare al Piemonte.
Ma ben più spregiudicato fu il governo piemontese nel Mezzogiorno. Drammatico fu il conflitto tra l’esercito italiano e i contadini meridionali. È tempo di chiamarla finalmente per nome: fu una 'guerra civile', sbotta amaramente Di Fiore. Il brigantaggio costò un numero di morti quasi uguale a quello delle tre guerre d’indipendenza insieme: dal 1861 al 1865, le vittime furono 5212, gli arrestati 5044, i consegnati 3597, secondo i dati dell’Ufficio storico dell’esercito. Sono i passi più crudi del testo quelli che rievocano l’ordine di fucilare tutti i briganti assoldati da Carmine Crocco e dal suo braccio destro 'Ninco Nanco' sui monti dell’Appennino lucano, il cuore della rivolta.
Probabilmente se oggi l’autore dovesse scegliere tra i Borbone e i Savoia opterebbe per i primi. Però è innegabile che l’estensione delle leggi piemontesi al Sud creò non pochi attriti con gli ex sudditi degli Stati preunitari. Senza contare gli altri atti d’accusa del volume: le dure normative imposte al solo meridione, i plebisciti 'combinati' per annettere gli Stati centrali e i provvedimenti anticattolici contro la Chiesa e gli ordini religiosi. Non è di certo il primo libro che punta l’indice contro il processo storico di unificazione del nostro Paese. Ma questo saggio è una corposa raccolta dell’ 'altro' Risorgimento: quello troppo spesso taciuto e volutamente dimenticato, soprattutto in alcuni manuali scolastici. C’è una comprensione evidente per le ragioni di quegli italiani che specie al Sud pagarono duramente l’unità. Ma ricucendo le ferite del nostro Risorgimento è forse più facile comprendere anche le difficoltà odierne del Paese. È questo l’intento dell’autore: «Non è sterile nostalgia per un paese diviso o per mettere in discussione l’assetto unitario: solo amore di verità senza pregiudizi». Anche le pagine più luminose della nostra storia non sono esenti da ombre.
Qualcuno disse: «Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento italiano durante il Risorgimento, vi troveranno cose da cloaca». Era amareggiato per la cessione di Nizza, ma queste parole sono dell’insospettabile Giuseppe Garibaldi.
Gigi Di Fiore, Controstoria dell’unità d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento, Rizzoli, pp. 462, € 19,50
«Avvenire» del 6 gennaio 2008
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