di Sandro Lagomarsini
«Maschere rosse, maschere bianche, / maschere allegre, maschere stanche. / Facce affittate / per un giorno di allegria. / Poi si appendono al muro, /la finzione è finita: / è meglio affrontare / senza maschera la vita». Ripesco questi versi senza pretese da un "laboratorio di poesia" di tanti anni fa. Il tema era il carnevale, ma erano ammesse anche altre ispirazioni. Tutti i ragazzi parteciparono al gioco. I più piccoli potevano chiedere aiuto e suggerimenti. I pensieri più semplici, disposti in modo da dare ad ogni parola il giusto valore, acquistavano nella declamazione un rilievo che sorprendeva gli stessi autori. Non si stabilirono graduatorie, né in quella né in altre occasioni. Quante esperienze di questo tipo propone la scuola? La poesia resta per i ragazzi una realtà conosciuta solo dall’esterno. Pochi hanno la possibilità di accorgersi che rime e assonanze, paragoni e metafore, ritmi e cadenze, ossimori e metonimie, licenze e neologismi, anacoluti e solecismi compaiono prima o poi quando la lingua è usata in un contesto comunicativo. Eppure, se ottenete di sfogliare un diario di scuola media, ci trovate anche lo spirito del limerick (poesiola scherzosa in inglese) o del calembour (gioco di parole in francese). È dunque possibile un approccio più gradevole e creativo. Il fascino che esercita anche sui giovanissimi Il postino di Massimo Troisi lo conferma. Tutto questo non deve alimentare l’illusione di ottenere dei precoci ragazzi-poeti. La costruzione del verso deve restare un gioco interno alla scuola, senza poesie da "inventare" per compito, senza pubblicazioni che espongono gli autori immaturi a giudizi pesanti. E sarà pure bene non cadere nelle trappole della retorica adolescenziale, di cui è un esempio L’attimo fuggente di Peter Weir. All’epoca ci furono moltissime proiezioni per le scuole, forse con la speranza, come scrisse un critico, di eliminare il brutto «immaginario pedagogico di tutta una generazione». A mio modesto parere non è molto saggio spingere gli studenti a scambiare la vita con la letteratura, né a confondere col fuoco dell’arte i cambi d’umore della crescita.
«Avvenire» del 13 dicembre 2006
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