di Alessandro D'Avenia
Non me ne vogliate, ma non ho paura di affermare che il mago della Rowling è per noi insegnanti una benedizione: non è un giudizio, ma un dato di fatto. Ci lamentiamo sempre che i ragazzi non leggono ed è la solita trita geremiade di chi vive dei fasti spesso immaginari del tempo andato. Oggi più ragazzi leggono di più che in passato. Harry Potter, Il Signore degli Anelli, Le cronache di Narnia sono libri da migliaia di pagine che i giovanissimi non solo non temono, ma divorano. Non succedeva da tempo di vederli leggere di nascosto durante una lezione noiosa...
Il pregio di queste saghe, senza entrare ancora nel merito dei contenuti, è avere appassionato alla lettura milioni di persone, nutriti da una cultura fatta per lo più di immagini. E anche se paludate gerarchie accademiche non accordano il loro placet, i lettori se ne fregano.
Leggono e basta e, nel bene e nel male, hanno sempre ragione, come dice Pennac.
Il primo giorno di scuola delle superiori sottopongo ai miei nuovi alunni un questionario che contiene la scelta del loro libro, film, canzone, luogo preferiti. Lì dove si posano i sensi di un ragazzino di 14 anni si trova il suo panorama di vita, la fetta di mondo che lo interessa e lo riguarda. E noi siamo, oggi più che mai, ciò che guardiamo, ciò a cui accordiamo, consapevoli o no, la nostra attenzione: dalle stelle del calcio a quelle del cielo. Spesso nella sezione libri la casella è riempita dalla saga di Harry Potter, un fenomeno che ha segnato una generazione di ragazzi. Mi sono chiesto perché i ragazzi facevano file da concerto davanti alle librerie per accaparrarsi il volume fresco fresco. Leggendo i libri, io per primo, e ascoltando le loro motivazioni sono arrivato ad alcune conclusioni.
Innanzitutto la trama. Lo snodarsi degli eventi è incalzante e appassionante. Ma questo non basta e potrebbe inserire il libro nella moltitudine di storie fatte solo di colpi di scena. Ma in Harry Potter la trama è di più della trama, in relazione al lettore che genera. I 7 libri sono attraversati da un’unica grande storia in cui non si può spostare un pezzo senza far crollare il puzzle: questo offre ai ragazzi la possibilità di concepire la vita come un racconto unitario. L’esistenza è una storia, che non riusciamo a cogliere se la riduciamo a un concetto o all’affastellarsi insensato di esperienze ed emozioni. Un grande regista diceva che la trama è la capacità dell’uomo di strappare un senso al flusso del tempo. Noi leggiamo storie perché cerchiamo la nostra. Chi non ha una storia non ha identità: solo frammenti pulviscolari dell’io. I ragazzi hanno fame di poter concepire la loro vita, alla sua alba, come un «intero sensato», con un inizio uno sviluppo e una fine. Loro si chiedono, nell’età fatta per questo, che senso ha la vita? Cosa ne sarà di me? Per cosa potrò spendere le mie risorse migliori? In definitiva: chi sono io?
Harry è un ragazzino qualunque, piuttosto sfortunato nella vita ordinaria, nella quale però scopre la sua vera vocazione: la magia. Cosa è questa se non la biografia di un adolescente, che si sente brutto, incapace, inadeguato come ogni adolescente che si rispetti, e ha fame di trovare quel qualcosa che lo renderà diverso dagli altri, originale, autentico, vivo? L’identificazione con Harry è dovuta alla domanda centrale dell’adolescenza: che storia sono venuto a raccontare io, così come sono?
Evasione! Sentenziano alcuni. Ma la letteratura è sempre momentanea evasione, per una successiva più profonda immersione nel reale, a meno che non si riesca a distinguere reale e immaginario, patologia che accomuna squilibrati e arcigni nemici di magie e scope volanti, dimentichi di averle usate da bambini... Persino le Sirene, Scilla, Cariddi e il Ciclope nessuno li ha mai visti, ma le favole non dicono ai bambini che esistono i draghi - i bambini già sanno che esistono - dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti.
In Harry Potter c'è quello di cui tutti abbiamo bisogno: come si affrontano i draghi della vita? Forse non passerà alla storia della letteratura, ma questa saga ha qualcosa da dire al cuore dei suoi giovani e meno giovani lettori, che vi trovano dentro una di quelle verità tanto semplici che ci sembrano ormai naïf: tutti vogliamo essere amati e amare. Profondamente.
Harry porta sulla fronte la cicatrice del sacrificio di sua madre, che è morta per salvarlo da Voldemort, ossessionato dal desiderio di potere e immortalità. Harry è fortissimo perché è stato amato da sua madre fino al sacrificio, ha sì talento per la magia, ma il suo vero talento è l’amore che ha ricevuto. Quale ragazzo non vuole questo? Quale uomo? Se tanti ragazzi si identificano con questo desiderio, non è segno che forse spesso non ricevono quell’amore? Una generazione fragile come quella attuale non è forse una generazione poco amata o amata nel modo sbagliato?
Harry decide di fare come ha fatto sua madre con lui: affronta la morte per salvare i suoi amici. È stato amato profondamente e proprio per questo ha un debito: anche lui vuole amare allo stesso modo. Non ha solo la forza di chi è amato, ma ha il coraggio di chi vuole amare. Infatti tutto il romanzo è un grande inno all'amicizia. Harry raggiunge i suoi obiettivi (dallo studio, sì in questo romanzo i ragazzi studiano e sodo, al primo amore, raccontato con delicatezza) grazie all’aiuto dei suoi amici, capolavori di luci e ombre come sono gli amici veri.
Per finire, pochi hanno sottolineato che Harry Potter è una saga che racconta la scuola. La scuola come i ragazzi di tutto il mondo la vorrebbero. Una scuola in cui si studia, si fatica, ma per qualcosa di grande. Una scuola con un pizzico di follia e mistero. Una scuola in cui i professori sono tutti veri esperti della materia. Forse non tutti simpatici (persino il professor Piton è amatissimo dai lettori), ma è una scuola in cui gli adulti sono e fanno gli adulti, non lesinano sforzi e affiancano battaglie e paure dei ragazzi, aiutandoli a trovare la loro vocazione, la loro storia: sfidandoli, mettendoli alla prova, mostrando loro che la scuola c’entra con la vita e con il mondo.
Tutto questo non è poco. J.Conrad lo diceva meglio all’inizio di un suo romanzo: «Se riesco, qui troverete, secondo i vostri meriti: incoraggiamento, consolazione, incanto e forse, anche quel barlume di verità che vi siete dimenticati di chiedere».
Harry Potter è il libro che ha conquistato alla lettura una generazione. Ciascuno di noi ha un libro che alle elementari o alle medie ha inaugurato un mondo nuovo. Tutto è cominciato da Verne, Tolkien, Ende, Salgari, Collodi... Poi siamo andati oltre, abbiamo raffinato la ricerca e le scelte. Oggi, che ci piaccia o no, c’è la Rowling con il suo mago. Se milioni di ragazzi di culture diverse lo leggono con fame non è solo questione di mercato e gadget: è anche questione di cuore. E il cuore di un ragazzo bisogna ascoltarlo con le parole che ha, anche se suonano assai semplici.
E se quest’estate ho potuto dare ai miei ragazzi più cresciuti Shakespeare, Cervantes, Dickens, Dostoevskij, Tolstoj, Tomasi di Lampedusa... è anche grazie alle magie di Harry.
Il pregio di queste saghe, senza entrare ancora nel merito dei contenuti, è avere appassionato alla lettura milioni di persone, nutriti da una cultura fatta per lo più di immagini. E anche se paludate gerarchie accademiche non accordano il loro placet, i lettori se ne fregano.
Leggono e basta e, nel bene e nel male, hanno sempre ragione, come dice Pennac.
Il primo giorno di scuola delle superiori sottopongo ai miei nuovi alunni un questionario che contiene la scelta del loro libro, film, canzone, luogo preferiti. Lì dove si posano i sensi di un ragazzino di 14 anni si trova il suo panorama di vita, la fetta di mondo che lo interessa e lo riguarda. E noi siamo, oggi più che mai, ciò che guardiamo, ciò a cui accordiamo, consapevoli o no, la nostra attenzione: dalle stelle del calcio a quelle del cielo. Spesso nella sezione libri la casella è riempita dalla saga di Harry Potter, un fenomeno che ha segnato una generazione di ragazzi. Mi sono chiesto perché i ragazzi facevano file da concerto davanti alle librerie per accaparrarsi il volume fresco fresco. Leggendo i libri, io per primo, e ascoltando le loro motivazioni sono arrivato ad alcune conclusioni.
Innanzitutto la trama. Lo snodarsi degli eventi è incalzante e appassionante. Ma questo non basta e potrebbe inserire il libro nella moltitudine di storie fatte solo di colpi di scena. Ma in Harry Potter la trama è di più della trama, in relazione al lettore che genera. I 7 libri sono attraversati da un’unica grande storia in cui non si può spostare un pezzo senza far crollare il puzzle: questo offre ai ragazzi la possibilità di concepire la vita come un racconto unitario. L’esistenza è una storia, che non riusciamo a cogliere se la riduciamo a un concetto o all’affastellarsi insensato di esperienze ed emozioni. Un grande regista diceva che la trama è la capacità dell’uomo di strappare un senso al flusso del tempo. Noi leggiamo storie perché cerchiamo la nostra. Chi non ha una storia non ha identità: solo frammenti pulviscolari dell’io. I ragazzi hanno fame di poter concepire la loro vita, alla sua alba, come un «intero sensato», con un inizio uno sviluppo e una fine. Loro si chiedono, nell’età fatta per questo, che senso ha la vita? Cosa ne sarà di me? Per cosa potrò spendere le mie risorse migliori? In definitiva: chi sono io?
Harry è un ragazzino qualunque, piuttosto sfortunato nella vita ordinaria, nella quale però scopre la sua vera vocazione: la magia. Cosa è questa se non la biografia di un adolescente, che si sente brutto, incapace, inadeguato come ogni adolescente che si rispetti, e ha fame di trovare quel qualcosa che lo renderà diverso dagli altri, originale, autentico, vivo? L’identificazione con Harry è dovuta alla domanda centrale dell’adolescenza: che storia sono venuto a raccontare io, così come sono?
Evasione! Sentenziano alcuni. Ma la letteratura è sempre momentanea evasione, per una successiva più profonda immersione nel reale, a meno che non si riesca a distinguere reale e immaginario, patologia che accomuna squilibrati e arcigni nemici di magie e scope volanti, dimentichi di averle usate da bambini... Persino le Sirene, Scilla, Cariddi e il Ciclope nessuno li ha mai visti, ma le favole non dicono ai bambini che esistono i draghi - i bambini già sanno che esistono - dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti.
In Harry Potter c'è quello di cui tutti abbiamo bisogno: come si affrontano i draghi della vita? Forse non passerà alla storia della letteratura, ma questa saga ha qualcosa da dire al cuore dei suoi giovani e meno giovani lettori, che vi trovano dentro una di quelle verità tanto semplici che ci sembrano ormai naïf: tutti vogliamo essere amati e amare. Profondamente.
Harry porta sulla fronte la cicatrice del sacrificio di sua madre, che è morta per salvarlo da Voldemort, ossessionato dal desiderio di potere e immortalità. Harry è fortissimo perché è stato amato da sua madre fino al sacrificio, ha sì talento per la magia, ma il suo vero talento è l’amore che ha ricevuto. Quale ragazzo non vuole questo? Quale uomo? Se tanti ragazzi si identificano con questo desiderio, non è segno che forse spesso non ricevono quell’amore? Una generazione fragile come quella attuale non è forse una generazione poco amata o amata nel modo sbagliato?
Harry decide di fare come ha fatto sua madre con lui: affronta la morte per salvare i suoi amici. È stato amato profondamente e proprio per questo ha un debito: anche lui vuole amare allo stesso modo. Non ha solo la forza di chi è amato, ma ha il coraggio di chi vuole amare. Infatti tutto il romanzo è un grande inno all'amicizia. Harry raggiunge i suoi obiettivi (dallo studio, sì in questo romanzo i ragazzi studiano e sodo, al primo amore, raccontato con delicatezza) grazie all’aiuto dei suoi amici, capolavori di luci e ombre come sono gli amici veri.
Per finire, pochi hanno sottolineato che Harry Potter è una saga che racconta la scuola. La scuola come i ragazzi di tutto il mondo la vorrebbero. Una scuola in cui si studia, si fatica, ma per qualcosa di grande. Una scuola con un pizzico di follia e mistero. Una scuola in cui i professori sono tutti veri esperti della materia. Forse non tutti simpatici (persino il professor Piton è amatissimo dai lettori), ma è una scuola in cui gli adulti sono e fanno gli adulti, non lesinano sforzi e affiancano battaglie e paure dei ragazzi, aiutandoli a trovare la loro vocazione, la loro storia: sfidandoli, mettendoli alla prova, mostrando loro che la scuola c’entra con la vita e con il mondo.
Tutto questo non è poco. J.Conrad lo diceva meglio all’inizio di un suo romanzo: «Se riesco, qui troverete, secondo i vostri meriti: incoraggiamento, consolazione, incanto e forse, anche quel barlume di verità che vi siete dimenticati di chiedere».
Harry Potter è il libro che ha conquistato alla lettura una generazione. Ciascuno di noi ha un libro che alle elementari o alle medie ha inaugurato un mondo nuovo. Tutto è cominciato da Verne, Tolkien, Ende, Salgari, Collodi... Poi siamo andati oltre, abbiamo raffinato la ricerca e le scelte. Oggi, che ci piaccia o no, c’è la Rowling con il suo mago. Se milioni di ragazzi di culture diverse lo leggono con fame non è solo questione di mercato e gadget: è anche questione di cuore. E il cuore di un ragazzo bisogna ascoltarlo con le parole che ha, anche se suonano assai semplici.
E se quest’estate ho potuto dare ai miei ragazzi più cresciuti Shakespeare, Cervantes, Dickens, Dostoevskij, Tolstoj, Tomasi di Lampedusa... è anche grazie alle magie di Harry.
«La Stampa» del 4 luglio 2011
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