I partiti, la corruzione, il paese
di Ernesto Galli della Loggia
Perché insistere a chiedere all'onorevole Bersani risposte sincere ed esaurienti sui gravissimi sospetti di corruzione che da settimane colpiscono il Pd? Perché correre il rischio di sembrare di avercela per partito preso con la sinistra, quasi che così si volesse fare un favore alla destra? Perché attirarsi l'accusa di essere al servizio niente di meno che di una «macchina del fango» rivolta contro l'opposizione?
Una prima risposta a chi si facesse queste domande (e temo che l'onorevole Bersani sia tra questi) la fornisce il Fatto di ieri: un giornale con il quale spesso si è costretti a non essere d'accordo ma al quale va riconosciuta una notevole indipendenza politica. Ebbene, sul Fatto di ieri Ferruccio Sansa - un giornalista che è a sinistra e ha lavorato al Messaggero , a Repubblica , al Secolo XIX - racconta con abbondanza di particolari come per esperienza personale «chi tocca il centrosinistra muore»: e cioè che «i fastidi che (gli) hanno procurato le inchieste sul centrosinistra non hanno eguali» rispetto a quelle sul centrodestra, dove per «fastidi» si devono intendere «le calunnie, gli insulti, le telefonate a direttori ed editori» che le suddette inchieste gli hanno attirato in un ambiente come quello di Genova, pesantemente e capillarmente dominato dalla macchina politico-burocratica del Pd.
Ecco, fuori dai diffusi opportunismi e dai riguardi malriposti questa è l'Italia vera, quella descritta da Sansa: come sa bene chiunque conosca il Paese, le sue città, i suoi ambienti e le pratiche abituali con cui viene governato. Non foss'altro che per questo, un minimo di decenza vuole che i giornali (proprio come ha fatto il Corriere con il ministro Tremonti per la penna di Sergio Romano) non facciano sconti a nessuno; né alla destra né alla sinistra, e che gli stessi giornali si muovano con la medesima incisività: spregiudicata e forse un po' sbrigativa, se si vuole, ma questo è un altro discorso; che se lo si fa, però, allora lo si deve fare innanzi tutto quando riguarda l'avversario, non già se stessi.
Ma c'è una ragione ancora più importante, d'importanza decisiva, per cui la grande stampa d'informazione non può fare alla sinistra gli sconti che abitualmente e da anni non fa alla destra, pur avendo naturalmente l'obbligo di sottolineare tutte le diversità, se eventualmente emergono, tra i due tipi di corruzione.
La ragione è presto detta. Tutto lascia credere che l'inquinamento della nostra vita pubblica abbia ormai raggiunto livelli spaventosi, quasi vicini al punto di non ritorno. L'esperienza dice altresì che anche a sinistra, cadute le antiche barriere protettive, il fenomeno non ha virtualmente più argini significativi. Di fatto, da anni, le inchieste giudiziarie sui legami tra politica e affari sono divenute l'elemento assolutamente centrale della lotta politica italiana, mentre strumento principe di tale lotta sono sempre più i dossier che ognuno cerca di fabbricare illegalmente sul conto di tutti gli altri. Principalmente per questo è cresciuto di pari passo il ruolo virtualmente politico della magistratura, in modi e misura con ogni evidenza abnormi, e magari, lo si può ammettere, contro la volontà degli stessi magistrati anche se certo non di tutti.
Ruolo di fatto politico, che è divenuto anch'esso elemento assolutamente centrale, e patologico, della lotta tra i partiti: oggetto di polemiche continue, di dispute e ritorsioni ossessive che hanno finito per assorbire quasi ogni altra questione sul tappeto. Corruzione politica da un lato, e prassi e regole dell'azione giudiziaria dall'altro: ecco due giganteschi nodi di problemi che se non vengono sciolti sono destinati a strangolare la democrazia italiana. Ma l'esperienza ormai di decenni mostra che da sole né la destra né la sinistra riescono a farlo. Vittime l'una e l'altra dei rispettivi pregiudizi, delle rispettive convenienze, dei rispettivi legami più o meno espliciti: la destra convinta di poter riuscire prima o poi a mettere il morso alla magistratura, la sinistra convinta che alla fine le inchieste giudiziarie l'avvantaggeranno in modo risolutivo.
S'illudono entrambe. Ma mentre nutrono le loro illusioni il Paese è paralizzato, e, se si muove, è per correre alla rovina. La sola possibile soluzione per sciogliere i due nodi di cui sopra è nella fine delle illusioni sia della destra che della sinistra, e nell'affermarsi dell'idea che è necessario uno sforzo comune per trovare un'intesa all'insegna delle reciproche concessioni: un'intesa, come ripete da tempo il presidente Napolitano, che su tali questioni è un obbligo di carità di patria, di solidarietà nazionale, oltre che una necessità per la salvezza della Repubblica. Su questi temi la grande stampa d'informazione non può né deve avere indulgenza per nessuno, oltre che per le ragioni dette sopra, anche per ciò: perché tanto la destra che la sinistra devono convincersi che i due problemi fin qui considerati riguardano entrambe, che anche in questo caso non ha senso chiedersi per chi suona la campana perché la campana suona per tutti. Se la sinistra si ostina a negarlo non fa che allontanare il bene del Paese per ritrovarsi alla fine in un vicolo cieco.
Una prima risposta a chi si facesse queste domande (e temo che l'onorevole Bersani sia tra questi) la fornisce il Fatto di ieri: un giornale con il quale spesso si è costretti a non essere d'accordo ma al quale va riconosciuta una notevole indipendenza politica. Ebbene, sul Fatto di ieri Ferruccio Sansa - un giornalista che è a sinistra e ha lavorato al Messaggero , a Repubblica , al Secolo XIX - racconta con abbondanza di particolari come per esperienza personale «chi tocca il centrosinistra muore»: e cioè che «i fastidi che (gli) hanno procurato le inchieste sul centrosinistra non hanno eguali» rispetto a quelle sul centrodestra, dove per «fastidi» si devono intendere «le calunnie, gli insulti, le telefonate a direttori ed editori» che le suddette inchieste gli hanno attirato in un ambiente come quello di Genova, pesantemente e capillarmente dominato dalla macchina politico-burocratica del Pd.
Ecco, fuori dai diffusi opportunismi e dai riguardi malriposti questa è l'Italia vera, quella descritta da Sansa: come sa bene chiunque conosca il Paese, le sue città, i suoi ambienti e le pratiche abituali con cui viene governato. Non foss'altro che per questo, un minimo di decenza vuole che i giornali (proprio come ha fatto il Corriere con il ministro Tremonti per la penna di Sergio Romano) non facciano sconti a nessuno; né alla destra né alla sinistra, e che gli stessi giornali si muovano con la medesima incisività: spregiudicata e forse un po' sbrigativa, se si vuole, ma questo è un altro discorso; che se lo si fa, però, allora lo si deve fare innanzi tutto quando riguarda l'avversario, non già se stessi.
Ma c'è una ragione ancora più importante, d'importanza decisiva, per cui la grande stampa d'informazione non può fare alla sinistra gli sconti che abitualmente e da anni non fa alla destra, pur avendo naturalmente l'obbligo di sottolineare tutte le diversità, se eventualmente emergono, tra i due tipi di corruzione.
La ragione è presto detta. Tutto lascia credere che l'inquinamento della nostra vita pubblica abbia ormai raggiunto livelli spaventosi, quasi vicini al punto di non ritorno. L'esperienza dice altresì che anche a sinistra, cadute le antiche barriere protettive, il fenomeno non ha virtualmente più argini significativi. Di fatto, da anni, le inchieste giudiziarie sui legami tra politica e affari sono divenute l'elemento assolutamente centrale della lotta politica italiana, mentre strumento principe di tale lotta sono sempre più i dossier che ognuno cerca di fabbricare illegalmente sul conto di tutti gli altri. Principalmente per questo è cresciuto di pari passo il ruolo virtualmente politico della magistratura, in modi e misura con ogni evidenza abnormi, e magari, lo si può ammettere, contro la volontà degli stessi magistrati anche se certo non di tutti.
Ruolo di fatto politico, che è divenuto anch'esso elemento assolutamente centrale, e patologico, della lotta tra i partiti: oggetto di polemiche continue, di dispute e ritorsioni ossessive che hanno finito per assorbire quasi ogni altra questione sul tappeto. Corruzione politica da un lato, e prassi e regole dell'azione giudiziaria dall'altro: ecco due giganteschi nodi di problemi che se non vengono sciolti sono destinati a strangolare la democrazia italiana. Ma l'esperienza ormai di decenni mostra che da sole né la destra né la sinistra riescono a farlo. Vittime l'una e l'altra dei rispettivi pregiudizi, delle rispettive convenienze, dei rispettivi legami più o meno espliciti: la destra convinta di poter riuscire prima o poi a mettere il morso alla magistratura, la sinistra convinta che alla fine le inchieste giudiziarie l'avvantaggeranno in modo risolutivo.
S'illudono entrambe. Ma mentre nutrono le loro illusioni il Paese è paralizzato, e, se si muove, è per correre alla rovina. La sola possibile soluzione per sciogliere i due nodi di cui sopra è nella fine delle illusioni sia della destra che della sinistra, e nell'affermarsi dell'idea che è necessario uno sforzo comune per trovare un'intesa all'insegna delle reciproche concessioni: un'intesa, come ripete da tempo il presidente Napolitano, che su tali questioni è un obbligo di carità di patria, di solidarietà nazionale, oltre che una necessità per la salvezza della Repubblica. Su questi temi la grande stampa d'informazione non può né deve avere indulgenza per nessuno, oltre che per le ragioni dette sopra, anche per ciò: perché tanto la destra che la sinistra devono convincersi che i due problemi fin qui considerati riguardano entrambe, che anche in questo caso non ha senso chiedersi per chi suona la campana perché la campana suona per tutti. Se la sinistra si ostina a negarlo non fa che allontanare il bene del Paese per ritrovarsi alla fine in un vicolo cieco.
«Il Corriere della Sera» del 31 luglio 2011
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