Dalle case agli uffici, sempre più automi svolgono attività di supporto all’uomo e, pur fra sorrisi e incredulità, per la prima volta un documento ufficiale inglese prevede di estendere loro alcuni diritti. Ma davvero le macchine intelligenti possono avere una coscienza?
Di Andrea Lavazza
Un colpo alla tastiera in un momento di rabbia, quando non riuscite a far funzionare il vostro computer, potrebbe costarvi una denuncia per lesioni da parte della macchina. E forse al seggio elettorale (se ancora esisteranno) potremo incrociare l'aspirapolvere del vicino. Scenari futuristici, in cui i robot hanno coscienza e reclamano la parità con i loro proprietari, che hanno suscitato l'ironia del Financial Times, ma che sono scritti nero su bianco in un rapporto commissionato e fatto proprio dal governo britannico. Il dipartimento della Scienza di Blair, guidato da sir David King, ha affidato il «Sigma Scan» a due società di consulenza (Outsights, Ipsos Mori) per cercare di prevedere gli sviluppi di scienza e tecnologia nei prossimi 50 anni, insieme con il loro impatto sulla società e sulla politica. Iniziativa lodevole quella di attrezzarsi su un fronte che in Italia è spesso colpevolmente trascurato, sebbene paia impresa piuttosto velleitaria ipotizzare che cosa accadrà tra mezzo secolo, dato il tumultuoso (e per questo insondabile) progresso della conoscenza. Resta il fatto che per la prima volta, in un documento ufficiale, si parla della possibilità di estendere ai robot diritti e doveri oggi accordati solo agli uomini. Il ragionamento, apparentemente, è semplice e lineare. Facciamo sempre maggiore affidamento su computer e apparecchi elettronici. Macchine più o meno antropomorfe già lavorano in fabbrica, puliscono in casa, operano in ospedale, agiscono sui campi di battaglia... Quando l'intelligenza artificiale farà sì che i robot (qualunque forma fisica abbiano) possano manifestare autoconsapevolezza, oppure migliorarsi o riprodursi autonomamente, allora non è escluso che le macchine reclamino un riconoscimento di diritti, che dovrebbero essere bilanciati da doveri e responsabilità sociali (rispettare le leggi, pagare le tasse, svolgere il servizio militare, votare...). «Ma quando si può parlare di soggetto di cui rispettare in qualche misura l'integrità? - si chiede Riccardo Manzotti, uno dei primi studiosi in Italia di coscienza artificiale -. Sono almeno quattro le caratteristiche che un automa dovrebbe manifestare perché lo si possa prendere in considerazione come depositario di diritti: la capacità di elaborare informazione; l'avere un corpo che si integra con l'ambiente (ciò che distingue un robot da un computer); l'abilità di rispondere agli stimoli esterni in modo duttile; e la produzione di motivazioni proprie all'agire. Di esse, soltanto la prima è oggi realizzata». La ricerca va in tale direzione ma quantificare i tempi non sarebbe serio, conclude il ricercatore dello Iulm, «abbiamo grande potenza di calcolo e di memoria, ci manca però l'architettura software adatta per fare quel salto». Il rapporto britannico è molto ottimista sulle conseguenze di questa possibile rivoluzione: il mondo, a parere degli autori, si arricchirebbe di capacità di lavoro e di intelligenza per la risoluzione creativa di problemi, con il risultato di un miglioramento netto della prosperità e della condizione umana in generale. Nel caso la concessione dello status di soggetti giuridici non venisse dai «padroni», si vaticina una serie di ricorsi alle Alte Corti nazionali perché il riconoscimento venga dato dalla magistratura. Una volta accordati i diritti, lo Stato dovrà accollarsi l'onere di fornire l'assistenza "sociale", consistente in «sostegno al reddito, alloggi e sanità, ovvero riparazioni gratuite». Come un rapporto scientifico che si rispetti, si esplicitano gli indicatori di tendenza utilizzati (gli avanzamenti nel campo dell'intelligenza artificiale), quelli che segnaleranno un avvicinarsi dello scenario finale (le protesi neurali in grado di assicurare un interfacciamento diretto tra cervello e computer, per mezzo del pensiero); gli elementi facilitanti (i massicci investimenti in ricerca per esigenze militari) e quelli vincolanti (una regolamentazione preventiva delle applicazioni della tecnologia, limiti intrinseci d i carattere fisico); i paralleli (la Nasa studia da anni sistemi per l'esplorazione spaziale in grado di autoreplicarsi) e i precedenti (l'emancipazione degli schiavi e il movimento per i diritti degli animali). Ma non sono pochi gli scettici. José M. Galvan, docente alla Pontificia Università della Santa Croce, è convinto che «quanto più la tecnologia sarà perfezionata, tanto più diverrà evidente la differenza tra intelligenza artificiale e intelligenza naturale. Saranno perfezionati robot umanoidi, utili per la cura personale e per la sperimentazione, ma non è detto che sia bene procedere a dotarli di funzioni simboliche superiori. E, in ogni caso, esse saranno sempre una "copia", priva dell'archetipo della moralità. Alla base dello scenario delineato nel Sigma Scan vedo una certa confusione sul concetto di persona, un errore antropologico che rischia di avere conseguenze spiacevoli». Se prendessimo sul serio le previsioni, dovremmo aspettarci che il prossimo dossier sul futuro sia compilato da un robot. E se ipotizzasse la revoca dei diritti agli uomini, considerati esseri inferiori alle macchine di domani?
«Avvenire» del 28 gennaio 2007
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