Il j’accuse del critico Todorov: fra i teorici e nelle scuole prevale una concezione che penalizza il contenuto delle opere
di Daniele Zappalà
Strutturalismo addio: il grande pensatore francese fa autocritica e giudica severamente accademici e insegnanti. «Gli studenti sbadigliano ormai davanti ai testi più toccanti, la cui profondità viene oscurata. E s’impedisce al lettore di interrogarsi e acquisire uno sguardo sul mondo»
«Il lettore cerca nelle opere quanto può dar senso alla sua esistenza. Ed è lui che ha ragione». Con la saggezza dell'età matura, Tzvetan Todorov è passato risolutamente dalla parte del lettore, allontanandosi non poco dalla sponda spesso così sopraelevata ed ermetica della critica di stampo accademico. Proprio lui che, all'inizio di un eclettico e personalissimo percorso intellettuale, aveva scandagliato l'universo della teoria letteraria salendo sul treno alla moda dello strutturalismo e del formalismo. Lo stesso convoglio, saturo di concetti e talora arido di autentico succo, che oggi il Todorov maturo ripudia energicamente in un piccolo e appassionato saggio - simile, a tratti, a un'intima confessione, con precisi riferimenti autobiografici - appena apparso in Francia col titolo eloquente di La littérature en péril («La letteratura in pericolo», Flammarion).
Se il lettore è in fondo il vero sovrano della Repubblica delle Lettere, spiega Todorov adottando una prospettiva umanista, è perché da sempre la grande letteratura si è rivolta al proprio pubblico allo scopo di instaurare un dialogo più o meno implicito sul senso - dunque, letteralmente, anche la direzione - di un'epoca. Gli scrittori da salvare, secondo Todorov, non hanno dunque mai fatto astrazione dei sentimenti della gente comune, dei dibattiti e delle lacerazioni del proprio presente, della percezione concreta delle cose e delle dispute inevitabili che essa suscita. E la proverbiale reclusione dei letterati nella torre d'avorio equivale alla morte di quell'interazione con l'universo dei lettori che è la forza stessa della letteratura.
Eppure, constata con una certa amarezza l'intellettuale di origine bulgara e poi francese d'adozione, «una concezione striminzita della letteratura, che la separa dal mondo nel quale si vive, si è imposta nell'insegnamento, nella critica e persino presso numerosi scrittori». L'attenzione talora ossessiva verso la forma, i codici linguistici, i regi stri, i generi o le cosiddette "funzioni" letterarie care alla narratologia strutturalista, hanno finito spesso per ammorbare quel dialogo fra opera e lettore che dà sangue e linfa alla migliore letteratura di ogni epoca. A scuola, osserva quasi sgomento Todorov, gli studenti sbadigliano ormai anche davanti ai testi più toccanti. E questo in un contesto che ha visto la fatale trilogia «formalismo, nichilismo, solipsismo» propagarsi come un virus dall'originario focolaio teorico-accademico, contagiando vieppiù il mondo dell'insegnamento, la stessa creazione letteraria e in ultimo - l'autentico dramma -, l'immagine stessa che abbiamo della letteratura.
Durante le varie tappe dell'odierna educazione alle opere letterarie, «non si apprende ciò di cui parlano le opere, ma ciò di cui parlano i critici». Oscurando così, innanzitutto, proprio i testi potenzialmente più capaci di puntare un fascio di luce sull'uomo e di aiutare così il lettore a vivere, a conoscersi, a interrogarsi, ad acquisire uno sguardo avido sul mondo.
Per Todorov, la letteratura si trova oggi in effetti in uno stato di pericolo, ma ciò non ha nulla a che vedere col sempiterno annuncio della "morte del romanzo" distillato a dosi periodiche da tanti zelanti analisti ed esperti. In effetti, per il saggista francese, verdi praterie possono attendere ancora gli scrittori e i lettori, se saranno capaci di svincolarsi dagli angusti recinti che un certo Novecento intellettuale ha amato affastellare ad oltranza. Con grande compiacimento e spesso ben poco sentimento.
Certi passaggi del saggio di Todorov sono stati criticati in Francia per la "nostalgia" che sembrano sprigionare. E c'è anche chi ha sottolineato che, a differenza di quanto sembra credere il saggista, gli odierni lettori sono spesso più vitali e reattivi di quelli di tante generazioni passate. Ma le critiche si sono perlopiù arrestate al tentativo di diagnosi di Todorov. Quanto alla prognosi riservata emessa dall'intellettuale sulla vital ità del "fatto letterario" nei prossimi decenni, molte voci hanno pienamente concordato. Ricordando però che la letteratura ha in ogni tempo saputo sorprendere anche i suoi più sinceri ed afflitti esecutori testamentari.
Se il lettore è in fondo il vero sovrano della Repubblica delle Lettere, spiega Todorov adottando una prospettiva umanista, è perché da sempre la grande letteratura si è rivolta al proprio pubblico allo scopo di instaurare un dialogo più o meno implicito sul senso - dunque, letteralmente, anche la direzione - di un'epoca. Gli scrittori da salvare, secondo Todorov, non hanno dunque mai fatto astrazione dei sentimenti della gente comune, dei dibattiti e delle lacerazioni del proprio presente, della percezione concreta delle cose e delle dispute inevitabili che essa suscita. E la proverbiale reclusione dei letterati nella torre d'avorio equivale alla morte di quell'interazione con l'universo dei lettori che è la forza stessa della letteratura.
Eppure, constata con una certa amarezza l'intellettuale di origine bulgara e poi francese d'adozione, «una concezione striminzita della letteratura, che la separa dal mondo nel quale si vive, si è imposta nell'insegnamento, nella critica e persino presso numerosi scrittori». L'attenzione talora ossessiva verso la forma, i codici linguistici, i regi stri, i generi o le cosiddette "funzioni" letterarie care alla narratologia strutturalista, hanno finito spesso per ammorbare quel dialogo fra opera e lettore che dà sangue e linfa alla migliore letteratura di ogni epoca. A scuola, osserva quasi sgomento Todorov, gli studenti sbadigliano ormai anche davanti ai testi più toccanti. E questo in un contesto che ha visto la fatale trilogia «formalismo, nichilismo, solipsismo» propagarsi come un virus dall'originario focolaio teorico-accademico, contagiando vieppiù il mondo dell'insegnamento, la stessa creazione letteraria e in ultimo - l'autentico dramma -, l'immagine stessa che abbiamo della letteratura.
Durante le varie tappe dell'odierna educazione alle opere letterarie, «non si apprende ciò di cui parlano le opere, ma ciò di cui parlano i critici». Oscurando così, innanzitutto, proprio i testi potenzialmente più capaci di puntare un fascio di luce sull'uomo e di aiutare così il lettore a vivere, a conoscersi, a interrogarsi, ad acquisire uno sguardo avido sul mondo.
Per Todorov, la letteratura si trova oggi in effetti in uno stato di pericolo, ma ciò non ha nulla a che vedere col sempiterno annuncio della "morte del romanzo" distillato a dosi periodiche da tanti zelanti analisti ed esperti. In effetti, per il saggista francese, verdi praterie possono attendere ancora gli scrittori e i lettori, se saranno capaci di svincolarsi dagli angusti recinti che un certo Novecento intellettuale ha amato affastellare ad oltranza. Con grande compiacimento e spesso ben poco sentimento.
Certi passaggi del saggio di Todorov sono stati criticati in Francia per la "nostalgia" che sembrano sprigionare. E c'è anche chi ha sottolineato che, a differenza di quanto sembra credere il saggista, gli odierni lettori sono spesso più vitali e reattivi di quelli di tante generazioni passate. Ma le critiche si sono perlopiù arrestate al tentativo di diagnosi di Todorov. Quanto alla prognosi riservata emessa dall'intellettuale sulla vital ità del "fatto letterario" nei prossimi decenni, molte voci hanno pienamente concordato. Ricordando però che la letteratura ha in ogni tempo saputo sorprendere anche i suoi più sinceri ed afflitti esecutori testamentari.
«Avvenire» del 25 gennaio 2007
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