Quando le star sposano una causa riescono a imporla all’attenzione rapidamente. La notorietà può avere una funzione nobile: lo affermano associazioni come Unicef Italia e Transfair. Ma c’è anche chi non è mai ricorso alle celebrità. Emergency, pur con l’aiuto di alcuni personaggi, ha scelto di affidarsi ai volontari
di Chiara Zappa
Antonio Sclavi: «Per noi gli "ambasciatori" sono una risorsa enorme. L'immagine oggi è essenziale: certe cose dette da persone note hanno una forza diversa che se le dicesse un illustre sconosciuto»
Paolo Pastore: «Le figure celebri che hanno prestato il loro volto ci hanno aiutato a raggiungere il target delle mamme, mentre la v-jay di Mtv ci ha fatto arrivare ai giovani, una fascia che ci era preclusa»
Paolo Pastore: «Le figure celebri che hanno prestato il loro volto ci hanno aiutato a raggiungere il target delle mamme, mentre la v-jay di Mtv ci ha fatto arrivare ai giovani, una fascia che ci era preclusa»
Decine di enti e associazioni, qualche anno fa, misero in atto campagne globali per sostenere l'abolizione del debito estero dei Paesi poveri. Ripensando all'argomento oggi, tutto ciò che probabilmente ricordiamo sono gli appelli accorati del carismatico cantante degli U2, Bono Vox. Un fenomeno simile a quello per cui oggi, sentendo parlare delle violenze legate all'estrazione dei diamanti in Africa, automaticamente associamo al dramma il volto angelico di Leonardo Di Caprio. È un fatto: quando le star sposano una causa, riescono rapidamente a farla uscire dall'ombra in cui magari era stata relegata per decenni. Ecco perché, in misura crescente, associazioni e ong impegnate nei settori più disparati del grande mondo umanitario scelgono di legare le proprie iniziative a volti noti dello spettacolo o dello sport. I testimonial della carità spopolano, tra le polemiche di chi dietro alla generosità del vip di turno vede accurate operazioni d'immagine studiate a tavolino e chi sostiene la necessità ormai vitale, nella società della comunicazione, di sfruttare la notorietà di pochi per toccare il cuore - e le tasche - di tanti.
«Per noi gli "ambasciatori" sono una risorsa enorme", spiega Antonio Sclavi, presidente di Unicef Italia, che da sempre si avvale di testimonial celebri per dare eco alle proprie campagne in difesa dell'infanzia. Tra i volti italiani dell'organizzazione personaggi come Milly Carlucci o Lino Banfi, Francesco Totti, Roberto Bolle e molti altri. «Il nostro obiettivo è far conoscere al grande pubblico le emergenze che riguardano i bambini in tutto il mondo, e certe cose dette da persone note all'immaginario collettivo hanno di fatto un'influenza molto maggiore che non se fossero raccontate da un semi-sconosciuto come potrei essere io. Oggi l'immagine è determinante». Naturalmente, precisa Sclavi, «i nostri ambasciatori sono scelti con cura: io li nomino formalmente per un incarico che dura due anni, rinnovabile, e che prevede il rispetto di una serie di impegni precisi». Con tanto di contratto da firmare. Ma per i vip dal cuore buono non si prevedono compensi? «Assolutamente no. Per noi non ci sono spese. Anche i grandi eventi con la presenza dei nostri ambasciatori, come ad esempio quello organizzato da Roberto Bolle per il prossimo 10 febbraio a Roma, vengono realizzati a condizione che siano totalmente sponsorizzati da grandi aziende, o enti pubblici». E visto che, nel caso specifico, il prezzo dei biglietti per il "Gala for Unicef" va dai 40 ai 120 euro, l'organizzazione conta di portare a casa un bel gruzzoletto.
Anche Paolo Pastore, direttore di Transfair, marchio di garanzia dei prodotti equosolidali in Italia, per sottolineare l'importanza dei testimonial per i professionisti della solidarietà porta esempi concreti. «Nel 2005 i consumi dei nostri prodotti, in un mercato in stagnazione, sono aumentati del 28% e per il 2006 contiamo di raggiungere lo stesso risultato. Non a caso, il traino delle vendite coincide con le due edizioni di "Io faccio la spesa giusta", la settimana dedicata appunto alla promozione del commercio equo, per le quali ci siamo avvalsi di una serie di personaggi noti, da Antonella Ruggiero e Damiano Tommasi fino a Massimo Ghini, Amanda Sandrelli ma anche Andrea De Carlo e la conduttrice di Mtv Paola Maugeri». E se «un certo tipo di testimonial ci ha aiutato a intercettare il target delle mamme, proprio la v-jay di Mtv ci ha permesso di arrivare ai giovani, una fascia che prima non raggiungevamo». Anche se qualcuno, all'interno del mondo dei consumatori alternativi, storce il naso. «È vero, c'è chi ci rimprovera di utilizzare gli stessi strumenti del mercato che contestiamo, ma io credo che per i produttori del Sud del mondo la cosa più importante sia che riusciamo a parlare a tantissima gente del fatto che si può produrre rispettando i diritti dei lavoratori e l'ambiente. Diciamo che in questo caso il fine giustifica i mezzi».
Di opinione opposta è Alessandro De Marchi, che si occ upa di promozione e raccolta fondi per il Cisv, ong torinese che, per scelta, non si è mai avvalsa di testimonial ufficiali. «Il Cisv si è imposto un codice etico anche per quanto riguarda la promozione delle proprie attività», spiega De Marchi. «Noi vogliamo che i cittadini ci diano il loro contributo non perché spinti dall'emotività ma per un gesto consapevole, critico e responsabile. Ci rendiamo conto che sensibilizzare è più difficile e dispendioso che raccogliere fondi, ma siamo convinti che se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo modificare la mentalità, anche per quanto riguarda il modo di donare: non beneficenza e assistenzialismo ma consapevolezza». E le celebrità non possono sensibilizzare? «Purtroppo spesso i testimonial sono scelti male, perché non incarnano davvero lo spirito dell'associazione e finiscono per trasformarsi in "specchietti per le allodole"». Gli stessi vip, qualche volta, decidono di prendere le distanze dal loro ruolo di "megafoni delle emergenze": è capitato qualche mese fa all'attrice francese Emmenuelle Béart, che ha rinunciato alla sua decennale esperienza di ambasciatrice Unicef dichiarandosi «in collera contro i governi che non mantengono le loro promesse». In altri casi, attori e cantanti decidono di sostenere l'opera di un'associazione stando "dietro le quinte", o comunque senza formalizzare il loro legame con la ong di turno. È il caso, ad esempio, di Moni Ovadia, che ha devoluto l'incasso di alcuni spettacoli ad Emergency. «Ci sono artisti che ospitano il nostro stand nelle hall dei loro show», spiega Simonetta Gola, responsabile della rivista della Ong milanese. «Ma non abbiamo veri testimonial: protagonista delle nostre campagne deve essere il lavoro che facciamo, non il volto di qualche celebrità». Anche senza "uomini immagine", l'anno scorso Emergency ha raccolto donazioni per 14 milioni e mezzo di euro. A riprova che i suoi 4mila volontari sparsi in tutta Italia sono, in fondo, ottimi testimonial.
«Per noi gli "ambasciatori" sono una risorsa enorme", spiega Antonio Sclavi, presidente di Unicef Italia, che da sempre si avvale di testimonial celebri per dare eco alle proprie campagne in difesa dell'infanzia. Tra i volti italiani dell'organizzazione personaggi come Milly Carlucci o Lino Banfi, Francesco Totti, Roberto Bolle e molti altri. «Il nostro obiettivo è far conoscere al grande pubblico le emergenze che riguardano i bambini in tutto il mondo, e certe cose dette da persone note all'immaginario collettivo hanno di fatto un'influenza molto maggiore che non se fossero raccontate da un semi-sconosciuto come potrei essere io. Oggi l'immagine è determinante». Naturalmente, precisa Sclavi, «i nostri ambasciatori sono scelti con cura: io li nomino formalmente per un incarico che dura due anni, rinnovabile, e che prevede il rispetto di una serie di impegni precisi». Con tanto di contratto da firmare. Ma per i vip dal cuore buono non si prevedono compensi? «Assolutamente no. Per noi non ci sono spese. Anche i grandi eventi con la presenza dei nostri ambasciatori, come ad esempio quello organizzato da Roberto Bolle per il prossimo 10 febbraio a Roma, vengono realizzati a condizione che siano totalmente sponsorizzati da grandi aziende, o enti pubblici». E visto che, nel caso specifico, il prezzo dei biglietti per il "Gala for Unicef" va dai 40 ai 120 euro, l'organizzazione conta di portare a casa un bel gruzzoletto.
Anche Paolo Pastore, direttore di Transfair, marchio di garanzia dei prodotti equosolidali in Italia, per sottolineare l'importanza dei testimonial per i professionisti della solidarietà porta esempi concreti. «Nel 2005 i consumi dei nostri prodotti, in un mercato in stagnazione, sono aumentati del 28% e per il 2006 contiamo di raggiungere lo stesso risultato. Non a caso, il traino delle vendite coincide con le due edizioni di "Io faccio la spesa giusta", la settimana dedicata appunto alla promozione del commercio equo, per le quali ci siamo avvalsi di una serie di personaggi noti, da Antonella Ruggiero e Damiano Tommasi fino a Massimo Ghini, Amanda Sandrelli ma anche Andrea De Carlo e la conduttrice di Mtv Paola Maugeri». E se «un certo tipo di testimonial ci ha aiutato a intercettare il target delle mamme, proprio la v-jay di Mtv ci ha permesso di arrivare ai giovani, una fascia che prima non raggiungevamo». Anche se qualcuno, all'interno del mondo dei consumatori alternativi, storce il naso. «È vero, c'è chi ci rimprovera di utilizzare gli stessi strumenti del mercato che contestiamo, ma io credo che per i produttori del Sud del mondo la cosa più importante sia che riusciamo a parlare a tantissima gente del fatto che si può produrre rispettando i diritti dei lavoratori e l'ambiente. Diciamo che in questo caso il fine giustifica i mezzi».
Di opinione opposta è Alessandro De Marchi, che si occ upa di promozione e raccolta fondi per il Cisv, ong torinese che, per scelta, non si è mai avvalsa di testimonial ufficiali. «Il Cisv si è imposto un codice etico anche per quanto riguarda la promozione delle proprie attività», spiega De Marchi. «Noi vogliamo che i cittadini ci diano il loro contributo non perché spinti dall'emotività ma per un gesto consapevole, critico e responsabile. Ci rendiamo conto che sensibilizzare è più difficile e dispendioso che raccogliere fondi, ma siamo convinti che se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo modificare la mentalità, anche per quanto riguarda il modo di donare: non beneficenza e assistenzialismo ma consapevolezza». E le celebrità non possono sensibilizzare? «Purtroppo spesso i testimonial sono scelti male, perché non incarnano davvero lo spirito dell'associazione e finiscono per trasformarsi in "specchietti per le allodole"». Gli stessi vip, qualche volta, decidono di prendere le distanze dal loro ruolo di "megafoni delle emergenze": è capitato qualche mese fa all'attrice francese Emmenuelle Béart, che ha rinunciato alla sua decennale esperienza di ambasciatrice Unicef dichiarandosi «in collera contro i governi che non mantengono le loro promesse». In altri casi, attori e cantanti decidono di sostenere l'opera di un'associazione stando "dietro le quinte", o comunque senza formalizzare il loro legame con la ong di turno. È il caso, ad esempio, di Moni Ovadia, che ha devoluto l'incasso di alcuni spettacoli ad Emergency. «Ci sono artisti che ospitano il nostro stand nelle hall dei loro show», spiega Simonetta Gola, responsabile della rivista della Ong milanese. «Ma non abbiamo veri testimonial: protagonista delle nostre campagne deve essere il lavoro che facciamo, non il volto di qualche celebrità». Anche senza "uomini immagine", l'anno scorso Emergency ha raccolto donazioni per 14 milioni e mezzo di euro. A riprova che i suoi 4mila volontari sparsi in tutta Italia sono, in fondo, ottimi testimonial.
«Avvenire» del 28 gennaio 2007
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