Secondo Paola Mastrocola la situazione attuale è conseguenza anche della pedagogia di don Milani e Gianni Rodari
di Cesare Segre
Del libro di Paola Mastrocola (Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda) si parlerà a lungo, perché coglie con intelligenza quei problemi dell'insegnamento che preoccupano docenti, discenti e innumerevoli famiglie. I punti salienti della sua analisi sono già stati illustrati da Marco Imarisio («Corriere», 21 febbraio), che ha raccolto anche opinioni di lettori competenti. Mi permetto d'interloquire per segnalare un punto dell'argomentazione della Mastrocola che mi pare illuminante, quello su «come si studia». Si continua a dire, e i sondaggi confermano, che alla fine delle scuole secondarie gran parte dei nostri studenti si esprimono in un italiano scadente e scorretto e, vittime di una specie di afasia, non sono in grado di esporre il contenuto di un libro o di un film. La menomazione intellettuale non è compensata dalla frequente disinvoltura nell' uso di apparecchi informatici, dal pc in su. Pure negli studi universitari si nota che la capacità di lavoro degli studenti sembra essersi ridotta. Se tempo fa, per un esame importante, si doveva dimostrare non solo di aver assimilato il contenuto dei corsi, ma di aver letto una serie piuttosto ampia di testi (libri e articoli), base necessaria per muoversi tra le conoscenze di una data area del sapere, oggi pare sia difficile andare al di là dell' insegnamento impartito, meglio se concentrato nelle cento o duecento pagine di un manuale. Si arriva a calcolare il tempo necessario per affrontare l' esame di una materia: sono i cosiddetti crediti. Pare si sia perduta la capacità di studiare. Qui interviene la Mastrocola, mostrando come e perché lo studio sia compromesso e svuotato. Il suo bersaglio polemico è la didattica di don Milani e di Gianni Rodari, che comunque diedero un appoggio, autorevolissimo, a tendenze già in atto. Don Milani predicò contro il babau del nozionismo, svalutando il concetto di nozione come conoscenza, e, in generale, il tipo di conoscenze che sono di solito oggetto di studio. Di qui l' avversione per il sapere letterario (guai al povero Virgilio!) e in particolare linguistico, considerati appannaggio dei ricchi. E anche la valorizzazione del territorio, la chiusura nella provincia e nei lavori contadini: non pensando che questo bloccava qualunque aspirazione al miglioramento mentale, ma anche economico degli scolari. Gianni Rodari (le cui proposte sono certo suggestive) promuoveva, ma prevalentemente per il primo ciclo scolastico, la trasformazione dell' insegnamento in gioco, la vittoria della fiaba sulla razionalità e sulla storia. L' aula scolastica si trasformava in palcoscenico o in laboratorio, e gli scolari, distolti dallo studio, mettevano allegramente in gara la loro pretesa inventività. Era inevitabile che in questa cultura «facile» fossero affossati gli studi considerati «noiosi», o quelli che sembrassero privi di utilità pratica immediata. Contenti gli studenti, contente le famiglie, non più angosciate dalle difficoltà scolastiche dei figli, contenti alla fine i docenti, non più in lotta per far ragionare e studiare gli studenti, e per difendersi dalle pretese dei genitori. Ma intervenivano, appoggiando quest' indirizzo, anche i ministri, che parlavano di «diritto al successo formativo» e, favorendo la prassi degli esami praticamente garantiti, caldeggiavano le lauree facili come il mezzo migliore per superare il gap tra il numero dei laureati nostri e di quelli stranieri. Purtroppo la tendenza al ribasso è ormai diffusa in tutti i paesi, e anzi chi studia meglio e di più, come facevano sino a qualche tempo fa i nostri studenti, è ormai costretto ad aderire all' internazionale dell' ignoranza. Qui la Mastrocola mostra bene, con opportuni riferimenti, che si è affermata una nuova pedagogia, che favorisce «la scuola del fare, del saper essere, del saper stare (insieme), dello smanettamento collettivo e dell' invasamento tecnologico, non certo la scuola del sapere, delle nozioni (intese come conoscenze), della letteratura e dello studio astratto, teoretico». Difficile indicare rimedi alla situazione messa in luce dall' autrice. Occorre un nuovo cambio di mentalità, che rimetta al centro dell' insegnamento lo studio, e che annulli l' insensato asservimento del sapere umanistico a quello tecnologico. Per ora, la Mastrocola dovrà rassegnarsi ad essere considerata una reazionaria. Ma questo è forse uno dei pochi casi in cui solo la reazione può difendere ideali e principi vitali prima che vengano definitivamente cancellati.
«Il Corriere della Sera» del 25 febbraio 2011
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