di Giorgio Israel
C’era una volta l’America innamorata della cultura umanistica, l’America delle università in cui il centro della cultura erano i classici - Omero, Platone, Aristotele, Virgilio, Dante, Shakespeare... - la scienza e la filosofia europee. Era un innamoramento tanto più devoto in quanto, con questa cultura e imitando i grandi modelli europei, le università americane, da centri didattici di modesto livello, erano divenute istituzioni di prestigio. Di fatto, fu una vera e propria colonizzazione europea che raggiunse il culmine quando il nazifascismo provocò il trasferimento negli USA di decine di migliaia di intellettuali e scienziati. Questa passione per la cultura umanistica aveva però qualcosa di artificioso, l’impianto avveniva su un terreno non vergine, segnato da una tendenza al pragmatismo, all’empirismo.
La supremazia dell’insegnamento umanistico durò ottant’anni ma, a partire dalla fine degli anni sessanta, iniziò a crollare. Una delle cause fu una seconda colonizzazione europea. I nuovi riferimenti erano Theodor Adorno, Michel Foucault, Jacques Derrida (tanto per citarne alcuni) e l’idea secondo cui, ispirandosi a Marx, Freud e Nietzsche, occorreva trasferire l’attenzione dai soggetti umani ai sistemi di pensiero e di azione che ne trascendono i poteri. Questo pensiero «postmoderno» era tendenzialmente antiumanista, perché identificava come matrice del razzismo, del colonialismo e dei totalitarismi l’«essenzialismo» del pensiero europeo, la tendenza a porre al centro la «sovranità del soggetto», l’idea cartesiana che centro di tutto è il pensiero soggettivo, la quale era stata eretta a programma di conoscenza dall’Illuminismo. L’entusiasmo con cui la cultura americana si fece colonizzare dal pensiero postmoderno europeo fu tanto forte da spazzare via rapidamente la cultura umanistica nell’istruzione. Decisivo fu l’influsso politico della contestazione di sinistra. «From Plato to Nato» («da Platone alla Nato»), si gridava nei campus americani, imputando alla cultura classica addirittura la colpa di aver generato l’imperialismo. L’esplosione avvenne anche in Europa ma rimase per lo più al livello accademico influenzando poco la struttura dell’istruzione. Invece, negli USA la tradizione tecnocratica impose il passaggio al postmodernismo con metodicità esasperante. La parabola della Columbia University è un paradigma di questo passaggio: da centro mondiale degli studi umanistici a madrassa del multiculturalismo e terzomondismo più sfrenato, degli studi di «genere», della cultura ripartita per quote etniche, fino all’odio di sé (dell’occidente). È una cultura che non ha più nulla in comune con l’umanesimo, e neppure con il liberalismo, come appare dalla metodicità asfissiante con cui predica la pulizia politicamente corretta del linguaggio (alla maniera del fascismo) e impone la salute in modo coercitivo.
Può sembrare strano che questa cultura si sia alleata con la tecnocrazia e la tecnoscienza. Invece quest’alleanza è decisiva. Si pensi all’estrema coerenza con cui Donna Haraway predica che per ottenere l’assoluta parità uomo-donna occorre distruggere la procreazione naturale. Trionfo della tecnocrazia e della metodologia, che consegna l’istruzione ai «tecnici»: pedagogisti, psicologi, manager, valutatori. L’Europa esausta per il mai riparato salasso culturale provocato dai totalitarismi e impoverita dal nichilismo, ha assorbito passivamente la restituzione con gli interessi di ciò che aveva dato all’America. Ma qui in Europa il postmodernismo tecnocratico viene imposto con i metodi tristemente burocratici di un’eurocrazia che mette al primo posto l’economia e all’ultimo la cultura. L’Italia arriva come al solito per ultima, frettolosa di adeguarsi. Pochi si curano di guardare in modo critico e attento oltreoceano e di constatare che non c’è più un modello da seguire, ma solo una grave crisi tanto più drammatica perché coinvolge un paese che è il principale baluardo contro la barbarie integralista. In questa crisi si contrappongono i fautori del ritorno alla cultura e all’istruzione umanistica, gli economicisti estremi per cui l’istruzione è un orpello improduttivo, e i «progressisti» decisi a procedere sulla via antiumanistica. In Italia questa crisi e queste contraddizioni sono ignorate e la politica si orienta in modo trasversale verso l’ultimo approccio, quello che consegna l’istruzione ai tecnocrati, ai teorici della distruzione della cultura umanistica e della scienza come cultura, ai metodologi puri, alla dittatura degli «esperti»: è una tendenza intimamente totalitaria e che rappresenta l’ulteriore prova dell’assenza di un’autentica cultura liberale nel nostro paese.
La supremazia dell’insegnamento umanistico durò ottant’anni ma, a partire dalla fine degli anni sessanta, iniziò a crollare. Una delle cause fu una seconda colonizzazione europea. I nuovi riferimenti erano Theodor Adorno, Michel Foucault, Jacques Derrida (tanto per citarne alcuni) e l’idea secondo cui, ispirandosi a Marx, Freud e Nietzsche, occorreva trasferire l’attenzione dai soggetti umani ai sistemi di pensiero e di azione che ne trascendono i poteri. Questo pensiero «postmoderno» era tendenzialmente antiumanista, perché identificava come matrice del razzismo, del colonialismo e dei totalitarismi l’«essenzialismo» del pensiero europeo, la tendenza a porre al centro la «sovranità del soggetto», l’idea cartesiana che centro di tutto è il pensiero soggettivo, la quale era stata eretta a programma di conoscenza dall’Illuminismo. L’entusiasmo con cui la cultura americana si fece colonizzare dal pensiero postmoderno europeo fu tanto forte da spazzare via rapidamente la cultura umanistica nell’istruzione. Decisivo fu l’influsso politico della contestazione di sinistra. «From Plato to Nato» («da Platone alla Nato»), si gridava nei campus americani, imputando alla cultura classica addirittura la colpa di aver generato l’imperialismo. L’esplosione avvenne anche in Europa ma rimase per lo più al livello accademico influenzando poco la struttura dell’istruzione. Invece, negli USA la tradizione tecnocratica impose il passaggio al postmodernismo con metodicità esasperante. La parabola della Columbia University è un paradigma di questo passaggio: da centro mondiale degli studi umanistici a madrassa del multiculturalismo e terzomondismo più sfrenato, degli studi di «genere», della cultura ripartita per quote etniche, fino all’odio di sé (dell’occidente). È una cultura che non ha più nulla in comune con l’umanesimo, e neppure con il liberalismo, come appare dalla metodicità asfissiante con cui predica la pulizia politicamente corretta del linguaggio (alla maniera del fascismo) e impone la salute in modo coercitivo.
Può sembrare strano che questa cultura si sia alleata con la tecnocrazia e la tecnoscienza. Invece quest’alleanza è decisiva. Si pensi all’estrema coerenza con cui Donna Haraway predica che per ottenere l’assoluta parità uomo-donna occorre distruggere la procreazione naturale. Trionfo della tecnocrazia e della metodologia, che consegna l’istruzione ai «tecnici»: pedagogisti, psicologi, manager, valutatori. L’Europa esausta per il mai riparato salasso culturale provocato dai totalitarismi e impoverita dal nichilismo, ha assorbito passivamente la restituzione con gli interessi di ciò che aveva dato all’America. Ma qui in Europa il postmodernismo tecnocratico viene imposto con i metodi tristemente burocratici di un’eurocrazia che mette al primo posto l’economia e all’ultimo la cultura. L’Italia arriva come al solito per ultima, frettolosa di adeguarsi. Pochi si curano di guardare in modo critico e attento oltreoceano e di constatare che non c’è più un modello da seguire, ma solo una grave crisi tanto più drammatica perché coinvolge un paese che è il principale baluardo contro la barbarie integralista. In questa crisi si contrappongono i fautori del ritorno alla cultura e all’istruzione umanistica, gli economicisti estremi per cui l’istruzione è un orpello improduttivo, e i «progressisti» decisi a procedere sulla via antiumanistica. In Italia questa crisi e queste contraddizioni sono ignorate e la politica si orienta in modo trasversale verso l’ultimo approccio, quello che consegna l’istruzione ai tecnocrati, ai teorici della distruzione della cultura umanistica e della scienza come cultura, ai metodologi puri, alla dittatura degli «esperti»: è una tendenza intimamente totalitaria e che rappresenta l’ulteriore prova dell’assenza di un’autentica cultura liberale nel nostro paese.
«Il Giornale» del 2 agosto 2011
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