Tratto dal volume pubblicato da Paravia
di Alessandro Marchi
L’INTRECCIO
Dopo un'invettiva di Dante-autore contro le vane occupazioni degli uomini, Tommaso d'Aquino risponde al primo dubbio di Dante-personaggio, dubbio sorto dall'aver il santo affermato che Domenico guida il suo ordine «u' ben s'impingua, se non si vaneggia» (Dove ci si arricchisce spiritualmente se non si devia dalla regola; Paradiso, X, v. 96), e spiega come la Provvidenza divina abbia mandato sulla Terra, in aiuto della Chiesa, due condottieri, san Francesco e san Domenico. Poi traccia la biografia del primo, ricordandone il contrasto col padre, la rinuncia ai propri averi per sposare la povertà, la fondazione dell'Ordine, approvato dai papi Innocenzo III e Onorio III, la missione in Terra Santa, l'inutile tentativo in questo luogo di convertire il sultano d'Egitto, il definitivo ritiro sul monte della Verna e il dono delle stimmate, la morte in assoluta povertà, principale regola di vita raccomandata ai suoi eredi. Tommaso ricorda poi i meriti di san Domenico, i cui seguaci si sono però allontanati dal suo insegnamento provocando la decadenza dell'Ordine.
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LA PARAFRASI
1-3. O insensata preoccupazione (cura) degli uomini (mortali), quanto sono sbagliati i ragionamenti (difettivi silogismi) che ti fanno rivolgere verso le cose terrene (in basso batter l'ali)!
4-12. Chi attendeva agli studi giuridici (dietro a iuta... sen giva), chi a quelli di medicina (amforismi), chi si preoccupava di far carriera ecclesiastica (seguendo sacerdozio), e chi di ottenere il potere politico (regnar) con la violenza (per forza) o con l'inganno (per sofismi), e chi pensava a rubare o ad amministrare la cosa pubblica (civil negozio), chi si affaticava tutto dedito (involto) ai piaceri sensuali (nel diletto de la carne), e chi se ne stava in ozio, quando io, libero da tutte queste vane occupazioni, venivo con tanta gloria accolto su in cielo insieme a Beatrice.
13-15. Dopo che ciascuno spirito fu ritornato nel punto del cerchio in cui si trovava prima, si fermò, come una candela che si fissa nel candeliere (come a candellier candelo).
16-21. E io udii incominciare di nuovo a parlare quella luce (lumera) che mi aveva parlato prima, la quale diventava più splendente (sorridendo) e pura (metà): «Come io risplendo del raggio divino, così guardando nella luce eterna di Dio, conosco da dove hanno origine (onde cagioni) i tuoi pensieri.
22-27. Tu dubiti (dubbi), e vuoi che le mie parole (lo dicer mio) siano chiarite (si ricerna) in maniera così piana (aperta) e ampia (distesa) da risultare per te comprensibili (al tuo sentir si sterna), in quel punto in cui precedentemente dissi: "Dove ci si arricchisce spiritualmente" ("U' ben s'impingua"), e "Non nacque un altro con uguale capacità di comprendere" ("Non nacque il secondo"); e su tali dubbi (qui) è necessario (è uopo) che si diano distinte spiegazioni (ben si distingua).
28.36. La Provvidenza divina, che governa il mondo con quella saggezza (consiglio) che per ogni creatura umana (creato) è impossibile comprendere a fondo (è vinto pria che vada al fondo), affinché (però che) la Chiesa (la sposa), sposa di Cristo, che la sposò con alte grida di dolore e versando il sangue benedetto, andasse verso il suo amato (Diletto), più sicura e più fedele, mandò in suo aiuto (ordinò in suo favore) sulla Terra due capi (principi), che la guidassero sia riguardo alla fedeltà che alla sicurezza (quinci e quindi).
37-39. L'uno, san Francesco, fu tutto ardente di carità come un Serafino (fu tutto serafico in ardore); l'altro, san Domenico, risplendè sulla terra di sapienza come un Cherubino (di cherubica luce uno splendore).
40-42. Parlerò del primo, perché lodando (pregiando) l'uno, qualunque si prenda in considerazione (qual ch'om prende), si parla di entrambi (d'amendue si dice), poiché a uno stesso scopo furono indirizzate le loro opere.
43-48. Tra i fiumi Topino e Chiascio, il quale discende dal colle scelto (eletto) dal beato Ubaldo, digrada (pende) la fertile pendice (costa) di un alto monte, il Subasio, dal quale (onde) Perugia, verso Porta Sole, sente freddo d'inverno e caldo d'estate; e sul versante opposto (di rietro) soffrono (le piange) Nocera e Gualdo Tadino a causa dello stesso massiccio montuoso (per grave giogo).
49-51. Su questo pendio (Di questa costa), là dove è meno ripido (frange più sua rattezza), nacque per il mondo un sole, particolarmente luminoso e fecondo, come quando sorge nell'equinozio di primavera (tal volta) in estremo oriente (di Gange).
52-54. Perciò (Però) chi menziona quel luogo, non dica Assisi (Ascesi), poiché direbbe poco (corto), ma Oriente, se lo vuole denominare in maniera appropriata.
55-63. Non era ancora molto lontano dalla nascita (da l'orto) che egli cominciò a far sentire alla Terra il benefico influsso (conforto) della sua grande virtù (virtute: vedi Storie di parole, p. 259); poiché, ancora giovinetto, entrò in rotta con suo padre (in guerra del padre corse) per amore di una donna (la Povertà), alla quale, come alla morte, nessuno fa una lieta accoglienza (a cui ... la porta del piacer nessun diserra); e si unì a lei davanti al tribunale ecclesiastico (a la sua spirital corte) e alla presenza del padre (et coram patte); poi di giorno in giorno l'amò sempre di più.
64-72. Essa (la Povertà), vedova di Cristo, primo marito, rimase disprezzata e trascurata (dispetta e scura) senza che qualcuno s'interessasse a lei (santa invito) per più di undici secoli, fino all'arrivo di costui; né le giovò il fatto che Giulio Cesare (colui ch'a tutto 'I mondo fé paura) la trovò sicura con Amiclate, al suono della sua voce; né le giovò essere fedele (costante) e intrepida (feroce), tanto che patì (pianse) con Cristo sulla croce, quando perfino Maria rimase ai piedi (giuso) di essa.
73-75. Ma per non continuare a parlare in modo troppo oscuro (chiuso), intendi (prendi) ormai questi due amanti, di cui ho parlato diffusamente, (nel mio parlar diffuso) come Francesco e Povertà.
76-81. La loro concordia e il loro aspetto lieto (i lor lieti sembianti), l'amore vicendevole e il loro meravigliarsi e i dolci sguardi facevano sorgere (facleno esser cagion) santi pensieri (in chi li osservava); a tal punto che il venerabile Bernardo per primo si scalzò, e corse dietro a un così grande esempio di pace (a tanta pace) e, pur correndo, gli sembrò di essere lento (tardo).
82-93. O sconosciuta ricchezza spirituale! o bene fecondo (ferace)! Si scalza Egidio, si scalza Silvestro per seguire Francesco, sposo di Povertà, tanto è l'amore (piace) per quella sposa. Dopodiché quel padre spirituale e maestro se ne va a Roma con la sua donna e con quella famiglia che già cingeva i fianchi con l'umile corda (che già legava l'umile capestro). Né la mancanza di coraggio (viltà di cuor) gti fece abbassare lo sguardo (li gravò ... le ciglia) di vergogna per il fatto di essere figlio di Pietro Bernardone (un umile mercante) né per il fatto di avere un aspetto (parer) miserevole e disprezzato (dispetto) tanto da suscitare meraviglia; ma con atteggiamento fermo, degno di un re (regalmente), manifestò al papa Innocenzo III la sua regola severa (sua dura intenzione), e da lui ricevette la prima approvazione (primo sigillo) al suo ordine monastico (sua religione).
94-99. Dopo che crebbero di numero i poverelli seguaci di costui, la cui vita mirabile sarebbe celebrata (si canterebbe) meglio nella gloria dei cieli (piuttosto che da parte mia), il santo proposito (santa voglia) di questo pastore di anime (archimandrita) fu coronato (redimita) da una seconda approvazione (seconda corona) dello Spirito Santo (Etterno Spiro) per mezzo del papa Onorio.
100-108. E dopo che, per desiderio (sete) di martirio, predicò la parola di Cristo e degli apostoli (li altri che 'l seguiro) alla presenza del superbo Sultano (Soldan), e per aver trovato quella popolazione troppo immatura (acerba) per la conversione e per non restare inutilmente (indamo) laggiù, ritornò (redissi) in Italia dove la sua missione evangelizzatrice avrebbe potuto dare migliori risultati (al frutto de l'italica erba), sull'aspro monte (sasso) fra il Tevere e l'Arno ricevette da Cristo le stimmate, l'ultimo riconosci-mento (sigillo), che il suo corpo portò per due anni.
109-117. Quando a Dio, che l'aveva scelto per un bene tanto grande (ch'a tanto ben soffino), piacque di richiamarti in cielo (trarlo suso) per concedergli il premio che meritò nel suo farsi umile (nel suo farsi pusillo), egli raccomandò ai suoi frati, come ai legittimi eredi, la donna che aveva più cara (la Povertà), e ordinò loro che l'amassero fedelmente (a fede); e proprio dal grembo della Povertà (suo grembo) la sua anima splendente (preclara) volle partire, tornando alla sua sede celeste (al suo regno), e non volle altra bara per il suo corpo.
118-123. Pensa ora come fu colui che fu degno collega di Francesco nel guidare sulla giusta rotta (per dritto segno), in alto mare, la barca di san Pietro; e costui fu il nostro patriarca, san Domenico; per la qual cosa puoi comprendere (discerner) che chi lo segue osservando la sua regola (com'ei comanda), acquista meriti per la sua anima (buone merce cavea).
124-129. Ma il suo gregge (suo pecuglio) è diventato ghiotto.dLun_nuovo-cibo-(nova vivanda), cosicché necessariamente (esser non puote) si perde (si spanda) per pascoli lontani (per diversi salti); e quanto più le sue pecore vànno lontanè e fuor dàlra retta via (remote e vagabunde), tanto più tornano all'ovile prive di latte.
130-132. È vero (Ben) che ce ne sono alcune che temono gli effetti negativi ('t danno) (di tale sviamento) e si stringono al pastore; ma sono casi poche, che c'è bisogno di poca stoffa per fornire loro i mantelli (che le cappe fornisce poco panno).
133-139. Ora, se le mie parole non sono oscure (fioche), se sei stato attento nell'ascoltarmi, se richiami (revoche) alla mente ciò che è stato detto, il tuo desiderio (tua voglia) sarà in parte soddisfatto, perché capirai per quali motivi l'Ordine domenicano si va corrompendo (la pianta onde si scheggia), e capirai che cosa significa (che argo-menta) la mia rettifica (il corrbgger) "Se non si devia dalla regola" (se non si vaneggia) aggiunta a "Dove ci si arricchisce (U' ben s'impingua)"».
1-3. O insensata preoccupazione (cura) degli uomini (mortali), quanto sono sbagliati i ragionamenti (difettivi silogismi) che ti fanno rivolgere verso le cose terrene (in basso batter l'ali)!
4-12. Chi attendeva agli studi giuridici (dietro a iuta... sen giva), chi a quelli di medicina (amforismi), chi si preoccupava di far carriera ecclesiastica (seguendo sacerdozio), e chi di ottenere il potere politico (regnar) con la violenza (per forza) o con l'inganno (per sofismi), e chi pensava a rubare o ad amministrare la cosa pubblica (civil negozio), chi si affaticava tutto dedito (involto) ai piaceri sensuali (nel diletto de la carne), e chi se ne stava in ozio, quando io, libero da tutte queste vane occupazioni, venivo con tanta gloria accolto su in cielo insieme a Beatrice.
13-15. Dopo che ciascuno spirito fu ritornato nel punto del cerchio in cui si trovava prima, si fermò, come una candela che si fissa nel candeliere (come a candellier candelo).
16-21. E io udii incominciare di nuovo a parlare quella luce (lumera) che mi aveva parlato prima, la quale diventava più splendente (sorridendo) e pura (metà): «Come io risplendo del raggio divino, così guardando nella luce eterna di Dio, conosco da dove hanno origine (onde cagioni) i tuoi pensieri.
22-27. Tu dubiti (dubbi), e vuoi che le mie parole (lo dicer mio) siano chiarite (si ricerna) in maniera così piana (aperta) e ampia (distesa) da risultare per te comprensibili (al tuo sentir si sterna), in quel punto in cui precedentemente dissi: "Dove ci si arricchisce spiritualmente" ("U' ben s'impingua"), e "Non nacque un altro con uguale capacità di comprendere" ("Non nacque il secondo"); e su tali dubbi (qui) è necessario (è uopo) che si diano distinte spiegazioni (ben si distingua).
28.36. La Provvidenza divina, che governa il mondo con quella saggezza (consiglio) che per ogni creatura umana (creato) è impossibile comprendere a fondo (è vinto pria che vada al fondo), affinché (però che) la Chiesa (la sposa), sposa di Cristo, che la sposò con alte grida di dolore e versando il sangue benedetto, andasse verso il suo amato (Diletto), più sicura e più fedele, mandò in suo aiuto (ordinò in suo favore) sulla Terra due capi (principi), che la guidassero sia riguardo alla fedeltà che alla sicurezza (quinci e quindi).
37-39. L'uno, san Francesco, fu tutto ardente di carità come un Serafino (fu tutto serafico in ardore); l'altro, san Domenico, risplendè sulla terra di sapienza come un Cherubino (di cherubica luce uno splendore).
40-42. Parlerò del primo, perché lodando (pregiando) l'uno, qualunque si prenda in considerazione (qual ch'om prende), si parla di entrambi (d'amendue si dice), poiché a uno stesso scopo furono indirizzate le loro opere.
43-48. Tra i fiumi Topino e Chiascio, il quale discende dal colle scelto (eletto) dal beato Ubaldo, digrada (pende) la fertile pendice (costa) di un alto monte, il Subasio, dal quale (onde) Perugia, verso Porta Sole, sente freddo d'inverno e caldo d'estate; e sul versante opposto (di rietro) soffrono (le piange) Nocera e Gualdo Tadino a causa dello stesso massiccio montuoso (per grave giogo).
49-51. Su questo pendio (Di questa costa), là dove è meno ripido (frange più sua rattezza), nacque per il mondo un sole, particolarmente luminoso e fecondo, come quando sorge nell'equinozio di primavera (tal volta) in estremo oriente (di Gange).
52-54. Perciò (Però) chi menziona quel luogo, non dica Assisi (Ascesi), poiché direbbe poco (corto), ma Oriente, se lo vuole denominare in maniera appropriata.
55-63. Non era ancora molto lontano dalla nascita (da l'orto) che egli cominciò a far sentire alla Terra il benefico influsso (conforto) della sua grande virtù (virtute: vedi Storie di parole, p. 259); poiché, ancora giovinetto, entrò in rotta con suo padre (in guerra del padre corse) per amore di una donna (la Povertà), alla quale, come alla morte, nessuno fa una lieta accoglienza (a cui ... la porta del piacer nessun diserra); e si unì a lei davanti al tribunale ecclesiastico (a la sua spirital corte) e alla presenza del padre (et coram patte); poi di giorno in giorno l'amò sempre di più.
64-72. Essa (la Povertà), vedova di Cristo, primo marito, rimase disprezzata e trascurata (dispetta e scura) senza che qualcuno s'interessasse a lei (santa invito) per più di undici secoli, fino all'arrivo di costui; né le giovò il fatto che Giulio Cesare (colui ch'a tutto 'I mondo fé paura) la trovò sicura con Amiclate, al suono della sua voce; né le giovò essere fedele (costante) e intrepida (feroce), tanto che patì (pianse) con Cristo sulla croce, quando perfino Maria rimase ai piedi (giuso) di essa.
73-75. Ma per non continuare a parlare in modo troppo oscuro (chiuso), intendi (prendi) ormai questi due amanti, di cui ho parlato diffusamente, (nel mio parlar diffuso) come Francesco e Povertà.
76-81. La loro concordia e il loro aspetto lieto (i lor lieti sembianti), l'amore vicendevole e il loro meravigliarsi e i dolci sguardi facevano sorgere (facleno esser cagion) santi pensieri (in chi li osservava); a tal punto che il venerabile Bernardo per primo si scalzò, e corse dietro a un così grande esempio di pace (a tanta pace) e, pur correndo, gli sembrò di essere lento (tardo).
82-93. O sconosciuta ricchezza spirituale! o bene fecondo (ferace)! Si scalza Egidio, si scalza Silvestro per seguire Francesco, sposo di Povertà, tanto è l'amore (piace) per quella sposa. Dopodiché quel padre spirituale e maestro se ne va a Roma con la sua donna e con quella famiglia che già cingeva i fianchi con l'umile corda (che già legava l'umile capestro). Né la mancanza di coraggio (viltà di cuor) gti fece abbassare lo sguardo (li gravò ... le ciglia) di vergogna per il fatto di essere figlio di Pietro Bernardone (un umile mercante) né per il fatto di avere un aspetto (parer) miserevole e disprezzato (dispetto) tanto da suscitare meraviglia; ma con atteggiamento fermo, degno di un re (regalmente), manifestò al papa Innocenzo III la sua regola severa (sua dura intenzione), e da lui ricevette la prima approvazione (primo sigillo) al suo ordine monastico (sua religione).
94-99. Dopo che crebbero di numero i poverelli seguaci di costui, la cui vita mirabile sarebbe celebrata (si canterebbe) meglio nella gloria dei cieli (piuttosto che da parte mia), il santo proposito (santa voglia) di questo pastore di anime (archimandrita) fu coronato (redimita) da una seconda approvazione (seconda corona) dello Spirito Santo (Etterno Spiro) per mezzo del papa Onorio.
100-108. E dopo che, per desiderio (sete) di martirio, predicò la parola di Cristo e degli apostoli (li altri che 'l seguiro) alla presenza del superbo Sultano (Soldan), e per aver trovato quella popolazione troppo immatura (acerba) per la conversione e per non restare inutilmente (indamo) laggiù, ritornò (redissi) in Italia dove la sua missione evangelizzatrice avrebbe potuto dare migliori risultati (al frutto de l'italica erba), sull'aspro monte (sasso) fra il Tevere e l'Arno ricevette da Cristo le stimmate, l'ultimo riconosci-mento (sigillo), che il suo corpo portò per due anni.
109-117. Quando a Dio, che l'aveva scelto per un bene tanto grande (ch'a tanto ben soffino), piacque di richiamarti in cielo (trarlo suso) per concedergli il premio che meritò nel suo farsi umile (nel suo farsi pusillo), egli raccomandò ai suoi frati, come ai legittimi eredi, la donna che aveva più cara (la Povertà), e ordinò loro che l'amassero fedelmente (a fede); e proprio dal grembo della Povertà (suo grembo) la sua anima splendente (preclara) volle partire, tornando alla sua sede celeste (al suo regno), e non volle altra bara per il suo corpo.
118-123. Pensa ora come fu colui che fu degno collega di Francesco nel guidare sulla giusta rotta (per dritto segno), in alto mare, la barca di san Pietro; e costui fu il nostro patriarca, san Domenico; per la qual cosa puoi comprendere (discerner) che chi lo segue osservando la sua regola (com'ei comanda), acquista meriti per la sua anima (buone merce cavea).
124-129. Ma il suo gregge (suo pecuglio) è diventato ghiotto.dLun_nuovo-cibo-(nova vivanda), cosicché necessariamente (esser non puote) si perde (si spanda) per pascoli lontani (per diversi salti); e quanto più le sue pecore vànno lontanè e fuor dàlra retta via (remote e vagabunde), tanto più tornano all'ovile prive di latte.
130-132. È vero (Ben) che ce ne sono alcune che temono gli effetti negativi ('t danno) (di tale sviamento) e si stringono al pastore; ma sono casi poche, che c'è bisogno di poca stoffa per fornire loro i mantelli (che le cappe fornisce poco panno).
133-139. Ora, se le mie parole non sono oscure (fioche), se sei stato attento nell'ascoltarmi, se richiami (revoche) alla mente ciò che è stato detto, il tuo desiderio (tua voglia) sarà in parte soddisfatto, perché capirai per quali motivi l'Ordine domenicano si va corrompendo (la pianta onde si scheggia), e capirai che cosa significa (che argo-menta) la mia rettifica (il corrbgger) "Se non si devia dalla regola" (se non si vaneggia) aggiunta a "Dove ci si arricchisce (U' ben s'impingua)"».
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LE NOTE
2 > silogismi: il sillogismo è, nella filosofia, un ragionamento deduttivo per cui, poste due premesse, ne deriva un'unica conclusione necessaria.
4 > iura ... amforismi: il primo termine è latino e designa la scienza del diritto, il secondo fa riferimento al titolo di una raccolta di massime (Aforismi) del celebre medico Ippocrate e sta a indicare la scienza medica.
6 > sofismi: il termine filosofico indica dei ragionamenti corretti in apparenza ma che nella sostanza portano a conclusioni false.
16 > lumera: "luce"; deriva dal francese lumière, a sua volta derivante dal latino luminaria, neutro plurale di luminare (= fiaccola).
17 > sorridendo: il verbo sta qui a indicare non tanto il sorriso vero e proprio quanto il progressivo illuminarsi dell'anima nel momento in cui esprime la sua gioia, il suo amore-carità, parlando.
21 > onde cagioni: da dove fai derivare i tuoi pensieri; "cagionare" da "cagione" (= causa).
22-24 > si ricerna ... si sterna: si tratta di due latinismi. Il primo significa "si torni a esaminare" (da cèrnere); il secondo "si stenda" (da stèrnere).
25-26 > "U' ben s'impingua" ... "Non nacque il secondo": queste parole sono state pronunciate da Tommaso d'Aquino nel canto X del Paradiso (vv. 96 e 114). La prima espressione si riferisce all'Ordine domenicano, nel quale ci si arricchisce spiritualmente se non si va dietro a cose vane (come Tommaso aveva aggiunto subito dopo); la seconda a Salomone, esempio supremo di saggezza ancora insuperato.
28-30 > La provedenza ... al fondo: letteralmente: "la Provvidenza divina, che governa il mondo con quella saggezza che è come un abisso nel quale la vista di ogni creatura umana è vinta prima che possa attingerne il fondo". In altri termini, i disegni di Dio sono inconoscibili per l'uomo.
31-33 > però che ... benedetto: la perifrasi indica la Chiesa, sposa di Cristo per mezzo del sacrificio della croce. Le «alte grida» sono quelle che Gesù emise morendo («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», Matteo 27, 46).
35 > principi: è un latinismo (principes): "capi", "campioni". Si tratta di san Francesco e san Domenico.
36 > quinci e quindi: letteralmente: "da una parte e dall'altra".
37-39 > L'un fu ... splendore: san Tommaso nella Summa teologica afferma che i Serafini, gli angeli che sono al primo posto nella gerarchia angelica (nono cielo), sono detti così per l'ardore di carità, mentre i Cherubini, che si trovano al secondo posto (ottavo cielo), sono così chiamati per la loro sapienza.
41 > qual ch'om prende: è espressione con valore impersonale ricalcata sul francese (in francese on = si; ad esempio, ori dit que - si dice che).
43-45 > Intra ... pende: il Topino è un affluente del Chiascio, che, a sua volta, si getta nel Tevere. Per sottolineare l'importanza di Assisi, la città viene definita attraverso i fiumi e le città che la delimitano geograficamente. D Chiascio discende dal colle di Gubbio, nelle cui vicinanze (monte Ingino) visse vita eremitica Ubaldo Boccassini, vescovo di Gubbio dal 1129 al 1160. L'«alto monte» è il Subasio.
46-48 > onde ... Gualdo: il massiccio montuoso del Subasio ha a occidente Perugia, verso la quale digrada, raffreddandola d'inverno con la neve sulle sue pendici e riscaldando-la d'estate col calore che si riflette sul suo pendio. A nord-est dello stesso gruppo montuoso si trovano le due cittadine umbre di Nocera e Gualdo Tadino, che subiscono anch'esse gli effetti negativi della montagna. Alcuni commentatori interpretano il «grave giogo» in senso politico, come il governo di Perugia sulle due cittadine, avutosi tra il XIII e il XIV secolo.
49-50 > là dov'ella ... rattezza: letteralmente: "nel punto in cui rompe di più la sua ripidità".
50 > un sole: san Francesco.
53 > Ascesi: è la forma dell'italiano antico per Assisi.
55 > orto: è un latinismo, dal latino ortus ("nascita", ma anche "sorgere del sole"). In questo caso il termine latino è appropriato, in quanto, per definire Francesco, era stata usata proprio la metafora del sole.
58 > tal donna: è una metafora per indicare la povertà. Francesco nel 1207 fu citato in giudizio dal padre davanti la curia episcopale («la sua spirital corte») di Assisi, perché rinunciasse all'eredità paterna, in quanto aveva fatto già delle donazioni a favore della Chiesa. Francesco acconsenti e si spogliò pure degli stessi vestiti, abbracciando totalmente la povertà e scegliendola come regola di vita.
60 > la porta ... diserra: «Disserrare la porta del piacere vale propriamente: "aprire l'animo a un qualche oggetto con disposizione compiaciuta, lieta"» (Sapegno).
62 > et coram padre: alla presenza del padre. È un'espressione propria del linguaggio notarile. 0 padre può essere quello spirituale (il vescovo) e anche quello naturale (Pietro di Bemardone).
67-69 > né valse udir ... fé paura: l'episodio è riferito da Lucano (Pharsalia, V, vv. 519-531). Amiclate era un pescatore talmente povero che, non avendo da temere alcun furto, teneva sempre aperta la porta della propria abitazione anche nel periodo più a rischio di scorrerie da parte dei soldati durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo; mostrò indifferenza anche quando lo stesso Cesare si presentò in casa sua.
70-72 > né valse ... croce: l'unione di Cristo e della Povertà, in quanto Cristo stesso mori nudo e quindi povero, è un motivo tradizionale nella letteratura religiosa riguardante san Francesco. La Povertà sali dunque sulla croce con lui, mentre la stessa Madonna rimase ai piedi del sacro legno
79 > Bernardo: Bernardo di Quintavalle, di Assisi, nato verso il 1170 e morto prima del 1246, fu il primo seguace di Francesco, dopo aver rinunciato anche lui alle proprie ricchezze. Fondò il primo convento di frati francescani a Bologna nel 1211.
83 > Egidio ... Silvestro: il primo nacque ad Assisi nel 1190 e morì a Perugia nel 1262. autore di una biografia di san Francesco (Vita aurea). Il secondo era un prete che si convertì alla povertà francescana dopo un sogno. Mori intorno al 1240.
87 > l'umile capestro: è il cordone che cinge il saio dei frati francescani. Questo termine, nella lingua italiana, indica anche la fune con cappio scorsoio che si usava per le impiccagioni, oppure la corda o cavezza con cui si legano gli animali.
9193 > ma regalmente ... a sua religione: Francesco, con i suoi seguaci,tra il 1209 e il 1210 si recò a Roma da papa Innocenzo III (1198-1216) per ottenere una prima approvazione, che fu solo orale, alla sua Regola, la quale fu poi confermata da papa Onorio III nel 1223. Pare che Innocenzo III avesse pronunciato, in questa occasione, le seguenti parole: «La vostra vita ci sembra troppo dura e aspra».
97 > redimita: è il participio passato del verbo di uso letterario "redimire" = incoronare (voce dotta dal latino redimire = cingere, da redimiculum = benda, fascia).
98 > Onorio: è il papa Onorio III, che, come già osservato, con la bolla del 1223 approvò definitivamente la Regola di Francesco.
99 > archimandrita è un grecismo. Il nome deriva dal greco archimandrites, composto di archi- (capo) + mandria (recinto, stalla e poi monastero); quindi è il superiore di un monastero importante.
101 > Soldan: si tratta del sultano d'Egitto al-Malik-al-Kamil, che Francesco tentò invano di convertire al cristianesimo nel corso di una missione in Terra Santa intrapresa nel 1219 insieme ad altri dodici fraticelli. Il piccolo gruppo di frati era stato fatto prigioniero dai Saraceni a San Giovanni d'Acri.
106 > nel crudo sasso: è il monte della Verna, situato fra l'alta valle del Tevere e quella dell'Arno, in Toscana. Qui Francesco ricevette nel 1224 le stimmate («l'ultimo sigillo», v. 107), quando in preghiera gli apparve Cristo in forma di serafino che gli concesse le stimmate o segni delle piaghe prodotte sul corpo di Cristo stesso al momento della crocifissione. Il santo le portò nel costato, sulle mani e sui piedi per altri due anni fino alla morte (1226). Il miracolo è narrato da san Bonaventura da Bagnoregio nella Legenda maior (XIII, 3).
111 > pusillo: è il latino pusillus ("piccino"); qui ha il senso di umile. San Francesco stesso parla dei suoi frati come di pusillus grex (= picco-lo gregge).
117 > e al suo corpo ... bara: sempre secondo il racconto di san Bonaventura, Francesco chiese di essere sepolto nella nuda terra della Porziuncola, la piccola cappella ancora oggi esistente e inglobata nella più grande basilica di Santa Maria degli Angeli, a pochi chilometri da Assisi.
119-120 > la barca di Pietro: è una metafora per indicare la Chiesa; così l'«alto mar» indica le difficoltà in cui la Chiesa stessa s'imbatte sul suo cammino. Il «dritto segno» è la meta celeste.
124-129 > Ma 'I suo pecuglio ... latte vòte: in questi versi si ha una metafora continuata. Il gregge è l'Ordine dei domenicani, che ha desideri diversi da quelli indicati dal suo fondatore, cioè beni materiali come le rendite derivanti dalle cariche ecclesiastiche, e così molti frati smarriscono la retta via allontanandosi dagli insegnamenti di san Domenico e perdendo quella ricchezza spirituale (il «latte») che dovrebbero offrire anche agli altri.
137-139 > perché vedrai ... si vaneggia: la pianta che si rompe («si scheggia») è una metafora per indi-care l'Ordine domenicano che si corrompe. Negli ultimi due versi Tommaso dice a Dante che avrà capito che cosa significa l'aver aggiunto una correzione («se non si vaneggia») alla frase che poteva sembrargli poco chiara («U' ben s'impingua»), correzione che è stata necessaria in quanto l'Ordine non è compatto sulla via dell'arricchimento spirituale, ma in parte è soggetto alla degenerazione.
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PERSONAGGI
SAN TOMMASO D'AQUINO
SAN TOMMASO D'AQUINO
Nacque a Roccasecca, presso Aquino (attualmente in provincia di Frosinone), da famiglia nobile, nel 1226. Dopo aver studiato all'Università di Napoli entrò nell'Ordine domenicano (1244) contro il volere della famiglia e fu discepolo, a Parigi e a Colonia, di Alberto Magno. Insegnò teologia all'Università di Parigi, Napoli, Roma e Orvieto, al seguito di papa Urbano IV. Morì nel 1274 nell'abbazia di Fossanova. Fu il massimo esponente della filosofia scolastica, incentrata sull'accordo della ragione con la fede, in quanto derivanti entrambe da Dio. Tentò quindi di chiarire i dogmi oggetto di fede con l'ausilio della ragione (filosofia ancilla theologiae, cioè "la filosofia è ancella della teologia"). La filosofia, secondo il suo pensiero, poteva sussistere a fianco della teologia, in quanto entrambe le vie erano valide per giungere alla stessa verità. Cercò di conciliare il pensiero di Aristotele col cristianesimo. La sua filosofia è detta tomismo (da Thomas, forma latina di Tommaso). Scrisse numerose opere, tra cui la famosa Summa theologiae (Compendio di teologia), la Summa contra gentiles (Compendio contro i gentili, cioè contro i musulmani), le Questiones quodlibetales (Questioni su argomenti vari), il De unitate intellectus contra averroistas (L'unità dell'intelletto contro gli averroisti).
SAN FRANCESCO D’ASSISI
Nacque ad Assisi nel 1181 o 1182 da Pietro di Bernardone, un mercante di tessuti. Non si dedicò molto agli studi (sapeva un poco di latino e francese), trascorrendo una giovinezza serena e spensierata. Dopo aver partecipato a varie battaglie e aver tentato la carriera militare, avvenne in lui una profonda trasformazione che culminò nella conversione. Ritiratosi per un mese a meditare nella chiesetta di San Damiano, fu cercato vanamente dal padre. Con quest'ultimo i rapporti si guastarono definitivamente quando Francesco, che aveva venduto alcuni beni di famiglia per sovvenzionare i restauri della chiesa, fu citato in giudizio davanti al vescovo. In tale occasione rinunciò pubblicamente ai propri averi, spogliandosi anche delle vesti e affermando che da allora non avrebbe più invocato il padre Pietro ma il «Padre nostro che è nei cieli» (1207). Anziché dedicarsi alla pratica ascetica o alla vita contemplativa, cercò di rendere partecipi della missione spirituale di restaurazione della Chiesa che intendeva intraprendere altri confratelli, unitisi ben presto a lui. Li chiamò a seguire il suo programma, sulla base dell'affermazione evangelica secondo cui occorre predicare il Regno dei cieli senza avere con sé né oro, né argento, né bisacce, né tuniche, né sandali (Matteo 10, 7 ss.); un programma quindi improntato a un'estrema povertà, che fu la sostanza della Regola presentata al papa Innocenzo III nel 1210, da quest'ultimo approvata oralmente, non senza qualche difficoltà. Una leggenda attribuì allo stesso papa il sogno nel corso del quale avrebbe visto Francesco sostenere con le sue spalle l'edificio della Chiesa pericolante.
Ritornato ad Assisi, cercò invano di recarsi in Oriente e progettò missioni ir quelle terre lontane. Nel 1219 riuscì a raggiungere la Terra Santa ove ebbe contatti col sultano al-Malik-al-Kamil, che cercò inutilmente di convertire Ritornato in Italia, si dedicò a definire la propria Regola, anche per porre ordi ne fra i suoi seguaci tra cui non mancavano contrasti. La Regola fu approvati dal papa Onorio III nel 1223, anno di nascita dell'Ordine francescano. Co corpo indebolito da varie malattie, si ritirò sul monte della Verna, pressi Arezzo, ove ricevette le sacre stimmate o piaghe, simili a quelle di Cristo. Pu provato fisicamente e ridotto quasi alla cecità, nel 1223 si recò a Greccio ove ebbe l'idea di far rappresentare per la prima volta il presepe. Nel 1225 detti il celebre Cantico delle creature. Mori ad Assisi, nella Porziuncola, il 3 ottobri del 1226. Fu canonizzato nel 1228. È patrono d'Italia. Numerosi i cicli pittorici e scultorei che s'ispirarono alla vita del santo (celebre fra tutti quello d Giotto ad Assisi).
SAN FRANCESCO D’ASSISI
Nacque ad Assisi nel 1181 o 1182 da Pietro di Bernardone, un mercante di tessuti. Non si dedicò molto agli studi (sapeva un poco di latino e francese), trascorrendo una giovinezza serena e spensierata. Dopo aver partecipato a varie battaglie e aver tentato la carriera militare, avvenne in lui una profonda trasformazione che culminò nella conversione. Ritiratosi per un mese a meditare nella chiesetta di San Damiano, fu cercato vanamente dal padre. Con quest'ultimo i rapporti si guastarono definitivamente quando Francesco, che aveva venduto alcuni beni di famiglia per sovvenzionare i restauri della chiesa, fu citato in giudizio davanti al vescovo. In tale occasione rinunciò pubblicamente ai propri averi, spogliandosi anche delle vesti e affermando che da allora non avrebbe più invocato il padre Pietro ma il «Padre nostro che è nei cieli» (1207). Anziché dedicarsi alla pratica ascetica o alla vita contemplativa, cercò di rendere partecipi della missione spirituale di restaurazione della Chiesa che intendeva intraprendere altri confratelli, unitisi ben presto a lui. Li chiamò a seguire il suo programma, sulla base dell'affermazione evangelica secondo cui occorre predicare il Regno dei cieli senza avere con sé né oro, né argento, né bisacce, né tuniche, né sandali (Matteo 10, 7 ss.); un programma quindi improntato a un'estrema povertà, che fu la sostanza della Regola presentata al papa Innocenzo III nel 1210, da quest'ultimo approvata oralmente, non senza qualche difficoltà. Una leggenda attribuì allo stesso papa il sogno nel corso del quale avrebbe visto Francesco sostenere con le sue spalle l'edificio della Chiesa pericolante.
Ritornato ad Assisi, cercò invano di recarsi in Oriente e progettò missioni ir quelle terre lontane. Nel 1219 riuscì a raggiungere la Terra Santa ove ebbe contatti col sultano al-Malik-al-Kamil, che cercò inutilmente di convertire Ritornato in Italia, si dedicò a definire la propria Regola, anche per porre ordi ne fra i suoi seguaci tra cui non mancavano contrasti. La Regola fu approvati dal papa Onorio III nel 1223, anno di nascita dell'Ordine francescano. Co corpo indebolito da varie malattie, si ritirò sul monte della Verna, pressi Arezzo, ove ricevette le sacre stimmate o piaghe, simili a quelle di Cristo. Pu provato fisicamente e ridotto quasi alla cecità, nel 1223 si recò a Greccio ove ebbe l'idea di far rappresentare per la prima volta il presepe. Nel 1225 detti il celebre Cantico delle creature. Mori ad Assisi, nella Porziuncola, il 3 ottobri del 1226. Fu canonizzato nel 1228. È patrono d'Italia. Numerosi i cicli pittorici e scultorei che s'ispirarono alla vita del santo (celebre fra tutti quello d Giotto ad Assisi).
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ANALISI DEL TESTO
La condanna delle cure terrene ■ In apertura del canto si ha la trattazione di un motivo tipico del Medio Evo mistico e ascetico, quello del contemptus mundi o disprezzo del mondo. Le attività o gli interessi mondani, terreni, vengono svalutati e ridimensionati. Dante ha fatto propria la dimensione paradisiaca e assume ormai costantemente una prospettiva dall'alto, sia spaziale sia morale. Nei primi dodici versi, introduttivi alla tematica del canto (la svalutazione dei beni mondani e l'esaltazione della povertà nella santa figura di Francesco), domina, tra le altre, un'antitesi spaziale: «quei che ti fanno in basso batter l'ali!» (v. 3), «mera roso in cielo» (v. I i). “Basso-alto" è infatti la coppia oppositiva metaforica fondamentale della Commedia. A ciò si aggiunge un’altra antitesi (legare-sciogliere) a essa collegata: ciò che sta in basso, quindi le passioni mondane e i beni materiali, "involgono" («nel diletto de la carne involto», v. 8), cioè avvolgono, avviluppano, irretiscono irrimediabilmente, distogliendoci dai veri beni spirituali; mentre il privilegiare questi ultimi "scioglie" («da tutte queste cose sciolto», v. 10), ci rende cioè liberi dalla schiavitù delle lusinghe terrene. In questi versi sono passate in rassegna alcune delle principali occupazioni umane, sia nobili sia meno nobili, ma tutte accomunate nella condanna che deriva dalla loro vanità o insensatezza, in quanto «ti fanno in basso batter l'ali!»: vanità che coinvolge l'uomo di legge, il medico o addirittura il sacerdote, come il ladro, il lussurioso o l'ozioso. Nel condannare alcune attività in sé non disprezzabili, come la professione di medico e giurista o la carriera ecclesiastica, Dante intende riferirsi a quelli che le esercitano o intraprendono per il solo amore del denaro e del potere. La lunga elencazione è ritmata sintatticamente dall'anafora del «chi» e dal marcato polisindeto («e... e... e...»). L'eroe di cui si parlerà tra poco, Francesco, è l'esempio più convincente di saggia rinuncia alle ingannevoli attrattive terrene.
I dubbi di Dante e la presentazione di san Francesco e san Domenico ■ Dopo questa parentesi di natura etica, ricomincia la narrazione. La corona dei beati si ferma, ciascuno riprende il suo posto, e uno di loro, san Tommaso, man mano che la sua luce aumenta d'intensità, torna a parlare a Dante per chiarirgli due dubbi. Il primo riguarda il senso della frase «U' ben s'impingua», cioè "dove ci si arricchisce spiritualmente", pronunciata dal santo nel canto precedente e riferita all'Ordine domenicano; il secondo concerne Salomone, definito, nello stesso canto, il più saggio degli uomini. La risposta al primo sarà fornita nel corso di questo stesso canto, ma preceduta dall'ampia biografia di san Francesco, giacché «d'amendue / si dice l'un pregiando, qual ch'om prende» (vv. 40-4I), cioè qualunque dei due santi si prenda in considerazione, Francesco o Domenico, si parla di entrambi «perch'ad un fine fur l'opere sue», perseguirono cioè lo stesso scopo di riformare spiritualmente la Chiesa. La risposta al secondo dubbio sarà data nel canto XIII del Paradiso (vv. 33-111). Com'è possibile che Salomone sia stato l'uomo più sapiente se la massima sapienza umana era in Adamo e Cristo? Salomone, precisa san Tommaso, fu il primo in sapienza non in quanto uomo ma in quanto re, cioè in relazione alle sue capacità di governo.
L'esordio di Tommaso è caratterizzato da un eloquio alto, fitto di latinismi («si ricerna», «si sterna», «consiglio», nel senso di "intelligenza", «principi», nel significato di "capi", "campioni"); presenta un'elaborata perifrasi con ripetute metafore (vv. 3I-33). Questi ultimi versi introducono la consueta allegoria nuziale, tipica del linguaggio dei mistici e anche delle Sacre Scritture, ove per «sposa» è da intendersi la Chiesa e per "sposo" Cristo. La presentazione dei due «principi», Francesco e Domenico, avviene contemporaneamente e inscindibilmente, tanto la loro opera di salvezza e di riforma spirituale della Chiesa è complementare. Occorre precisare subito che, nell'economia generale del Paradiso, ai due santi è dedicato uno spazio analogo con attento e preciso parallelismo e simmetria, dacché l'elogio dell'uno occupa in gran parte il canto XI e quello dell'altro il canto XII, con rispondenze puntuali anche nel numero di versi dedicati alla trattazione di aspetti peculiari della loro vita e opera. Da ciò si deduce facilmente come i due canti siano stati concepiti unitariamente. L'unica distinzione riguarda la caratterizzazione psicologica e la dote peculiare dei due santi:
«L'un fu tutto serafico in ardore;
l'altro per sapienza in terra fue
39 di cherubica luce uno splendore».
La delimitazione spaziale del luogo di nascita e la metafora del sole ■ Ha finalmente inizio il panegirico (o discorso di lode) di Francesco, secondo lo schema agiografico consueto (la predestinazione alla santità, la nascita, la vocazione, le approvazioni papali del suo Ordine, la morte). Si ha dapprima una precisa collocazione spaziale, ampia e dettagliata che delimita, nello spazio altamente simbolico di due fiumi, il luogo di nascita del santo. In quello stesso spazio, o meglio nelle sue vicinanze, visse infatti un eremita, Ubaldo Boccassini che fu poi vescovo di Gubbio; inoltre il fianco occidentale del monte Subasio è definito «fertile»: i due elementi (la presenza di un eremita e la fertilità della pendice del Subasio) connotano positivamente quel territorio, alludendo simbolicamente al grande evento della nascita di Francesco in quel medesimo luogo circoscritto dai due fiumi. Questa complessa perifrasi geografica rientra nei canoni dell'orazione celebrativa, ma allo spazio astratto e idealizzato, tipico dell'agiografia e della leggenda francescana, si sostituisce quello concreto e topograficamente preciso di un determinato territorio, quello umbro.
Anche i nomi e le immagini hanno una forte connotazione simbolica. Francesco, quando nasce, è un sole, per cui il luogo di nascita non deve essere chiamato Assisi, ma «Oriente», ed egli nasce particolarmente splendente e luminoso come quando l'astro diurno sorge nell'equinozio di primavera dal Gange, cioè nel punto più orientale conosciuto allora. Inoltre Assisi si trova proprio a est di Perugia, dirimpetto a quella «Porta Sole» (v. 47) che nel nome sembra anticipare la metafora solare riferita al santo. La medesima metafora è tipica anche della leggenda francescana e trova rispondenza in un passo dell'Apocalisse (7, 2): «Vidi un altro angelo che saliva da Oriente, con le insegne di Dio vivo». L'angelo viene ovviamente identificato con Francesco. Nel nome «Ascesi», la forma predominante nell'italiano antico, c'era implicito anche il significato allegorico dell'ascesa, del salire, secondo il gusto medievale per le etimologie, a dir il vero per la maggior parte fantasiose. E il tema dell'ascesa è fondamentale nel canto, preannunciato fin da questo momento e ripreso alla fine della vita del santo con la sua salita al cielo.
La centralità del motivo della povertà nel san Francesco di Dante ■ La connotazione solare del santo non lo abbandona neppure dopo la nascita, dacché essa è indicata qui col termine latino di «orto» (dal verbo latino orior, oreris, ortus sum, oriri = sorgere, nascere) che rientra nel campo semantico del sole (del resto la parola «oriente» ha la stessa etimologia); ma anche perché, come il sole, Francesco fa sentire subito i suoi benefici effetti sulla Terra:
«Non era ancor molto lontan da l'orto,
ch'el cominciò a far sentir la terra
57 de la sua gran virtute alcun conforto».
Però, soprattutto a questo punto, il panegirico dantesco si stacca dalla tradizione agiografica e assume un'identità particolare. Al centra della biografia dantesca del santo non c'è la sua celebrata umiltà, o la sottomissione alla Chiesa, non troviamo gli aneddoti di cui si arricchisce subito la letteratura agiografica sul santo, quali miracoli o visioni. Dante introduce e sviluppa sostanzialmente un unico motivo, quello della povertà. Essa assume prima le sembianze accattivanti di una donna («ché per tal donna, giovinetto, in guerra / del padre corse [...]», vv. 58-59), di cui egli s'innamora appassionatamente («poscia di dì in dì l'amò più forte», v. 63), poi della sposa di Cristo, suo «primo marito», infine della sposa di Francesco stesso. Per lei non esita a rompere i legami familiari e a guastare definitivamente i rapporti col padre, fino alla rinuncia pubblica dei beni paterni davanti al tribunale ecclesiastico.
La centralità del motivo della povertà è ribadita dal fatto che essa viene menzionata come l'attributo essenziale di Cristo e che, nei suoi riguardi, occupa gerarchicamente un posto più importante della Madonna; infatti «dove Maria rimase giuro, / ella con Cristo pianse in su la croce» (vv. 7I-72), cioè la povertà personificata sarebbe salita insieme a lui sulla croce, mentre la Madonna rimase ai piedi di essa: ciò ad indicare che Cristo morì nudo e quindi in assoluta povertà.
Da tutto ciò deriva l'equazione Francesco = Cristo, in quanto entrambi mariti della Povertà, ma si ricordi che ai versi 32-33 Cristo è definito anche sposo della Chiesa; dunque potremmo dire che in seguito alla proprietà transitiva giungiamo a un'equivalenza fondamentale tra Chiesa e Povertà. I quattro termini vengono così a essere strettamente e significativamente collegati e costituiscono i cardini dell'interpretazione che Dante ha inteso dare della figura del santo.
Il proselitismo e le tre approvazioni della Regola ■ Successivamente la biografia assume sempre più i connotati dell'épos, cioè della narrazione poetica di imprese memorabili, in questo caso dal punto di vista religioso. San Francesco è l'eroe che fa proseliti, molti non esitano a farsi suoi seguaci. Le azioni si fanno rapide, quasi frenetiche, rese con un ritmo incalzante per effetto della frequenza di verbi di movimento («si scalzò», «corse e, correndo», «Scalzasi [...] scalzasi», «sen va»), per la successione di frasi brevi legate dal polisindeto, che sembra dare l'idea dell'affanno della corsa («tanto che 'l venerabile Bernardo / si scalzò prima, e dietro a tanta pace / corse e, correndo, li parve esser tardo», vv. 79-8I) o unite per asindeto, che traduce sintatticamente l'agilità dei movimenti:
«Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
84 dietro a lo sposo [...]».
L'insistenza sulla significativa azione dello scalzarsi e del procedere a piedi nudi richiama la corrispondente affermazione evangelica secondo cui occorreva predicare il Regno dei cieli senza avere con sé né oro né argento, né bisacce, né tuniche, né sandali (Matteo 10, 7 e ss.), affermazione che Francesco assunse integralmente come suo programma. i Il poverello di Assisi è animato dal coraggio e non si cura dell'opinione comune (vv. 89-90), ma persegue tenacemente l'obiettivo di fondare il suo Ordine, previa approvazione della Regola (vedi Il sapere del dotto medievale, p. 679), perciò «regalmente sua dura intenzione / ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe / primo sigillo a sua religione» (vv. 91-93). Si noti l'avverbio «regalmente», che denota l'atteggiamento fermo, degno di un re. È questo il primo riconoscimento ufficiale, seppure verbale, della Regola; gli altri due sopravverranno con un crescendo d'importanza e di sacralità che non ammetterà più dubbi sulla legittimità di quella. Infatti «di seconda corona redimita / fiu per Onorio da l'Etterno Spiro / la santa voglia d'esto archimandrita» (vv. 97-99). Il papa Onorio III concede l'approvazione scritta, ma agisce come puro strumento dello Spirito Santo («Etterno Spiro»), mentre il riconoscimento assume la forma metaforica di una corona che recinge la testa del santo, definito solennemente con un grecismo del sottocodice'religioso «archimandrita» o "fondatore di un Ordine religioso".
Ma l'operosità del fraticello non conosce ostacoli, neppure di natura geografica: si reca allora con alcuni compagni in Terra Santa per cercare di convertire, ma vanamente, il sultano; poi ritorna in Italia al fine di mettere a frutto la sua predicazione e il suo esempio e stabilisce per sua dimora il «crudo sasso intra Tevero e Arno» ove «da Cristo prese l'ultimo sigillo, / che le sue membra due anni portarno» (vv. I06-I08). Ancora una delimitazione geografica, compresa tra due fiumi, a sottolineare l'eccezionalità di colui che l'ha scelta come residenza, non certo idillica, ma un «crudo sasso», un paesaggio aspro e severo fatto per la meditazione e la preghiera. In mezzo a questa natura impervia e selvaggia riceverà, con le stimmate, la terza e conclusiva conferma al suo apostolato attraverso l'intervento diretto di Cristo medesimo.
La motivazione storica e morale del taglio dato alla biografia del santo ■ La parte conclusiva della biografia è quella ovviamente della morte, ma anche in questo caso l'autore pone l'accento sul testamento spirituale di Francesco, che raccomanda ai suoi fratelli di amare fedelmente «la donna sua più cara», la Povertà, così come poveramente, senza nemmeno una bara, vuole morire lui stesso.
Si deve dare, a questo punto, un'ulteriore motivazione dell'insistenza sul motivo centrale del canto. L'interpretazione dantesca non può prescindere né dalle idee politico-religiose del poeta fiorentino né dalle circostanze storiche dei tempi in cui si trovava a vivere, che sono quelle più volte richiamate: una Chiesa coinvolta negli affari mondani, nel lusso, nel vizio di simonia, ben lontana dal cristianesimo evangelico, guidata da papi teocratici come Bonifacio VIII, che non esitano a usurpare i diritti degli imperatori per sostituirsi a essi nel governo delle cose temporali. Da questa degenerazione derivano il disordine morale e politico e le ripercussioni sul benessere individuale e sociale. Dante ha presente tutto questo e non può non mettere in luce il fulgido esempio di coerenza evangelica di Francesco.
Ecco perché il san Francesco di Dante differisce ad esempio da quello, più o meno contemporaneo, affrescato da Giotto ad Assisi, ove si dà largo spazio a miracoli e visioni edificanti e poco all'ideale ascetico della povertà.
La critica all'Ordine domenicano ■ In sintonia con questo spirito polemico è la chiusa del canto, ove per bocca di Tommaso, dopo un richiamo alla grandezza del collega di Francesco, san Domenico, e alla sua altrettanto grande statura morale e religiosa, si rimprovera aspramente l'Ordine domenicano per la sua degenerazione. Si riprende allora la tradizionale metafora evangelica del gregge, arricchita da quella del cibo; la «nova vivanda» di cui quel gregge «è fatto ghiotto» lo spinge a perdersi in pascoli lontani che lo fanno deviare dalla retta via; perciò quelle pecore non hanno più latte da offrire. La metafora continuata intende alludere alla maggior parte dei Domenicani che, distratti da beni materiali o da occupazioni intellettuali profane, non riescono più a fornire il nutrimento spirituale a chi ne ha bisogno. Esiste, è vero, qualcuno che si stringe ancora intorno al pastore ed è quindi fedele al suo insegnamento, ma sono talmente pochi costoro che c'è bisogno di poca stoffa per cucire le loro tonache.
La condanna delle cure terrene ■ In apertura del canto si ha la trattazione di un motivo tipico del Medio Evo mistico e ascetico, quello del contemptus mundi o disprezzo del mondo. Le attività o gli interessi mondani, terreni, vengono svalutati e ridimensionati. Dante ha fatto propria la dimensione paradisiaca e assume ormai costantemente una prospettiva dall'alto, sia spaziale sia morale. Nei primi dodici versi, introduttivi alla tematica del canto (la svalutazione dei beni mondani e l'esaltazione della povertà nella santa figura di Francesco), domina, tra le altre, un'antitesi spaziale: «quei che ti fanno in basso batter l'ali!» (v. 3), «mera roso in cielo» (v. I i). “Basso-alto" è infatti la coppia oppositiva metaforica fondamentale della Commedia. A ciò si aggiunge un’altra antitesi (legare-sciogliere) a essa collegata: ciò che sta in basso, quindi le passioni mondane e i beni materiali, "involgono" («nel diletto de la carne involto», v. 8), cioè avvolgono, avviluppano, irretiscono irrimediabilmente, distogliendoci dai veri beni spirituali; mentre il privilegiare questi ultimi "scioglie" («da tutte queste cose sciolto», v. 10), ci rende cioè liberi dalla schiavitù delle lusinghe terrene. In questi versi sono passate in rassegna alcune delle principali occupazioni umane, sia nobili sia meno nobili, ma tutte accomunate nella condanna che deriva dalla loro vanità o insensatezza, in quanto «ti fanno in basso batter l'ali!»: vanità che coinvolge l'uomo di legge, il medico o addirittura il sacerdote, come il ladro, il lussurioso o l'ozioso. Nel condannare alcune attività in sé non disprezzabili, come la professione di medico e giurista o la carriera ecclesiastica, Dante intende riferirsi a quelli che le esercitano o intraprendono per il solo amore del denaro e del potere. La lunga elencazione è ritmata sintatticamente dall'anafora del «chi» e dal marcato polisindeto («e... e... e...»). L'eroe di cui si parlerà tra poco, Francesco, è l'esempio più convincente di saggia rinuncia alle ingannevoli attrattive terrene.
I dubbi di Dante e la presentazione di san Francesco e san Domenico ■ Dopo questa parentesi di natura etica, ricomincia la narrazione. La corona dei beati si ferma, ciascuno riprende il suo posto, e uno di loro, san Tommaso, man mano che la sua luce aumenta d'intensità, torna a parlare a Dante per chiarirgli due dubbi. Il primo riguarda il senso della frase «U' ben s'impingua», cioè "dove ci si arricchisce spiritualmente", pronunciata dal santo nel canto precedente e riferita all'Ordine domenicano; il secondo concerne Salomone, definito, nello stesso canto, il più saggio degli uomini. La risposta al primo sarà fornita nel corso di questo stesso canto, ma preceduta dall'ampia biografia di san Francesco, giacché «d'amendue / si dice l'un pregiando, qual ch'om prende» (vv. 40-4I), cioè qualunque dei due santi si prenda in considerazione, Francesco o Domenico, si parla di entrambi «perch'ad un fine fur l'opere sue», perseguirono cioè lo stesso scopo di riformare spiritualmente la Chiesa. La risposta al secondo dubbio sarà data nel canto XIII del Paradiso (vv. 33-111). Com'è possibile che Salomone sia stato l'uomo più sapiente se la massima sapienza umana era in Adamo e Cristo? Salomone, precisa san Tommaso, fu il primo in sapienza non in quanto uomo ma in quanto re, cioè in relazione alle sue capacità di governo.
L'esordio di Tommaso è caratterizzato da un eloquio alto, fitto di latinismi («si ricerna», «si sterna», «consiglio», nel senso di "intelligenza", «principi», nel significato di "capi", "campioni"); presenta un'elaborata perifrasi con ripetute metafore (vv. 3I-33). Questi ultimi versi introducono la consueta allegoria nuziale, tipica del linguaggio dei mistici e anche delle Sacre Scritture, ove per «sposa» è da intendersi la Chiesa e per "sposo" Cristo. La presentazione dei due «principi», Francesco e Domenico, avviene contemporaneamente e inscindibilmente, tanto la loro opera di salvezza e di riforma spirituale della Chiesa è complementare. Occorre precisare subito che, nell'economia generale del Paradiso, ai due santi è dedicato uno spazio analogo con attento e preciso parallelismo e simmetria, dacché l'elogio dell'uno occupa in gran parte il canto XI e quello dell'altro il canto XII, con rispondenze puntuali anche nel numero di versi dedicati alla trattazione di aspetti peculiari della loro vita e opera. Da ciò si deduce facilmente come i due canti siano stati concepiti unitariamente. L'unica distinzione riguarda la caratterizzazione psicologica e la dote peculiare dei due santi:
«L'un fu tutto serafico in ardore;
l'altro per sapienza in terra fue
39 di cherubica luce uno splendore».
La delimitazione spaziale del luogo di nascita e la metafora del sole ■ Ha finalmente inizio il panegirico (o discorso di lode) di Francesco, secondo lo schema agiografico consueto (la predestinazione alla santità, la nascita, la vocazione, le approvazioni papali del suo Ordine, la morte). Si ha dapprima una precisa collocazione spaziale, ampia e dettagliata che delimita, nello spazio altamente simbolico di due fiumi, il luogo di nascita del santo. In quello stesso spazio, o meglio nelle sue vicinanze, visse infatti un eremita, Ubaldo Boccassini che fu poi vescovo di Gubbio; inoltre il fianco occidentale del monte Subasio è definito «fertile»: i due elementi (la presenza di un eremita e la fertilità della pendice del Subasio) connotano positivamente quel territorio, alludendo simbolicamente al grande evento della nascita di Francesco in quel medesimo luogo circoscritto dai due fiumi. Questa complessa perifrasi geografica rientra nei canoni dell'orazione celebrativa, ma allo spazio astratto e idealizzato, tipico dell'agiografia e della leggenda francescana, si sostituisce quello concreto e topograficamente preciso di un determinato territorio, quello umbro.
Anche i nomi e le immagini hanno una forte connotazione simbolica. Francesco, quando nasce, è un sole, per cui il luogo di nascita non deve essere chiamato Assisi, ma «Oriente», ed egli nasce particolarmente splendente e luminoso come quando l'astro diurno sorge nell'equinozio di primavera dal Gange, cioè nel punto più orientale conosciuto allora. Inoltre Assisi si trova proprio a est di Perugia, dirimpetto a quella «Porta Sole» (v. 47) che nel nome sembra anticipare la metafora solare riferita al santo. La medesima metafora è tipica anche della leggenda francescana e trova rispondenza in un passo dell'Apocalisse (7, 2): «Vidi un altro angelo che saliva da Oriente, con le insegne di Dio vivo». L'angelo viene ovviamente identificato con Francesco. Nel nome «Ascesi», la forma predominante nell'italiano antico, c'era implicito anche il significato allegorico dell'ascesa, del salire, secondo il gusto medievale per le etimologie, a dir il vero per la maggior parte fantasiose. E il tema dell'ascesa è fondamentale nel canto, preannunciato fin da questo momento e ripreso alla fine della vita del santo con la sua salita al cielo.
La centralità del motivo della povertà nel san Francesco di Dante ■ La connotazione solare del santo non lo abbandona neppure dopo la nascita, dacché essa è indicata qui col termine latino di «orto» (dal verbo latino orior, oreris, ortus sum, oriri = sorgere, nascere) che rientra nel campo semantico del sole (del resto la parola «oriente» ha la stessa etimologia); ma anche perché, come il sole, Francesco fa sentire subito i suoi benefici effetti sulla Terra:
«Non era ancor molto lontan da l'orto,
ch'el cominciò a far sentir la terra
57 de la sua gran virtute alcun conforto».
Però, soprattutto a questo punto, il panegirico dantesco si stacca dalla tradizione agiografica e assume un'identità particolare. Al centra della biografia dantesca del santo non c'è la sua celebrata umiltà, o la sottomissione alla Chiesa, non troviamo gli aneddoti di cui si arricchisce subito la letteratura agiografica sul santo, quali miracoli o visioni. Dante introduce e sviluppa sostanzialmente un unico motivo, quello della povertà. Essa assume prima le sembianze accattivanti di una donna («ché per tal donna, giovinetto, in guerra / del padre corse [...]», vv. 58-59), di cui egli s'innamora appassionatamente («poscia di dì in dì l'amò più forte», v. 63), poi della sposa di Cristo, suo «primo marito», infine della sposa di Francesco stesso. Per lei non esita a rompere i legami familiari e a guastare definitivamente i rapporti col padre, fino alla rinuncia pubblica dei beni paterni davanti al tribunale ecclesiastico.
La centralità del motivo della povertà è ribadita dal fatto che essa viene menzionata come l'attributo essenziale di Cristo e che, nei suoi riguardi, occupa gerarchicamente un posto più importante della Madonna; infatti «dove Maria rimase giuro, / ella con Cristo pianse in su la croce» (vv. 7I-72), cioè la povertà personificata sarebbe salita insieme a lui sulla croce, mentre la Madonna rimase ai piedi di essa: ciò ad indicare che Cristo morì nudo e quindi in assoluta povertà.
Da tutto ciò deriva l'equazione Francesco = Cristo, in quanto entrambi mariti della Povertà, ma si ricordi che ai versi 32-33 Cristo è definito anche sposo della Chiesa; dunque potremmo dire che in seguito alla proprietà transitiva giungiamo a un'equivalenza fondamentale tra Chiesa e Povertà. I quattro termini vengono così a essere strettamente e significativamente collegati e costituiscono i cardini dell'interpretazione che Dante ha inteso dare della figura del santo.
Il proselitismo e le tre approvazioni della Regola ■ Successivamente la biografia assume sempre più i connotati dell'épos, cioè della narrazione poetica di imprese memorabili, in questo caso dal punto di vista religioso. San Francesco è l'eroe che fa proseliti, molti non esitano a farsi suoi seguaci. Le azioni si fanno rapide, quasi frenetiche, rese con un ritmo incalzante per effetto della frequenza di verbi di movimento («si scalzò», «corse e, correndo», «Scalzasi [...] scalzasi», «sen va»), per la successione di frasi brevi legate dal polisindeto, che sembra dare l'idea dell'affanno della corsa («tanto che 'l venerabile Bernardo / si scalzò prima, e dietro a tanta pace / corse e, correndo, li parve esser tardo», vv. 79-8I) o unite per asindeto, che traduce sintatticamente l'agilità dei movimenti:
«Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
84 dietro a lo sposo [...]».
L'insistenza sulla significativa azione dello scalzarsi e del procedere a piedi nudi richiama la corrispondente affermazione evangelica secondo cui occorreva predicare il Regno dei cieli senza avere con sé né oro né argento, né bisacce, né tuniche, né sandali (Matteo 10, 7 e ss.), affermazione che Francesco assunse integralmente come suo programma. i Il poverello di Assisi è animato dal coraggio e non si cura dell'opinione comune (vv. 89-90), ma persegue tenacemente l'obiettivo di fondare il suo Ordine, previa approvazione della Regola (vedi Il sapere del dotto medievale, p. 679), perciò «regalmente sua dura intenzione / ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe / primo sigillo a sua religione» (vv. 91-93). Si noti l'avverbio «regalmente», che denota l'atteggiamento fermo, degno di un re. È questo il primo riconoscimento ufficiale, seppure verbale, della Regola; gli altri due sopravverranno con un crescendo d'importanza e di sacralità che non ammetterà più dubbi sulla legittimità di quella. Infatti «di seconda corona redimita / fiu per Onorio da l'Etterno Spiro / la santa voglia d'esto archimandrita» (vv. 97-99). Il papa Onorio III concede l'approvazione scritta, ma agisce come puro strumento dello Spirito Santo («Etterno Spiro»), mentre il riconoscimento assume la forma metaforica di una corona che recinge la testa del santo, definito solennemente con un grecismo del sottocodice'religioso «archimandrita» o "fondatore di un Ordine religioso".
Ma l'operosità del fraticello non conosce ostacoli, neppure di natura geografica: si reca allora con alcuni compagni in Terra Santa per cercare di convertire, ma vanamente, il sultano; poi ritorna in Italia al fine di mettere a frutto la sua predicazione e il suo esempio e stabilisce per sua dimora il «crudo sasso intra Tevero e Arno» ove «da Cristo prese l'ultimo sigillo, / che le sue membra due anni portarno» (vv. I06-I08). Ancora una delimitazione geografica, compresa tra due fiumi, a sottolineare l'eccezionalità di colui che l'ha scelta come residenza, non certo idillica, ma un «crudo sasso», un paesaggio aspro e severo fatto per la meditazione e la preghiera. In mezzo a questa natura impervia e selvaggia riceverà, con le stimmate, la terza e conclusiva conferma al suo apostolato attraverso l'intervento diretto di Cristo medesimo.
La motivazione storica e morale del taglio dato alla biografia del santo ■ La parte conclusiva della biografia è quella ovviamente della morte, ma anche in questo caso l'autore pone l'accento sul testamento spirituale di Francesco, che raccomanda ai suoi fratelli di amare fedelmente «la donna sua più cara», la Povertà, così come poveramente, senza nemmeno una bara, vuole morire lui stesso.
Si deve dare, a questo punto, un'ulteriore motivazione dell'insistenza sul motivo centrale del canto. L'interpretazione dantesca non può prescindere né dalle idee politico-religiose del poeta fiorentino né dalle circostanze storiche dei tempi in cui si trovava a vivere, che sono quelle più volte richiamate: una Chiesa coinvolta negli affari mondani, nel lusso, nel vizio di simonia, ben lontana dal cristianesimo evangelico, guidata da papi teocratici come Bonifacio VIII, che non esitano a usurpare i diritti degli imperatori per sostituirsi a essi nel governo delle cose temporali. Da questa degenerazione derivano il disordine morale e politico e le ripercussioni sul benessere individuale e sociale. Dante ha presente tutto questo e non può non mettere in luce il fulgido esempio di coerenza evangelica di Francesco.
Ecco perché il san Francesco di Dante differisce ad esempio da quello, più o meno contemporaneo, affrescato da Giotto ad Assisi, ove si dà largo spazio a miracoli e visioni edificanti e poco all'ideale ascetico della povertà.
La critica all'Ordine domenicano ■ In sintonia con questo spirito polemico è la chiusa del canto, ove per bocca di Tommaso, dopo un richiamo alla grandezza del collega di Francesco, san Domenico, e alla sua altrettanto grande statura morale e religiosa, si rimprovera aspramente l'Ordine domenicano per la sua degenerazione. Si riprende allora la tradizionale metafora evangelica del gregge, arricchita da quella del cibo; la «nova vivanda» di cui quel gregge «è fatto ghiotto» lo spinge a perdersi in pascoli lontani che lo fanno deviare dalla retta via; perciò quelle pecore non hanno più latte da offrire. La metafora continuata intende alludere alla maggior parte dei Domenicani che, distratti da beni materiali o da occupazioni intellettuali profane, non riescono più a fornire il nutrimento spirituale a chi ne ha bisogno. Esiste, è vero, qualcuno che si stringe ancora intorno al pastore ed è quindi fedele al suo insegnamento, ma sono talmente pochi costoro che c'è bisogno di poca stoffa per cucire le loro tonache.
Postato il 20 aprile 2011
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