di Alessandro Schiesaro
La generazione Internet sa ancora leggere? Il dubbio si pone da tempo, almeno da quando si sono iniziati a studiare seriamente gli effetti a livello neurologico e cognitivo dell'uso intenso di Internet, che pone sfide e interrogativi importanti soprattutto per il sistema scolastico, ormai popolato da allievi nella cui vita la rete è entrata dal primo giorno. Internet, gli sms, twitter si basano, certo, sulla capacità di leggere, e in questo senso ripropongono la centralità della parola scritta rispetto all'immagine.
Ma leggere su e per Internet non è la stessa cosa che leggere "come si faceva una volta". Sono diversi i tempi e i modi, molto più concentrati i primi, più cursori i secondi. Non è una novità assoluta nella storia: anche il passaggio dal rotolo di papiro al codice in volume comportò a suo tempo una modifica nelle modalità di accostarsi al testo.
È troppo presto per dire se il mutamento avrà un effetto positivo o meno. Anzi, è chiaro che gli effetti saranno molteplici e diversificati: se spesso si attribuisce alle nuove tecnologie una minore capacità di concentrazione, alcuni studi già dimostrano, per esempio, che l'accesso a internet agevola la lettura in classi socio-economiche svantaggiate. Resta indiscutibile, in ogni caso, che vale la pena di investire, anzi re-investire sulla lettura come strumento primario di conoscenza nelle sue forme tradizionali.
In questo orizzonte complessivo, e non solo come strumento di verifica dell'apprendimento, vanno considerati i test Invalsi di italiano offerti a partire dal 2008 nelle scuole primarie (in seconda e in quinta), dal 2009 in quelle secondarie di primo grado (in terza) e ora in procinto di essere estesi anche alle secondarie di secondo grado. Si tratta di prove standardizzate, che si affiancano a quelle in matematica, finalizzate a misurare negli studenti, a intervalli regolari, competenze di diverso tipo: la conoscenza del lessico; la capacità di comprendere il significato di un testo anche quando questo non sia del tutto esplicito; la propensione a trarre inferenze più o meno accreditate.
Le prove si basano su brani di prosa d'autore contemporanei, quindi tutti caratterizzati in qualche misura dalla ricchezza espressiva e dall'inevitabile complessità polisemica di un testo letterario. Se Internet rischia di trasformarci in pantagruelici ma indiscriminanti lettori di microtesti, riassunti e "pillole", proporre testi narrativi, non di informazione, ribadisce l'importanza della lettura "lenta", giocata su sfumature e sovrasensi, slegata dall'ansia di incamerare nel più breve tempo possibile il maggior numero di dati: la sola, in altre parole, capace di sviluppare lo spirito critico.
Non sono test facili. Chiedere, per esempio, ai bambini di seconda elementare il significato corretto di "ostruito" può sembrare ambizioso, eppure i risultati indicano che si tratta di una sfida possibile, a patto che fin da subito i programmi di insegnamento siano impostati in modo coerente: il dato che sorprende, infatti, è che anche domande a prima vista quasi spiazzanti sono state affrontate con esiti largamente positivi. I prototipi dei test per le superiori dedicano più spazio a domande di carattere sintattico, ma soprattutto all'interpretazione vera e propria, toccando in alcuni casi anche aspetti di genere letterario. Tutti i test, con diversa intensità, richiedono al lettore uno sforzo di comprensione razionale e sistematica, interrogando anche sul "non detto" o proponendo esercizi di modellizzazione, sintattica o contenutistica.
In Italia le prove standardizzate sono ancora viste con diffidenza o timore. Se vengono costruite su solide basi scientifiche e adeguatamente testate (solo il 15% delle domande sopravvive ai pre-test), però, sono uno strumento insostituibile non solo per valutare l'apprendimento, ma anche per definirne con chiarezza gli obiettivi, riducendo i margini di arbitrarietà (non quelli di autonomia critica del docente, che sono tutt'altra cosa). E per quanto "nuovi" nella forma, test come quelli di lettura possono costituire la difesa più efficace per un'abilità "antica", ma in parte storicamente determinata, come quella di leggere e comprendere, soprattutto in un momento di mutamenti paradigmatici come quella in cui stiamo vivendo.
Ma leggere su e per Internet non è la stessa cosa che leggere "come si faceva una volta". Sono diversi i tempi e i modi, molto più concentrati i primi, più cursori i secondi. Non è una novità assoluta nella storia: anche il passaggio dal rotolo di papiro al codice in volume comportò a suo tempo una modifica nelle modalità di accostarsi al testo.
È troppo presto per dire se il mutamento avrà un effetto positivo o meno. Anzi, è chiaro che gli effetti saranno molteplici e diversificati: se spesso si attribuisce alle nuove tecnologie una minore capacità di concentrazione, alcuni studi già dimostrano, per esempio, che l'accesso a internet agevola la lettura in classi socio-economiche svantaggiate. Resta indiscutibile, in ogni caso, che vale la pena di investire, anzi re-investire sulla lettura come strumento primario di conoscenza nelle sue forme tradizionali.
In questo orizzonte complessivo, e non solo come strumento di verifica dell'apprendimento, vanno considerati i test Invalsi di italiano offerti a partire dal 2008 nelle scuole primarie (in seconda e in quinta), dal 2009 in quelle secondarie di primo grado (in terza) e ora in procinto di essere estesi anche alle secondarie di secondo grado. Si tratta di prove standardizzate, che si affiancano a quelle in matematica, finalizzate a misurare negli studenti, a intervalli regolari, competenze di diverso tipo: la conoscenza del lessico; la capacità di comprendere il significato di un testo anche quando questo non sia del tutto esplicito; la propensione a trarre inferenze più o meno accreditate.
Le prove si basano su brani di prosa d'autore contemporanei, quindi tutti caratterizzati in qualche misura dalla ricchezza espressiva e dall'inevitabile complessità polisemica di un testo letterario. Se Internet rischia di trasformarci in pantagruelici ma indiscriminanti lettori di microtesti, riassunti e "pillole", proporre testi narrativi, non di informazione, ribadisce l'importanza della lettura "lenta", giocata su sfumature e sovrasensi, slegata dall'ansia di incamerare nel più breve tempo possibile il maggior numero di dati: la sola, in altre parole, capace di sviluppare lo spirito critico.
Non sono test facili. Chiedere, per esempio, ai bambini di seconda elementare il significato corretto di "ostruito" può sembrare ambizioso, eppure i risultati indicano che si tratta di una sfida possibile, a patto che fin da subito i programmi di insegnamento siano impostati in modo coerente: il dato che sorprende, infatti, è che anche domande a prima vista quasi spiazzanti sono state affrontate con esiti largamente positivi. I prototipi dei test per le superiori dedicano più spazio a domande di carattere sintattico, ma soprattutto all'interpretazione vera e propria, toccando in alcuni casi anche aspetti di genere letterario. Tutti i test, con diversa intensità, richiedono al lettore uno sforzo di comprensione razionale e sistematica, interrogando anche sul "non detto" o proponendo esercizi di modellizzazione, sintattica o contenutistica.
In Italia le prove standardizzate sono ancora viste con diffidenza o timore. Se vengono costruite su solide basi scientifiche e adeguatamente testate (solo il 15% delle domande sopravvive ai pre-test), però, sono uno strumento insostituibile non solo per valutare l'apprendimento, ma anche per definirne con chiarezza gli obiettivi, riducendo i margini di arbitrarietà (non quelli di autonomia critica del docente, che sono tutt'altra cosa). E per quanto "nuovi" nella forma, test come quelli di lettura possono costituire la difesa più efficace per un'abilità "antica", ma in parte storicamente determinata, come quella di leggere e comprendere, soprattutto in un momento di mutamenti paradigmatici come quella in cui stiamo vivendo.
«Il Sole 24 Ore» del 18 aprile 2011
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