L'Italia del «tutti innocenti»
di Ernesto Galli della Loggia
Sosteneva Schopenhauer - un bilioso connazionale della signora Merkel vissuto circa un paio di secoli fa, al quale evidentemente non eravamo troppo simpatici - che tra tutti i popoli d'Europa gli Italiani rappresentavano l'esempio di «una perfetta impudenza». Esagerava, certamente. Ma resta il fatto che da un po' di tempo chi vive in questo Paese non può fare a meno di chiedersi dove mai erano negli ultimi trent'anni gli attuali protagonisti della scena pubblica italiana, che cosa allora essi dicevano e facevano, addirittura se abbiano mai detto o fatto qualcosa. O forse, invece, erano ancora in troppo tenera età? O magari tutti all'estero e si occupavano d'altro?
Oggi, infatti, nessuno sembra essere stato responsabile di nulla. Una «perfetta impudenza», appunto. Debito pubblico cresciuto a livelli vertiginosi? Spesa pubblica oggetto di sprechi di ogni tipo e misura? Un'amministrazione di inefficienza conclamata? Le professioni preda del più turgido spirito corporativo? La lottizzazione partitica dominante dappertutto? Un welfare costruito a tutela dei più forti? Reti e servizi organizzati in forma oligo-monopolistica e sempre in danno del consumatore? Banche inefficienti e abituate ad angariare la clientela? Un'industria privata spesso variamente foraggiata a fondo perduto dallo Stato? Una giustizia di cui i cittadini diffidano? Carceri in condizioni orripilanti?
Sì, questo è il panorama vero e angoscioso dell'Italia di oggi. Ma è un panorama orfano di padri: per la parte che ciascuno vi ha avuto nel generarlo nessuno se ne vuole fare carico. Tutti innocenti. A cominciare dai partiti che fino a novembre dell'anno scorso hanno governato in ambito locale e nazionale. Quei partiti, quegli uomini e quelle donne, che per decenni hanno preso tutte le decisioni che oggi sappiamo sbagliate, quasi sempre senza preoccuparsi del domani ma solo del consenso dell'oggi; che hanno deliberato spese sconsiderate e hanno approvato leggi sempre più rivelatesi mal pensate e peggio ancora applicate. Per non dire dei sindacati, propugnatori abituali di vincoli rivelatisi soffocanti e, specialmente nel pubblico impiego, sostenitori di ope legis rovinosi, di mansionari e organici fuori dalla realtà, portatori di abiti ideologici implacabilmente ostili al merito, alla gerarchia, all'efficienza. Quei sindacati che per bocca di Susanna Camusso ancora oggi rivendicano come un merito indiscusso la prassi della concertazione «tra le parti», senza neppure un dubbio sulle evidenti conseguenze che una tale prassi ha avuto per decenni ai danni dell'interesse, non «delle parti», ma di quello generale, di cui deve pur essere garante il governo.
Mettiamoci pure, come è giusto, il sistema dell'informazione. Sì, troppo a lungo l'informazione indipendente si è mostrata eccessivamente indulgente verso il potere politico ed economico e i suoi rappresentanti. Non solo: troppo rispetto a priori anche verso i tabù culturalmente consacrati, verso l'autorità delle grandi corporazioni, verso tante discutibili pretese dei corpi dello Stato. Esattamente come la medesima indulgenza, il medesimo conformismo, però, ha avuto l'informazione ideologicamente orientata, ogni qual volta si è trattato di coprire le contraddizioni, le inadeguatezze o le vere e proprie magagne della propria parte.
C'eravamo, ci siamo stati tutti, insomma, nell'Italia degli ultimi trent'anni, se non sbaglio. E ognuno con la sua piccola o meno piccola parte di colpa; anche se oggi in molti fingono di esserselo dimenticato. Soprattutto c'erano, ci sono stati, gli Italiani (ha fatto bene Giuseppe Bedeschi ieri a ricordarlo). Gli Italiani: nella loro maggioranza implicati in mille modi - contro una minoranza di veri poveri e di senza diritti - nei meccanismi perversi che ci hanno portato alla drammatica condizione attuale: come elettori, come evasori fiscali, come finti invalidi o finti intestatari di quote latte, come viaggiatori a sbafo, come fruitori della spesa pubblica, di condoni edilizi, di pensioni d'anzianità, come membri di qualche piccola o grande corporazione di privilegiati. Più o meno i medesimi, c'è da giurarci, intenti a recitare oggi la parte dei superindignati contro la «casta».
È questo il massimo ostacolo che paralizza il Paese e gli impedisce di riprendere qualsiasi cammino, è la sua cattiva coscienza: l'oblio generalizzato e autoassolutorio della società nazionale in genere, e la mancanza della benché minima autocritica dei partiti maggiori, che di conseguenza li rende tutti non credibili nei loro propositi per il futuro, destinati quindi a suonare fastidiosamente patetici. L'Italia non potrà avere alcun futuro finché non riuscirà a disporre di una narrazione del passato che la renda consapevole degli sbagli trascorsi, delle loro cause e dei loro responsabili. Così come dopo la catastrofe della guerra potemmo risollevarci solo dopo esserci sforzati di capire gli aspetti oscuri della nostra storia che si riassumevano nell'errore del fascismo, allo stesso modo oggi andremo avanti solo se faremo i conti con la vicenda grigia e piena di difetti della nostra democrazia.
Oggi, infatti, nessuno sembra essere stato responsabile di nulla. Una «perfetta impudenza», appunto. Debito pubblico cresciuto a livelli vertiginosi? Spesa pubblica oggetto di sprechi di ogni tipo e misura? Un'amministrazione di inefficienza conclamata? Le professioni preda del più turgido spirito corporativo? La lottizzazione partitica dominante dappertutto? Un welfare costruito a tutela dei più forti? Reti e servizi organizzati in forma oligo-monopolistica e sempre in danno del consumatore? Banche inefficienti e abituate ad angariare la clientela? Un'industria privata spesso variamente foraggiata a fondo perduto dallo Stato? Una giustizia di cui i cittadini diffidano? Carceri in condizioni orripilanti?
Sì, questo è il panorama vero e angoscioso dell'Italia di oggi. Ma è un panorama orfano di padri: per la parte che ciascuno vi ha avuto nel generarlo nessuno se ne vuole fare carico. Tutti innocenti. A cominciare dai partiti che fino a novembre dell'anno scorso hanno governato in ambito locale e nazionale. Quei partiti, quegli uomini e quelle donne, che per decenni hanno preso tutte le decisioni che oggi sappiamo sbagliate, quasi sempre senza preoccuparsi del domani ma solo del consenso dell'oggi; che hanno deliberato spese sconsiderate e hanno approvato leggi sempre più rivelatesi mal pensate e peggio ancora applicate. Per non dire dei sindacati, propugnatori abituali di vincoli rivelatisi soffocanti e, specialmente nel pubblico impiego, sostenitori di ope legis rovinosi, di mansionari e organici fuori dalla realtà, portatori di abiti ideologici implacabilmente ostili al merito, alla gerarchia, all'efficienza. Quei sindacati che per bocca di Susanna Camusso ancora oggi rivendicano come un merito indiscusso la prassi della concertazione «tra le parti», senza neppure un dubbio sulle evidenti conseguenze che una tale prassi ha avuto per decenni ai danni dell'interesse, non «delle parti», ma di quello generale, di cui deve pur essere garante il governo.
Mettiamoci pure, come è giusto, il sistema dell'informazione. Sì, troppo a lungo l'informazione indipendente si è mostrata eccessivamente indulgente verso il potere politico ed economico e i suoi rappresentanti. Non solo: troppo rispetto a priori anche verso i tabù culturalmente consacrati, verso l'autorità delle grandi corporazioni, verso tante discutibili pretese dei corpi dello Stato. Esattamente come la medesima indulgenza, il medesimo conformismo, però, ha avuto l'informazione ideologicamente orientata, ogni qual volta si è trattato di coprire le contraddizioni, le inadeguatezze o le vere e proprie magagne della propria parte.
C'eravamo, ci siamo stati tutti, insomma, nell'Italia degli ultimi trent'anni, se non sbaglio. E ognuno con la sua piccola o meno piccola parte di colpa; anche se oggi in molti fingono di esserselo dimenticato. Soprattutto c'erano, ci sono stati, gli Italiani (ha fatto bene Giuseppe Bedeschi ieri a ricordarlo). Gli Italiani: nella loro maggioranza implicati in mille modi - contro una minoranza di veri poveri e di senza diritti - nei meccanismi perversi che ci hanno portato alla drammatica condizione attuale: come elettori, come evasori fiscali, come finti invalidi o finti intestatari di quote latte, come viaggiatori a sbafo, come fruitori della spesa pubblica, di condoni edilizi, di pensioni d'anzianità, come membri di qualche piccola o grande corporazione di privilegiati. Più o meno i medesimi, c'è da giurarci, intenti a recitare oggi la parte dei superindignati contro la «casta».
È questo il massimo ostacolo che paralizza il Paese e gli impedisce di riprendere qualsiasi cammino, è la sua cattiva coscienza: l'oblio generalizzato e autoassolutorio della società nazionale in genere, e la mancanza della benché minima autocritica dei partiti maggiori, che di conseguenza li rende tutti non credibili nei loro propositi per il futuro, destinati quindi a suonare fastidiosamente patetici. L'Italia non potrà avere alcun futuro finché non riuscirà a disporre di una narrazione del passato che la renda consapevole degli sbagli trascorsi, delle loro cause e dei loro responsabili. Così come dopo la catastrofe della guerra potemmo risollevarci solo dopo esserci sforzati di capire gli aspetti oscuri della nostra storia che si riassumevano nell'errore del fascismo, allo stesso modo oggi andremo avanti solo se faremo i conti con la vicenda grigia e piena di difetti della nostra democrazia.
«Corriere della sera» del 13 luglio 2012
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