L'antropologo Tattersall
di Luigi Dell’Aglio
«Noi che facciamo il suo stesso lavoro ci chiediamo se il paleoantropologo sia uno scienziato felice o almeno appagato. Forse il massimo che si possa dire per rassicurarlo è che, diversamente dall’ingegnere o dal geologo, non è tenuto ad avere sempre ragione. Qualche volta può anche sbagliare, ma l’errore non provoca tragedie.
La nostra scienza, a differenza di altre strade della conoscenza, è un sistema di cognizioni provvisorie limitato all’universo osservabile. La scienza in generale progredisce proponendo idee circa il comportamento dell’universo, verificandole e scartando quelle che non vanno. In questo modo opera come un sistema che si corregge da solo e si alimenta degli input forniti da un’immensa comunità di ricercatori. Ognuno di questi può sentirsi parte del colossale fiume della conoscenza, anche se le sue idee non verranno avvalorate dalle ricerche future». Un’ardita avventura di tenaci talenti: questa è la scienza per Ian Tattersall, paleoantropologo la cui rinomanza internazionale è legata a uno dei più grandi musei del mondo: l’American Museum of Natural History di New York. Tattersall ne è ora curator emeritus. Mercoledì 22 agosto interverrà al Meeting di Rimini sul tema "Natura umana ed evoluzione biologica".
Professor Tattersall, l’emergere dell’uomo con la sua natura dal corso dell’evoluzione è considerato un evento unico, ma ora alcuni fisici negano che l’arrivo della specie umana sia una svolta impetuosa che cambia radicalmente l’avventura della vita sul pianeta. Perché questo principio viene contestato?
«Non conosco molti fisici che realmente capiscano la biologia. Infatti i fenomeni che studiamo noi biologi sono molto caotici rispetto a quelli dei fisici. Ogni organismo ha una sua storia evolutiva, e questo vale particolarmente per gli esseri umani. Ma è anche vero che la specie umana si è fatta un nido molto confortevole tra i rami dell’imponente Albero della Vita sul nostro pianeta».
Nella disputa sull’origine della specie umana sembra ora accentuarsi e ora attenuarsi la spinta a invalidare la teoria dell’evoluzione. Tra gli antropologi credenti si fa notare che l’uomo non è la negazione dell’evoluzione. Al contrario, l’uomo "è la freccia dell’evoluzione, come diceva Teilhard de Chardin…».
«Teilhard era certamente nel giusto quando vedeva gli umani come un prodotto del processo evolutivo. Ma erano un unico prodotto di quel processo. Con alcune specialissime caratteristiche, soprattutto di tipo cognitivo».
Non pochi scienziati affermano che la natura umana esalta la cooperazione e l’aiuto reciproco. Altri descrivono la vita come un’inevitabile, accanita lotta per la sopravvivenza, che sarebbe tipica dell’evoluzione. Qual è il suo punto di vista?
«Assistiamo chiaramente a una competizione per le risorse di questo mondo. Ma penso che, su larga scala, la competizione tra le specie abbia avuto maggiore importanza della competizione fra individui, nel determinare le conseguenze di tre miliardi e mezzo di anni di evoluzione».
"L’universo aspettava l’uomo", dicono molti astrofisici sottolineando la quantità di condizioni favorevoli e di complesse attitudini grazie alle quali la specie umana ha potuto insediarsi sulla Terra. Alla luce di tutto questo, si potrebbe usare il concetto di "principio antropico" anche in paleoantropologia?
«In un mondo inadatto a ospitarlo, il genere umano non avrebbe potuto neanche conoscere l’evoluzione. Ma è arduo affermare che il principio antropico sia un fattore che determina le storie evolutive».
Che cosa rivelano i più recenti studi sul simbolismo, in merito al sentimento religioso, all’etica e all’arte, che sono le più profonde attività psichiche dell’uomo?
«Non tutto ciò che consideriamo speciale, insolito, in noi stessi, è stato acquisito tutto insieme, nello stesso periodo di tempo, dai nostri lontani predecessori. Il fuoco, per esempio, sembra sia stato "scoperto" circa un milione di anni fa. È diventato una presenza regolare e sistematica circa 400 mila anni fa. Ma il pensiero simbolico, che sembra ragionevole collocare insieme con la sensibilità religiosa, è stato introdotto soltanto 100 mila anni fa».
Grazie a quali fattori la specie umana è sopravvissuta alle vicissitudini della Terra e ha assunto una posizione preminente nel processo evolutivo?
«Per essere più precisi, non possiamo dire che gli umani abbiano assunto una posizione preminente nell’evoluzione. Possiamo dire piuttosto che attraverso il processo evolutivo il genere umano ha acquisito le caratteristiche per diventare ecologicamente dominante».
C’è un momento nel quale l’uomo prende in mano le redini della propria evoluzione…
«Sono d’accordo. Nella storia del genere umano c’è un punto ben definito : è quando, grazie a un "salto" cognitivo, l’uomo viene messo definitivamente in grado di uscire dal sistema ecologico prestabilito e di modificare i processi naturali. Il momento cruciale arriva quando la specie umana sviluppa una moderna capacità cognitiva, unendo i complessi comportamenti del campo della cultura. Basandosi sulle scoperte archeologiche, si può concludere che quel momento sboccia di recente, 100 mila anni fa, cioè molto tempo dopo l’avvento dell’Homo Sapiens come entità anatomica».
La nostra scienza, a differenza di altre strade della conoscenza, è un sistema di cognizioni provvisorie limitato all’universo osservabile. La scienza in generale progredisce proponendo idee circa il comportamento dell’universo, verificandole e scartando quelle che non vanno. In questo modo opera come un sistema che si corregge da solo e si alimenta degli input forniti da un’immensa comunità di ricercatori. Ognuno di questi può sentirsi parte del colossale fiume della conoscenza, anche se le sue idee non verranno avvalorate dalle ricerche future». Un’ardita avventura di tenaci talenti: questa è la scienza per Ian Tattersall, paleoantropologo la cui rinomanza internazionale è legata a uno dei più grandi musei del mondo: l’American Museum of Natural History di New York. Tattersall ne è ora curator emeritus. Mercoledì 22 agosto interverrà al Meeting di Rimini sul tema "Natura umana ed evoluzione biologica".
Professor Tattersall, l’emergere dell’uomo con la sua natura dal corso dell’evoluzione è considerato un evento unico, ma ora alcuni fisici negano che l’arrivo della specie umana sia una svolta impetuosa che cambia radicalmente l’avventura della vita sul pianeta. Perché questo principio viene contestato?
«Non conosco molti fisici che realmente capiscano la biologia. Infatti i fenomeni che studiamo noi biologi sono molto caotici rispetto a quelli dei fisici. Ogni organismo ha una sua storia evolutiva, e questo vale particolarmente per gli esseri umani. Ma è anche vero che la specie umana si è fatta un nido molto confortevole tra i rami dell’imponente Albero della Vita sul nostro pianeta».
Nella disputa sull’origine della specie umana sembra ora accentuarsi e ora attenuarsi la spinta a invalidare la teoria dell’evoluzione. Tra gli antropologi credenti si fa notare che l’uomo non è la negazione dell’evoluzione. Al contrario, l’uomo "è la freccia dell’evoluzione, come diceva Teilhard de Chardin…».
«Teilhard era certamente nel giusto quando vedeva gli umani come un prodotto del processo evolutivo. Ma erano un unico prodotto di quel processo. Con alcune specialissime caratteristiche, soprattutto di tipo cognitivo».
Non pochi scienziati affermano che la natura umana esalta la cooperazione e l’aiuto reciproco. Altri descrivono la vita come un’inevitabile, accanita lotta per la sopravvivenza, che sarebbe tipica dell’evoluzione. Qual è il suo punto di vista?
«Assistiamo chiaramente a una competizione per le risorse di questo mondo. Ma penso che, su larga scala, la competizione tra le specie abbia avuto maggiore importanza della competizione fra individui, nel determinare le conseguenze di tre miliardi e mezzo di anni di evoluzione».
"L’universo aspettava l’uomo", dicono molti astrofisici sottolineando la quantità di condizioni favorevoli e di complesse attitudini grazie alle quali la specie umana ha potuto insediarsi sulla Terra. Alla luce di tutto questo, si potrebbe usare il concetto di "principio antropico" anche in paleoantropologia?
«In un mondo inadatto a ospitarlo, il genere umano non avrebbe potuto neanche conoscere l’evoluzione. Ma è arduo affermare che il principio antropico sia un fattore che determina le storie evolutive».
Che cosa rivelano i più recenti studi sul simbolismo, in merito al sentimento religioso, all’etica e all’arte, che sono le più profonde attività psichiche dell’uomo?
«Non tutto ciò che consideriamo speciale, insolito, in noi stessi, è stato acquisito tutto insieme, nello stesso periodo di tempo, dai nostri lontani predecessori. Il fuoco, per esempio, sembra sia stato "scoperto" circa un milione di anni fa. È diventato una presenza regolare e sistematica circa 400 mila anni fa. Ma il pensiero simbolico, che sembra ragionevole collocare insieme con la sensibilità religiosa, è stato introdotto soltanto 100 mila anni fa».
Grazie a quali fattori la specie umana è sopravvissuta alle vicissitudini della Terra e ha assunto una posizione preminente nel processo evolutivo?
«Per essere più precisi, non possiamo dire che gli umani abbiano assunto una posizione preminente nell’evoluzione. Possiamo dire piuttosto che attraverso il processo evolutivo il genere umano ha acquisito le caratteristiche per diventare ecologicamente dominante».
C’è un momento nel quale l’uomo prende in mano le redini della propria evoluzione…
«Sono d’accordo. Nella storia del genere umano c’è un punto ben definito : è quando, grazie a un "salto" cognitivo, l’uomo viene messo definitivamente in grado di uscire dal sistema ecologico prestabilito e di modificare i processi naturali. Il momento cruciale arriva quando la specie umana sviluppa una moderna capacità cognitiva, unendo i complessi comportamenti del campo della cultura. Basandosi sulle scoperte archeologiche, si può concludere che quel momento sboccia di recente, 100 mila anni fa, cioè molto tempo dopo l’avvento dell’Homo Sapiens come entità anatomica».
«Avvenire» del 27 luglio 2012
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