Libertà religiosa e diritti umani
di Francesco D'Agostino
L’intenzione di Giulio Terzi di Sant’Agata, neo-ministro degli Esteri del governo Monti, di muoversi nella scia del precedente governo e dell’azione svolta da Franco Frattini ponendo al centro delle priorità della politica estera italiana la difesa dei diritti umani e delle minoranze perseguitate, a cominciare da quelle cristiane, merita elogi senza riserve. E merita altresì un elogio la fine osservazione del ministro, secondo la quale la difesa dei diritti non è solo un impegno etico, ma un interesse geopolitico del nostro Paese. Qualcuno potrebbe storcere il naso, leggendo in una simile affermazione una vena di machiavellismo e protestare: ma così si corre il rischio di subordinare l’etica (che è un valore assoluto) agli interessi contingenti (e quindi relativi) di una potenza di medio livello qual è l’Italia di oggi! Chiaramente non è così.
Il ministro Terzi vuole solo ricordarci che quando in un contesto politico e/o nazionale l’etica va in crisi (nel nostro caso partiamo dell’etica dei diritti umani) va necessariamente in crisi non solo il rispetto assoluto che si deve alle persone, ma lo stesso equilibrio sociale. A causa della negazione dei diritti e delle violenze contro le persone nascono guerre e conflitti civili, si bloccano produzioni e commerci di beni, si creano flussi di emigrazione tra i più conturbanti, come quelli dei rifugiati. Quando poi la violazione ha per oggetto un diritto come quello alla libertà religiosa, che storicamente e teoreticamente ha un assoluto primato, le conseguenze sono ancora peggiori.
Ogni tentativo di soffocare questa libertà ha sempre una matrice fondamentalista, più o meno esplicita, e produce lacerazioni pressoché insanabili nel contesto sociale di riferimento. Soffre l’individuo minacciato di morte o indotto all’esilio a causa della sua fede e assieme a lui soffre la società che vede perdere quella coesione sociale tra i suoi membri, che non è impedita dal pluralismo delle fedi, ma che anzi a volte proprio da esso trae forza e vitalità espressiva.
Meno condivisibile l’idea del ministro Terzi di attivarsi per dar vita a una «Autorità nazionale indipendente sui diritti umani». Se conosciamo un po’ le preoccupazioni dei nostri connazionali, siamo certi che a più d’uno avrà evidentemente dato da pensare l’onerosità di una simile Autorità, cosa che in effetti non può non avere rilievo soprattutto nel momento di crisi finanziaria che stiamo attraversando. Ma il nodo centrale è un altro: il carattere stesso di questa possibile Autorità, che il ministro, correttamente, ipotizza debba essere, come nel caso di tutte le altre Autorità, esplicitamente «indipendente». Per essere «indipendente» un’Autorità deve risultare libera non solo da vincoli partitici, ma più in generale da premesse e da vincoli "politici". La difesa dei diritti umani, però, o è "politica" o non è. Se infatti i diritti, di per sé, hanno una radice etica (o meglio antropologica), la loro concreta individuazione storica e, soprattutto, la loro tutela e la loro promozione implicano un impegno di ampio respiro, quel tipo di impegno che nessuna Autorità, ma solo la politica, nel senso più alto del termine, può accollarsi. Difendere la libertà di credere e di pensare è dovere politico primario non solo del nostro Paese, ma dell’Europa e più in generale di quell’Occidente, che nel sistema dei diritti dell’uomo trova (e speriamo che continui sempre a trovarlo) il suo punto di massima convergenza. E noi abbiamo l’ambizione di pensare che l’azione politica dell’Italia sarà – in questo senso e in tutte le sedi, a livello bilaterale e multilaterale – non solo solidamente fondata e lucidamente continua, ma sempre più incisiva.
Affidare la tutela e la promozione dei diritti ad un’«Autorità indipendente», al di là delle buone e lodevoli intenzioni del ministro Terzi, può obiettivamente sminuirne la valenza e ridurre una questione che va qualificata né più né meno che "epocale" al rango di un problema amministrativo, importante, ma inevitabilmente circoscritto. Non possiamo e non dobbiamo correre questo rischio. Un’altra Autorità? No, grazie. Serve grande e buona politica. E l’Italia sa bene come svilupparla.
Il ministro Terzi vuole solo ricordarci che quando in un contesto politico e/o nazionale l’etica va in crisi (nel nostro caso partiamo dell’etica dei diritti umani) va necessariamente in crisi non solo il rispetto assoluto che si deve alle persone, ma lo stesso equilibrio sociale. A causa della negazione dei diritti e delle violenze contro le persone nascono guerre e conflitti civili, si bloccano produzioni e commerci di beni, si creano flussi di emigrazione tra i più conturbanti, come quelli dei rifugiati. Quando poi la violazione ha per oggetto un diritto come quello alla libertà religiosa, che storicamente e teoreticamente ha un assoluto primato, le conseguenze sono ancora peggiori.
Ogni tentativo di soffocare questa libertà ha sempre una matrice fondamentalista, più o meno esplicita, e produce lacerazioni pressoché insanabili nel contesto sociale di riferimento. Soffre l’individuo minacciato di morte o indotto all’esilio a causa della sua fede e assieme a lui soffre la società che vede perdere quella coesione sociale tra i suoi membri, che non è impedita dal pluralismo delle fedi, ma che anzi a volte proprio da esso trae forza e vitalità espressiva.
Meno condivisibile l’idea del ministro Terzi di attivarsi per dar vita a una «Autorità nazionale indipendente sui diritti umani». Se conosciamo un po’ le preoccupazioni dei nostri connazionali, siamo certi che a più d’uno avrà evidentemente dato da pensare l’onerosità di una simile Autorità, cosa che in effetti non può non avere rilievo soprattutto nel momento di crisi finanziaria che stiamo attraversando. Ma il nodo centrale è un altro: il carattere stesso di questa possibile Autorità, che il ministro, correttamente, ipotizza debba essere, come nel caso di tutte le altre Autorità, esplicitamente «indipendente». Per essere «indipendente» un’Autorità deve risultare libera non solo da vincoli partitici, ma più in generale da premesse e da vincoli "politici". La difesa dei diritti umani, però, o è "politica" o non è. Se infatti i diritti, di per sé, hanno una radice etica (o meglio antropologica), la loro concreta individuazione storica e, soprattutto, la loro tutela e la loro promozione implicano un impegno di ampio respiro, quel tipo di impegno che nessuna Autorità, ma solo la politica, nel senso più alto del termine, può accollarsi. Difendere la libertà di credere e di pensare è dovere politico primario non solo del nostro Paese, ma dell’Europa e più in generale di quell’Occidente, che nel sistema dei diritti dell’uomo trova (e speriamo che continui sempre a trovarlo) il suo punto di massima convergenza. E noi abbiamo l’ambizione di pensare che l’azione politica dell’Italia sarà – in questo senso e in tutte le sedi, a livello bilaterale e multilaterale – non solo solidamente fondata e lucidamente continua, ma sempre più incisiva.
Affidare la tutela e la promozione dei diritti ad un’«Autorità indipendente», al di là delle buone e lodevoli intenzioni del ministro Terzi, può obiettivamente sminuirne la valenza e ridurre una questione che va qualificata né più né meno che "epocale" al rango di un problema amministrativo, importante, ma inevitabilmente circoscritto. Non possiamo e non dobbiamo correre questo rischio. Un’altra Autorità? No, grazie. Serve grande e buona politica. E l’Italia sa bene come svilupparla.
«Avvenire» del 13 gennaio 2012
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