La triste parabola di un grande autore sempre più provinciale e "borghese"
di Massimiliano Parente
Io non so come abbia fatto Aldo Busi, che era riuscito a diventare Aldo Busi, mica pizza e fichi o Baricco e Scurati, a trasformarsi in quello che è, una pizza e basta. Sarà l’età, sarà colpa della tv dei reality e degli anni Ottanta e del Maurizio Costanzo Show, sarà quel che sarà, adesso poco importa. Anche perché in teoria c’era una bella notizia, inviata dallo stesso Busi a Dagospia: «Dopo dieci anni che non scrivevo più, alle ore 9.34 del 24 di dicembre del 2011 ho finito El especialista de Barcelona, un romanzo».
Lì per lì mi sono commosso, Busi avrà smesso di sottovalutarsi e la smetterà con le prediche civili, ho pensato. Avrà capito che, poiché è un grande scrittore, è triste sopravvivere a se stessi come un Pasolini fuori tempo massimo o un Beppe Grillo qualsiasi e senza neppure il martirio postumo di un Pasolini e il seguito di Grillo.
Invece il dramma, iniziato con la lieta notizia di Dagospia, si consuma quotidianamente su www.altriabusi.it, un blogghino gestito da Marco Cavalli, il biografo ufficiale e fido scudiero di Busi benché privo dello spirito critico di Sancho Panza: dove Busi vede un castello di incantatori, Cavalli vede orchi, stregoni, mostri e draghi pronti a attentare alla vita del suo cavaliere dalla triste figura.
In quel piccolo buco di blog si narrano disgrazie incredibili di cui si accorgono solo Busi e Cavalli. Per esempio a Lucca muore un avvocato di nome Ugo Frezza, Il Tirreno riporta che l’avvocato si riteneva amico di Busi e Busi via Cavalli invia un comunicato di lesa maestà per smentire e precisare: Busi non è amico di nessuno.
Così anche il romanzo, annunciato di giorno in giorno, si trasforma nella telenovela di un’autopromozione goffa e schizofrenica: ci sono ventiquattro personaggi, il titolo sembra castigliano ma riprende il dialetto lombardo-veneto, sono centottanta pagine, Busi lo pubblicherà ma non vorrebbe, anzi vorrebbe ma non lo pubblicherà, anzi non lo pubblicherà per dispetto, il Paese non se lo merita.
Ma poiché passano le settimane e tutto tace, l’Aldo abuso di se stesso acciuffa il povero Antonio Prudenzano del quotidiano online Affari Italiani e gli rilascia un’intervista dove spiega che non ha ancora un editore, e il povero Prudenzano ci casca e titola «Busi scrive un nuovo romanzo e non trova l’editore», subito insultato da Busi perché doveva scrivere «Busi scrive un nuovo romanzo e non sa ancora se pubblicarlo». Sfumatura importante per far capire che è Busi che non lo dà, non gli altri che non glielo chiedono. Come se non bastasse, il povero Prudenzano è insultato dallo scudiero Cavalli, che lo definisce addirittura un malavitoso, lo avrà confuso con Provenzano.
Infine, siccome una ne pensa e cento ne fa, Busi esala un nuovo comunicato: «Mi è diventata chiara e ineludibile la necessità di rendere pubblico il romanzo El especialista de Barcelona da poco terminato, è vano e da vanitosi pubblicarlo post mortem \\\\\\\\\\\\\\\\. Non so ancora chi lo pubblicherà e se qualche editore italiano lo pubblicherà, ora giace alla Mondadori che ha il diritto di prelazione sulle mie opere letterarie e, contrariamente a quanto si mormora, nessun altro editore ne ha copia, sia come sia, troverò comunque il modo di renderlo pubblico e se sarà pubblicato da un editore, lo sarà, ovviamente, nella sua semplice e assoluta integrità».
Ma mentre si attende che qualcuno batta un colpo, colpo di scena: il nostro genio civile riceve una querela della signora Miriam Bartolini, che non è un corriere espresso né una cassiera bresciana ma il nome anagrafico di Veronica Lario, e va da sé che lì tra i groupies di casa Busi è peggio della chiusura di Termini Imerese e del naufragio della Costa Concordia. Cioè, non si fa in tempo a simpatizzare con Busi che parte un mortifero appello organizzato dal solito Cavalli che finisce così: «A coloro che credono ancora nella condivisione di un minimo di senso della realtà e delle proporzioni in materia di giustizia, diamo appuntamento la mattina del 7 marzo in Piazza Garibaldi a Monza, davanti al Tribunale, per manifestare solidarietà allo Scrittore Aldo Busi».
Se non si sapesse che è il sito ufficiale di Busi sembrerebbe una satira spietata, con Busi chiamato continuamente «lo Scrittore» («Antonio Prudenzano ottiene l’esclusiva di un’intervista con risposte di pugno dello Scrittore») e dove ogni comunicato dello Scrittore è preceduto da un: «Riceviamo e, grati, pubblichiamo».
Intanto tra smentite, comunicati e appelli, a parte la Bartolini, nessuno si fa vivo né dalla Mondadori né da Barcellona, e lo Scrittore informa che il romanzo lo ha mandato a tre amici e neppure loro gli hanno risposto. Anziché chiedersi perché ha solo questi tre amici qui, parte il comunicato sul Paese che non lo merita e l’amara considerazione per cui «di un romanzo, nemmeno di Busi, nemmeno dopo dieci anni che Busi non scrive più, nessuno sa cosa farsene». Ecco, la vita standard di Busi è diventata questo circolo bocciofilo di moralismo civile autoreferenziale, un seminario sulla senescenza dell’artista al Bar Montichiari per il quale perfino Marcel Proust è sorpassato perché «non parla di soldi», e qui siamo davvero all’ultima spiaggia e neppure l’isola dei famosi può più salvarlo.
Insomma, ognuno ha la vecchiaia che si merita, ma Busi se ne meriterebbe una migliore, almeno per il valore delle sue opere, e allora forse bisogna fare qualcosa, mettere su un comitato per salvare Busi da se stesso. Oppure impacchettarlo vivo e spedirlo a Oliver Sacks, magari ne viene fuori un best-seller Adelphi nel caso in cui Mondadori, non sia mai, dovesse rifiutarlo: l’uomo che scambiò la sua opera per un appello.
Lì per lì mi sono commosso, Busi avrà smesso di sottovalutarsi e la smetterà con le prediche civili, ho pensato. Avrà capito che, poiché è un grande scrittore, è triste sopravvivere a se stessi come un Pasolini fuori tempo massimo o un Beppe Grillo qualsiasi e senza neppure il martirio postumo di un Pasolini e il seguito di Grillo.
Invece il dramma, iniziato con la lieta notizia di Dagospia, si consuma quotidianamente su www.altriabusi.it, un blogghino gestito da Marco Cavalli, il biografo ufficiale e fido scudiero di Busi benché privo dello spirito critico di Sancho Panza: dove Busi vede un castello di incantatori, Cavalli vede orchi, stregoni, mostri e draghi pronti a attentare alla vita del suo cavaliere dalla triste figura.
In quel piccolo buco di blog si narrano disgrazie incredibili di cui si accorgono solo Busi e Cavalli. Per esempio a Lucca muore un avvocato di nome Ugo Frezza, Il Tirreno riporta che l’avvocato si riteneva amico di Busi e Busi via Cavalli invia un comunicato di lesa maestà per smentire e precisare: Busi non è amico di nessuno.
Così anche il romanzo, annunciato di giorno in giorno, si trasforma nella telenovela di un’autopromozione goffa e schizofrenica: ci sono ventiquattro personaggi, il titolo sembra castigliano ma riprende il dialetto lombardo-veneto, sono centottanta pagine, Busi lo pubblicherà ma non vorrebbe, anzi vorrebbe ma non lo pubblicherà, anzi non lo pubblicherà per dispetto, il Paese non se lo merita.
Ma poiché passano le settimane e tutto tace, l’Aldo abuso di se stesso acciuffa il povero Antonio Prudenzano del quotidiano online Affari Italiani e gli rilascia un’intervista dove spiega che non ha ancora un editore, e il povero Prudenzano ci casca e titola «Busi scrive un nuovo romanzo e non trova l’editore», subito insultato da Busi perché doveva scrivere «Busi scrive un nuovo romanzo e non sa ancora se pubblicarlo». Sfumatura importante per far capire che è Busi che non lo dà, non gli altri che non glielo chiedono. Come se non bastasse, il povero Prudenzano è insultato dallo scudiero Cavalli, che lo definisce addirittura un malavitoso, lo avrà confuso con Provenzano.
Infine, siccome una ne pensa e cento ne fa, Busi esala un nuovo comunicato: «Mi è diventata chiara e ineludibile la necessità di rendere pubblico il romanzo El especialista de Barcelona da poco terminato, è vano e da vanitosi pubblicarlo post mortem \\\\\\\\\\\\\\\\. Non so ancora chi lo pubblicherà e se qualche editore italiano lo pubblicherà, ora giace alla Mondadori che ha il diritto di prelazione sulle mie opere letterarie e, contrariamente a quanto si mormora, nessun altro editore ne ha copia, sia come sia, troverò comunque il modo di renderlo pubblico e se sarà pubblicato da un editore, lo sarà, ovviamente, nella sua semplice e assoluta integrità».
Ma mentre si attende che qualcuno batta un colpo, colpo di scena: il nostro genio civile riceve una querela della signora Miriam Bartolini, che non è un corriere espresso né una cassiera bresciana ma il nome anagrafico di Veronica Lario, e va da sé che lì tra i groupies di casa Busi è peggio della chiusura di Termini Imerese e del naufragio della Costa Concordia. Cioè, non si fa in tempo a simpatizzare con Busi che parte un mortifero appello organizzato dal solito Cavalli che finisce così: «A coloro che credono ancora nella condivisione di un minimo di senso della realtà e delle proporzioni in materia di giustizia, diamo appuntamento la mattina del 7 marzo in Piazza Garibaldi a Monza, davanti al Tribunale, per manifestare solidarietà allo Scrittore Aldo Busi».
Se non si sapesse che è il sito ufficiale di Busi sembrerebbe una satira spietata, con Busi chiamato continuamente «lo Scrittore» («Antonio Prudenzano ottiene l’esclusiva di un’intervista con risposte di pugno dello Scrittore») e dove ogni comunicato dello Scrittore è preceduto da un: «Riceviamo e, grati, pubblichiamo».
Intanto tra smentite, comunicati e appelli, a parte la Bartolini, nessuno si fa vivo né dalla Mondadori né da Barcellona, e lo Scrittore informa che il romanzo lo ha mandato a tre amici e neppure loro gli hanno risposto. Anziché chiedersi perché ha solo questi tre amici qui, parte il comunicato sul Paese che non lo merita e l’amara considerazione per cui «di un romanzo, nemmeno di Busi, nemmeno dopo dieci anni che Busi non scrive più, nessuno sa cosa farsene». Ecco, la vita standard di Busi è diventata questo circolo bocciofilo di moralismo civile autoreferenziale, un seminario sulla senescenza dell’artista al Bar Montichiari per il quale perfino Marcel Proust è sorpassato perché «non parla di soldi», e qui siamo davvero all’ultima spiaggia e neppure l’isola dei famosi può più salvarlo.
Insomma, ognuno ha la vecchiaia che si merita, ma Busi se ne meriterebbe una migliore, almeno per il valore delle sue opere, e allora forse bisogna fare qualcosa, mettere su un comitato per salvare Busi da se stesso. Oppure impacchettarlo vivo e spedirlo a Oliver Sacks, magari ne viene fuori un best-seller Adelphi nel caso in cui Mondadori, non sia mai, dovesse rifiutarlo: l’uomo che scambiò la sua opera per un appello.
«Il Giornale» del 19 gennaio 2012
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