Di Gian Antonio Stella
Giù le mani dai ricordi dei bambini. Il Garante l’ha detto e ridetto, scritto e riscritto, spiegato e rispiegato, ma pare che non ci sia niente da fare. Ogni giorno c’è un papà, un nonno, una zia o un fratello maggiore che, alla richiesta di fare una foto al figlio o alla nipotina con gli amichetti dell’asilo nido, della scuola materna o delle elementari si sente rispondere, più o meno cortesemente: «No guardi, niente foto: c’è la legge sulla privacy». È capitato anche a chi scrive: «No, guardi, niente foto: c’è la legge sulla privacy». Un incubo. Che i miti siano difficili da rimuovere si sa. Da sempre. Ci vollero decenni perché l’Occidente smettesse di credere all’esistenza del Prete Gianni, il Re delle Tre Indie che per il cronista Ottone di Frisinga discendeva direttamente dai Magi e poteva fermare i musulmani e portare Gesù tra i Mongoli e mandava lettere così: «Il Prete Gianni, per grazia di Dio re onnipotente su tutti i cristiani, saluta l’imperatore di Roma e il re di Francia...». Decenni perché le anime buone capissero che Marco Polo era anche un cacciaballe almeno quando, come spiega Jean-Paul Roux ne «Gli esploratori nel Medioevo», raccontava che alla corte dell’imperatore cinese c’erano delle coppe «sistemate a dieci passi dalla tavola, colme di vino, di latte e di altre buone bevande» e che «per opera degli incantatori, esse si sollevano e vanno a presentarsi al Gran Khan quando egli vuole bere, senza che nessuno le tocchi». Dobbiamo aspettare decenni perché la legge sulla privacy esca dalla dimensione delle leggende metropolitane per essere infine applicata con buon senso? Strano Paese, il nostro. Di qua ci sono leggi che un sacco di italiani ignorano facendo spallucce, a cominciare dall’evasione fino al Codice della strada. Di là una legge, sulla privacy, che vede quotidianamente schiere di petulanti sacerdoti impuntarsi su certe applicazioni così rigide, formaliste, esasperate, da ridicolizzare anche la norma più seria. Un parroco chiede al comune l’elenco dei residenti per benedire le case, se lo desiderano, dei nuovi arrivati nel quartiere? Spiacenti, c’è la legge sulla privacy. Un cronista chiede al funzionario siciliano Felice Crosta se è vero che viene pagato 1.553 euro al giorno? Spiacente, c’è la legge sulla privacy. Un papà preoccupato per il figlio va a leggere il suo diario? Lo assolvono perché riesce a dimostrare che aveva buoni motivi, ma la sentenza spiega che è un reato: c’è la legge sulla privacy. I vigili urbani di Firenze non vogliono storie con automobilisti che contestano le loro scelte? Chiedono di non firmare più le multe: c’è la legge sulla privacy. Il sindaco di un paesino lecchese, Abbadia Lariana, apre un sacchetto della spazzatura per risalire attraverso un bigliettino al sozzone che l’ha abbandonato lontano dal cassonetto? Un giudice che lo condanna: ha violato la privacy. I parenti disperati scoprono che Rocco Pellicani, un fruttivendolo ambulante, è da sei mesi nella cella frigorifera di un ospedale milanese? Spiacenti, i nosocomi non avevano mai risposto alle loro suppliche perché c’è la legge sulla privacy. Il garante della trasparenza chiede elenco dei pagatissimi consulenti della Regione Sicilia? Spiacenti, c’è la legge sulla privacy. Piantiamola. Soprattutto per rispetto dei bambini. Il Garante l’ha già scritto in una lettera al Corriere del 17 dicembre 2003: «L’uso di videocamere o macchine fotografiche per documentare eventi scolastici o conservare ricordi dei propri figli non ha niente a che fare con le norme sulla privacy. Si tratta, infatti, di immagini (...) raccolte per fini personali e destinate a un ambito familiare o amicale: il loro uso, quindi, è del tutto legittimo». Papà, mamme, nonni, nonne, zie e fratelli maggiori ci diano dentro. Clic.
«Corriere della sera» del 1 novembre 2006
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