Tecnologia
di Giuseppe O. Longo
L’avanzata dell’intelligenza artificiale non conosce limiti: i programmi informatici stanno invadendo anche il territorio della creatività letteraria, che consideriamo tipicamente umano. Esistono ormai parecchi programmi di scrittura capaci di creare narrazioni più o meno lunghe e articolate, sulla cui bontà peraltro le opinioni divergono parecchio. Secondo la ditta NewNovelist, che costruisce software di scrittura, non esistono programmi capaci di scrivere un romanzo, ma ne esistono che aiutano l’autore a completarlo e a scriverlo «in modo corretto» (probabilmente secondo i criteri commerciali correnti: un tot di intrigo, un tot di sesso, un tot di violenza...).
Lo scrittore Alastair Reynolds ritiene che non vi sia niente di più insensato che leggere un racconto scritto da un computer. Il primo libro stilato da un programma si deve al russo Aleksandr Prokopovic: scritto nel 2008, ricalca lo stile dello scrittore di culto giapponese Haruki Murakami ed è una variazione sul tema di Anna Karenina di Tolstoj. Ma Prokopovic ammette che un programma non potrà mai essere uno scrittore, così come Photoshop non potrà mai essere Raffaello.
Nel 2007 Philip Parker, professore della Insead, un’importante Business School internazionale, brevettò un software che finora ha scritto oltre duecentomila libri su argomenti svariatissimi: non certo capolavori letterari, piuttosto compilazioni, rassegne e sommari, soprattutto di carattere economico. Uno specialista ci metterebbe mesi a organizzare un materiale che il programma allestisce in una mezz’ora. Ma la tentazione di passare alla letteratura è forte, e Parker ha cominciato a sperimentare un software che dovrebbe costruire narrativa "automatica": esso consente di scegliere i personaggi, l’ambientazione, il genere e la trama e produce testi che vanno da un breve racconto a un romanzo vero e proprio. Insomma, sembra che se si può identificare una formula per la stesura di una narrazione, allora lo scrittore può essere sostituito da un algoritmo.
Secondo le previsioni di Kris Hammond, entro il 2025 il 90% dei testi letti dal grande pubblico sarà generato da computer opportunamente programmati. Hammond ha tutti i titoli per lanciare questo pronostico, visto che è il fondatore di Narrative Science, un’azienda di Chicago che usa programmi di intelligenza artificiale per produrre, senza ulteriore intervento umano, scritti di vario contenuto. Per esempio, nell’ambito del giornalismo, il programma Quill analizza i dati raccolti su un certo tema, estrae e organizza i fatti e i concetti principali e costruisce un’opportuna struttura narrativa destinata a un pubblico interessato. I dati di partenza (cifre, grafici, tabelle) vengono tradotti in un testo inglese, molto più comprensibile per gli umani. All’agenzia stampa Ap i "robot scrivani" stanno già sostitundo i giornalisti umani.
Una delle conseguenze di questo avvicendamento sarà, secondo Hammond, una crescita smisurata del numero di articoli pubblicati. Tramite l’informatica si possono seguire milioni di utenti, registrare le loro preferenze e usare queste informazioni per fornire a ciascuno le narrazioni che più gli piacciono. Ma le prospettive sono inquietanti. Infatti mentre il quotidiano tradizionale offre una vasta gamma di articoli, tra i quali ogni lettore legge quelli che più gli interessano ma inevitabilmente dà un’occhiata anche agli altri, se non altro leggendone i titoli, quando l’offerta fosse limitata ai temi di stretto interesse si creerebbero tanti mondi (monadi) d’informazione chiusi e non comunicanti, che potrebbero accrescere la dipendenza e generare assuefazione nel lettore, come una droga informazionale.
La potenza, la velocità e la duttilità di questi robot scrivani produrrebbero quindi un fenomeno in controtendenza rispetto a quello della scrittura e della stampa, che nei secoli hanno contribuito alla diffusione di una cultura tendenzialmente omogenea, pur nella varietà dei temi trattati.
Ma ci sono altri problemi: tanto grande è la massa dei dati su cui sempre più si baseranno le narrazioni automatiche che sarà difficile verificare le fonti delle informazioni (già oggi si percepisce questa difficoltà quando si cercano notizie in rete). Inoltre un errore introdotto per caso o per malizia sarebbe difficile da individuare e da estirpare e potrebbe propagarsi senza controllo. Basterebbe una perturbazione anche minima nei criteri di raccolta e di vaglio dei dati per fornire notizie che si discostassero più o meno dai fatti, rendendo problematica la nozione di verità.
Le notizie distorte sarebbero poi raccolte da altre agenzie (anche queste informatizzate) e verrebbero registrate in internet, dove permarrebbero per un tempo indeterminato. Se dallo stesso fatto fossero ricavate narrazioni diverse da diversi programmi, in rete potrebbero permanere versioni differenti dello stesso evento e non sarebbe facile stabilire la versione "corretta", ammesso che ve ne fosse una.
La facilità con cui le intelligenze artificiali raccolgono ed elaborano i dati si contrappone alla difficoltà che incontrano gli esseri umani nello svolgere lo stesso compito: l’evoluzione non ci ha preparato a questa funzione, per cui siamo obbligati a lasciarla alle macchine È una forma di "delega tecnologica" che si autoalimenta: più dati si accumulano nelle banche più si ricorre al software per gestirli, più software s’impiega più cresce la massa di dati che si possono trattare, in una sorta di circolo che si autoalimenta. Da questo vorticoso circuito informazionale gli esseri umani – che pure ne sono o ne dovrebbero essere gli utenti finali – sono sempre più esclusi: ormai tutto è affidato alle macchine e gli uomini possono solo spillare i risultati delle elaborazioni.
Accade cioè nel campo dell’informazione quello che avviene in altri settori, dove la complessità dei sistemi e i rischi derivanti da un guasto o da un intervento sbagliato o intempestivo prescrivono il controllo tramite computer. È il caso del pilota automatico negli aerei più veloci e della gestione dei grandi impianti chimici, siderurgici e soprattutto nucleari. L’uomo non è necessario e non è sufficiente alla gestione di questi sistemi, e la delega tecnologica si impone. Quando poi gli umani intervengono nella conduzione e nel controllo, si possono presentare conseguenze drammatiche: si pensi al tragico incidente di Cernobyl’, provocato da una manovra manuale avventata. La locuzione "errore umano" riassume questa situazione: se non volete guai, voi umani dovete lasciar fare a noi macchine.
Infine, la facilità con cui le macchine generano articoli, racconti, romanzi e perfino poesie, sta portando a una sovrapproduzione di testi tale da superare le capacità di lettura degli esseri umani. Che ne sarà di questa massa di scritti? Chi la selezionerà? Chi la userà? E per quali fini? Non si può escludere che prima o poi siano costruite macchine per leggere. Allora gli esseri umani, liberati dal compito gravoso di scrivere e da quello ancora più gravoso di leggere, potranno dedicarsi ad altro, almeno finché non interverranno macchine capaci di far meglio di noi anche questo "altro". Esclusi così del tutto dal circuito dell’informazione, ci metteremo forse alla ricerca meno convulsa di un senso più alto.
Lo scrittore Alastair Reynolds ritiene che non vi sia niente di più insensato che leggere un racconto scritto da un computer. Il primo libro stilato da un programma si deve al russo Aleksandr Prokopovic: scritto nel 2008, ricalca lo stile dello scrittore di culto giapponese Haruki Murakami ed è una variazione sul tema di Anna Karenina di Tolstoj. Ma Prokopovic ammette che un programma non potrà mai essere uno scrittore, così come Photoshop non potrà mai essere Raffaello.
Nel 2007 Philip Parker, professore della Insead, un’importante Business School internazionale, brevettò un software che finora ha scritto oltre duecentomila libri su argomenti svariatissimi: non certo capolavori letterari, piuttosto compilazioni, rassegne e sommari, soprattutto di carattere economico. Uno specialista ci metterebbe mesi a organizzare un materiale che il programma allestisce in una mezz’ora. Ma la tentazione di passare alla letteratura è forte, e Parker ha cominciato a sperimentare un software che dovrebbe costruire narrativa "automatica": esso consente di scegliere i personaggi, l’ambientazione, il genere e la trama e produce testi che vanno da un breve racconto a un romanzo vero e proprio. Insomma, sembra che se si può identificare una formula per la stesura di una narrazione, allora lo scrittore può essere sostituito da un algoritmo.
Secondo le previsioni di Kris Hammond, entro il 2025 il 90% dei testi letti dal grande pubblico sarà generato da computer opportunamente programmati. Hammond ha tutti i titoli per lanciare questo pronostico, visto che è il fondatore di Narrative Science, un’azienda di Chicago che usa programmi di intelligenza artificiale per produrre, senza ulteriore intervento umano, scritti di vario contenuto. Per esempio, nell’ambito del giornalismo, il programma Quill analizza i dati raccolti su un certo tema, estrae e organizza i fatti e i concetti principali e costruisce un’opportuna struttura narrativa destinata a un pubblico interessato. I dati di partenza (cifre, grafici, tabelle) vengono tradotti in un testo inglese, molto più comprensibile per gli umani. All’agenzia stampa Ap i "robot scrivani" stanno già sostitundo i giornalisti umani.
Una delle conseguenze di questo avvicendamento sarà, secondo Hammond, una crescita smisurata del numero di articoli pubblicati. Tramite l’informatica si possono seguire milioni di utenti, registrare le loro preferenze e usare queste informazioni per fornire a ciascuno le narrazioni che più gli piacciono. Ma le prospettive sono inquietanti. Infatti mentre il quotidiano tradizionale offre una vasta gamma di articoli, tra i quali ogni lettore legge quelli che più gli interessano ma inevitabilmente dà un’occhiata anche agli altri, se non altro leggendone i titoli, quando l’offerta fosse limitata ai temi di stretto interesse si creerebbero tanti mondi (monadi) d’informazione chiusi e non comunicanti, che potrebbero accrescere la dipendenza e generare assuefazione nel lettore, come una droga informazionale.
La potenza, la velocità e la duttilità di questi robot scrivani produrrebbero quindi un fenomeno in controtendenza rispetto a quello della scrittura e della stampa, che nei secoli hanno contribuito alla diffusione di una cultura tendenzialmente omogenea, pur nella varietà dei temi trattati.
Ma ci sono altri problemi: tanto grande è la massa dei dati su cui sempre più si baseranno le narrazioni automatiche che sarà difficile verificare le fonti delle informazioni (già oggi si percepisce questa difficoltà quando si cercano notizie in rete). Inoltre un errore introdotto per caso o per malizia sarebbe difficile da individuare e da estirpare e potrebbe propagarsi senza controllo. Basterebbe una perturbazione anche minima nei criteri di raccolta e di vaglio dei dati per fornire notizie che si discostassero più o meno dai fatti, rendendo problematica la nozione di verità.
Le notizie distorte sarebbero poi raccolte da altre agenzie (anche queste informatizzate) e verrebbero registrate in internet, dove permarrebbero per un tempo indeterminato. Se dallo stesso fatto fossero ricavate narrazioni diverse da diversi programmi, in rete potrebbero permanere versioni differenti dello stesso evento e non sarebbe facile stabilire la versione "corretta", ammesso che ve ne fosse una.
La facilità con cui le intelligenze artificiali raccolgono ed elaborano i dati si contrappone alla difficoltà che incontrano gli esseri umani nello svolgere lo stesso compito: l’evoluzione non ci ha preparato a questa funzione, per cui siamo obbligati a lasciarla alle macchine È una forma di "delega tecnologica" che si autoalimenta: più dati si accumulano nelle banche più si ricorre al software per gestirli, più software s’impiega più cresce la massa di dati che si possono trattare, in una sorta di circolo che si autoalimenta. Da questo vorticoso circuito informazionale gli esseri umani – che pure ne sono o ne dovrebbero essere gli utenti finali – sono sempre più esclusi: ormai tutto è affidato alle macchine e gli uomini possono solo spillare i risultati delle elaborazioni.
Accade cioè nel campo dell’informazione quello che avviene in altri settori, dove la complessità dei sistemi e i rischi derivanti da un guasto o da un intervento sbagliato o intempestivo prescrivono il controllo tramite computer. È il caso del pilota automatico negli aerei più veloci e della gestione dei grandi impianti chimici, siderurgici e soprattutto nucleari. L’uomo non è necessario e non è sufficiente alla gestione di questi sistemi, e la delega tecnologica si impone. Quando poi gli umani intervengono nella conduzione e nel controllo, si possono presentare conseguenze drammatiche: si pensi al tragico incidente di Cernobyl’, provocato da una manovra manuale avventata. La locuzione "errore umano" riassume questa situazione: se non volete guai, voi umani dovete lasciar fare a noi macchine.
Infine, la facilità con cui le macchine generano articoli, racconti, romanzi e perfino poesie, sta portando a una sovrapproduzione di testi tale da superare le capacità di lettura degli esseri umani. Che ne sarà di questa massa di scritti? Chi la selezionerà? Chi la userà? E per quali fini? Non si può escludere che prima o poi siano costruite macchine per leggere. Allora gli esseri umani, liberati dal compito gravoso di scrivere e da quello ancora più gravoso di leggere, potranno dedicarsi ad altro, almeno finché non interverranno macchine capaci di far meglio di noi anche questo "altro". Esclusi così del tutto dal circuito dell’informazione, ci metteremo forse alla ricerca meno convulsa di un senso più alto.
«Avvenire» del 24 luglio 2014
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