di Christian Rocca
A che cosa serve lo Stato? Tre rivoluzioni in cinque secoli hanno contribuito a dare una risposta. Ma non basta. Ne serve ancora un'altra, al passo con i tempi. La prima rivoluzione è nata intorno all'idea di contratto sociale di Thomas Hobbes e ha riconosciuto che lo Stato serve a garantire l'incolumità dei cittadini. La seconda, officiata da John Stuart Mill, ha cambiato la percezione: lo Stato serve soprattutto ad affermare la libertà. La terza rivoluzione, quella in cui viviamo ancora adesso, ha creato il welfare state nella convinzione che lo Stato debba assicurare una rete minima di sicurezza sociale.
Un'altra risposta, ideata da Milton Friedman, impostata da Margaret Thatcher e Ronald Reagan, in realtà è stata una specie di contro rivoluzione che ha provato a ridurre il peso dello Stato nella società, ma è rimasta incompiuta. Oggi, proprio per questo, siamo arrivati al punto in cui è diventato necessario ripensare il rapporto tra Stato e mercato, tra istituzioni e cittadini. Serve una «Quarta rivoluzione», scrivono il direttore dell'Economist John Micklethwait e il Management editor del settimanale inglese Adrian Wooldridge nel loro nuovo libro The Fourth Revolution – The Global Race to Reinvent the State, il cui capitolo finale pubblichiamo in esclusiva su questo numero di IL.
A che cosa serve, oggi, lo Stato? La risposta è controversa: certamente serve ancora a garantire l'incolumità, la libertà e la sicurezza sociale. Ma non è più sufficiente. Pretendiamo che faccia di più: ma più fa, più è inefficiente, più necessita di una riorganizzazione radicale. Lo Stato, insomma, non funziona. La democrazia è stanca, i leader occidentali tendono a non volersi impicciare dei problemi globali e il mondo così come lo conosciamo appare ingovernabile. La grande novità, secondo i due autorevoli giornalisti britannici, è che per la prima volta la nuova idea di Stato, quella che scaturirà da un'attesa «Quarta rivoluzione», non nascerà necessariamente in ambito democratico, liberale e occidentale, come le precedenti. Esiste anche un'alternativa asiatica.
La Cina, per esempio, quando immagina e pianifica il futuro guarda con maggiore attenzione a Singapore più che agli Stati Uniti o all'Europa: a un modello che garantisce ordine, tutela e istruzione senza paragoni, e non importa se confina con l'autoritarismo.
Non è una buona cosa. Micklethwait e Wooldridge offrono idee e spunti interessanti per provare a reinventare lo Stato e a rispondere adeguatamente alla domanda iniziale. Innovazione, dinamismo ed efficienza, sono le chiavi. Ciò che manca, al momento, è una leadership globale democratica e liberale capace di guidare il cambiamento.
Un'altra risposta, ideata da Milton Friedman, impostata da Margaret Thatcher e Ronald Reagan, in realtà è stata una specie di contro rivoluzione che ha provato a ridurre il peso dello Stato nella società, ma è rimasta incompiuta. Oggi, proprio per questo, siamo arrivati al punto in cui è diventato necessario ripensare il rapporto tra Stato e mercato, tra istituzioni e cittadini. Serve una «Quarta rivoluzione», scrivono il direttore dell'Economist John Micklethwait e il Management editor del settimanale inglese Adrian Wooldridge nel loro nuovo libro The Fourth Revolution – The Global Race to Reinvent the State, il cui capitolo finale pubblichiamo in esclusiva su questo numero di IL.
A che cosa serve, oggi, lo Stato? La risposta è controversa: certamente serve ancora a garantire l'incolumità, la libertà e la sicurezza sociale. Ma non è più sufficiente. Pretendiamo che faccia di più: ma più fa, più è inefficiente, più necessita di una riorganizzazione radicale. Lo Stato, insomma, non funziona. La democrazia è stanca, i leader occidentali tendono a non volersi impicciare dei problemi globali e il mondo così come lo conosciamo appare ingovernabile. La grande novità, secondo i due autorevoli giornalisti britannici, è che per la prima volta la nuova idea di Stato, quella che scaturirà da un'attesa «Quarta rivoluzione», non nascerà necessariamente in ambito democratico, liberale e occidentale, come le precedenti. Esiste anche un'alternativa asiatica.
La Cina, per esempio, quando immagina e pianifica il futuro guarda con maggiore attenzione a Singapore più che agli Stati Uniti o all'Europa: a un modello che garantisce ordine, tutela e istruzione senza paragoni, e non importa se confina con l'autoritarismo.
Non è una buona cosa. Micklethwait e Wooldridge offrono idee e spunti interessanti per provare a reinventare lo Stato e a rispondere adeguatamente alla domanda iniziale. Innovazione, dinamismo ed efficienza, sono le chiavi. Ciò che manca, al momento, è una leadership globale democratica e liberale capace di guidare il cambiamento.
«Il Sole 24 Ore» del 12 giugno 2014
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