I nodi da sciogliere
di Francesco D'Agostino
Se c’è una cosa di cui tutte le persone di buon senso non avvertono proprio il bisogno è il riesplodere di polemiche in tema di procreazione assistita e in particolare di procreazione eterologa. Ancora non siamo riusciti a metabolizzare l’"evento avverso" verificatosi all’Ospedale Pertini di Roma: lo scambio di embrioni – che ha fatto sì che una donna stia portando avanti una gestazione di figli geneticamente né suoi né del coniuge, ma da riferire ad altra coppia – ha realizzato un’ipotesi che si sperava restasse solo "da manuale", quella di una "procreazione eterologa involontaria".
Se questo esempio non è sufficiente a dare la prova che non solo le pratiche di procreazione in vitroeterologa, ma anche quelle di procreazione omologa richiedono cautele rigorosissime, per non dire estreme, non si vede proprio quale altro esempio si possa fare.
Eppure, da alcune parti, con il solito clamore mediatico, si lamenta che il sistema sanitario non si sia ancora adeguato alla sentenza della Corte costituzionale che ha legittimato l’eterologa e si cominciano ad avanzare sospetti che questo dipenda da un intenzionale "ostruzionismo dei cattolici", che cercherebbero in questo modo di prendersi una sorta di rivincita (?!), rallentando colpevolmente l’emanazione di quegli atti normativi indispensabili per regolamentare la nuova situazione che si è venuta a creare.
Una cosa è certa: soprattutto dopo l’amara esperienza dell’"evento avverso" del Pertini non possiamo più permetterci che la procreazione assistita venga posta in essere senza che ci sia la garanzia del rispetto di alcuni essenziali controlli di rilevanza pubblica.
È necessario controllare che le coppie che accedono alla procreazione assistita siano adeguatamente informate e diano un valido consenso. È necessario controllare, con la massima serietà, la "qualità" dei gameti da utilizzare nella pratica, per impedire che attraverso di essi possano trasmettersi al nascituro patologie di carattere genetico e, al tempo stesso, con norme rigorosissime, bisogna impedire che attraverso l’eterologa si aprano le porte all’eugenetica.
Bisogna risolvere – e questo solo una legge può farlo – il conflitto tra l’interesse all’anonimato dei donatori di gameti e l’interesse del nato non solo ad avere le necessarie informazioni in merito alla mappa del genoma dei suoi genitori naturali (ove questo si riveli indispensabile per eventuali diagnosi e terapie), ma a conoscerne eventualmente la stessa identità.
Bisogna impedire qualunque forma di commercializzazione dei gameti e impedire che anche in Italia venga a crearsi la grottesca categoria dei "donatori a pagamento" di spermatozoi o di oociti. E infine bisogna risolvere il nodo più intricato, che da noi viene sistematicamente rimosso, ma che in altri Paesi è da tempo oggetto di vivacissimi dibattiti: se garantire o come garantire la privacy dell’eterologa, privacy che verrebbe immediatamente meno se da una coppia italiana nascesse un bambino con caratteri somatici tipicamente africani o asiatici. E si potrebbe continuare.
L’importante è capire che il nodo della questione non è né medico né giuridico, ma bioetico. La Consulta, con la sua sentenza (una delle più infelici nella storia di questa Corte, di cui non si possono disconoscere i meriti, ma nemmeno tacere gli errori) ha giuridicizzato indebitamente un problema che non è giuridico, ma bioetico e biopolitico, e nel quale, di conseguenza, la Corte doveva ben guardarsi dall’entrare.
Sostenere che sia incostituzionale proibire l’eterologa, perché questa pratica andrebbe ricondotta nel novero di pretesi diritti procreativi fondamentali, non tiene conto del fatto che vanno considerati fondamentali anche i diritti del nascituro, anche i diritti del bambino che sia nato dall’eterologa; e questi diritti possono emergere solo da un’attenta riflessione bioetica sulla fecondazione eterologa, sulle modalità delle sue pratiche, sui numerosissimi rischi che queste pratiche vengano distorte, manipolate o comunque realizzate nel solo interesse dei genitori e non del bambino che in tal modo dovrà venire alla luce.
Se molti di coloro che si lamentano delle pretese lentezze del Ministero della Salute si interessassero più di bioetica e studiassero da vicino e senza pregiudizi ideologici la procreazione assistita eterologa, non solo si esprimerebbero in modo molto più prudente, ma probabilmente capirebbero meglio quali e quanti problemi bioetici (il più delle volte irresolubili) nascano dalla donazione (e dal pesante rischio di commercializzazione) di spermatozoi e ovociti.
Se questo esempio non è sufficiente a dare la prova che non solo le pratiche di procreazione in vitroeterologa, ma anche quelle di procreazione omologa richiedono cautele rigorosissime, per non dire estreme, non si vede proprio quale altro esempio si possa fare.
Eppure, da alcune parti, con il solito clamore mediatico, si lamenta che il sistema sanitario non si sia ancora adeguato alla sentenza della Corte costituzionale che ha legittimato l’eterologa e si cominciano ad avanzare sospetti che questo dipenda da un intenzionale "ostruzionismo dei cattolici", che cercherebbero in questo modo di prendersi una sorta di rivincita (?!), rallentando colpevolmente l’emanazione di quegli atti normativi indispensabili per regolamentare la nuova situazione che si è venuta a creare.
Una cosa è certa: soprattutto dopo l’amara esperienza dell’"evento avverso" del Pertini non possiamo più permetterci che la procreazione assistita venga posta in essere senza che ci sia la garanzia del rispetto di alcuni essenziali controlli di rilevanza pubblica.
È necessario controllare che le coppie che accedono alla procreazione assistita siano adeguatamente informate e diano un valido consenso. È necessario controllare, con la massima serietà, la "qualità" dei gameti da utilizzare nella pratica, per impedire che attraverso di essi possano trasmettersi al nascituro patologie di carattere genetico e, al tempo stesso, con norme rigorosissime, bisogna impedire che attraverso l’eterologa si aprano le porte all’eugenetica.
Bisogna risolvere – e questo solo una legge può farlo – il conflitto tra l’interesse all’anonimato dei donatori di gameti e l’interesse del nato non solo ad avere le necessarie informazioni in merito alla mappa del genoma dei suoi genitori naturali (ove questo si riveli indispensabile per eventuali diagnosi e terapie), ma a conoscerne eventualmente la stessa identità.
Bisogna impedire qualunque forma di commercializzazione dei gameti e impedire che anche in Italia venga a crearsi la grottesca categoria dei "donatori a pagamento" di spermatozoi o di oociti. E infine bisogna risolvere il nodo più intricato, che da noi viene sistematicamente rimosso, ma che in altri Paesi è da tempo oggetto di vivacissimi dibattiti: se garantire o come garantire la privacy dell’eterologa, privacy che verrebbe immediatamente meno se da una coppia italiana nascesse un bambino con caratteri somatici tipicamente africani o asiatici. E si potrebbe continuare.
L’importante è capire che il nodo della questione non è né medico né giuridico, ma bioetico. La Consulta, con la sua sentenza (una delle più infelici nella storia di questa Corte, di cui non si possono disconoscere i meriti, ma nemmeno tacere gli errori) ha giuridicizzato indebitamente un problema che non è giuridico, ma bioetico e biopolitico, e nel quale, di conseguenza, la Corte doveva ben guardarsi dall’entrare.
Sostenere che sia incostituzionale proibire l’eterologa, perché questa pratica andrebbe ricondotta nel novero di pretesi diritti procreativi fondamentali, non tiene conto del fatto che vanno considerati fondamentali anche i diritti del nascituro, anche i diritti del bambino che sia nato dall’eterologa; e questi diritti possono emergere solo da un’attenta riflessione bioetica sulla fecondazione eterologa, sulle modalità delle sue pratiche, sui numerosissimi rischi che queste pratiche vengano distorte, manipolate o comunque realizzate nel solo interesse dei genitori e non del bambino che in tal modo dovrà venire alla luce.
Se molti di coloro che si lamentano delle pretese lentezze del Ministero della Salute si interessassero più di bioetica e studiassero da vicino e senza pregiudizi ideologici la procreazione assistita eterologa, non solo si esprimerebbero in modo molto più prudente, ma probabilmente capirebbero meglio quali e quanti problemi bioetici (il più delle volte irresolubili) nascano dalla donazione (e dal pesante rischio di commercializzazione) di spermatozoi e ovociti.
«Avvenire» del 23 luglio 2014
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