Tramite quel Bambino
di Alessandro D'Avenia
La bellezza è sempre stato affare da Greci. Un canone perfetto in cui la proporzione e l’armonia delle parti, il peso e il contrappeso sono perfettamente bilanciati, l’occhio riposa perché trova l’ordine per cui è stato fatto. Ecco, questa bellezza non c’entra con un bambino. Lui è come tutti gli altri bambini: armonia e proporzione chissà, forse verranno. Per ora è solo piccolo, ha pochi capelli, fa la cacca, rigurgita e piange.
La bellezza non è affare da gente nata nei paesini della Palestina. La bellezza è affare di scultori capaci di trasformare persino il vento in pietra, di pittori che sanno i colori di ciò che non si vede. La bellezza è artificio e perfezione. Non ha odore. Non è certo affare da falegnami e casalinghe, la bellezza. Non ha niente a che vedere con la vita quotidiana, la bellezza. Con i pannolini, le pappe, i pianti, le veglie e qualche sorriso non si sa ancora bene lanciato a chi.
La bellezza è affare degli dei: loro sì che mangiano nettare e ambrosia, non si feriscono mai, fanno quello che vogliono. Sono bellissimi e fortissimi. Hanno braccia bianche, le dee, e riccioli belli. Scuotono i cieli, gli dei, e li attraversano in un soffio. Altro che carne pesante. Non è certo affare di bambini la bellezza. Gli dei non sono mai stati bambini deboli e tanto normali da sembrare bambini qualsiasi di una coppia di poveracci, con lei incinta non si sa bene di chi. La bellezza è affare da eroi, da kaloikaiagathoi, tanto belli quanto perfetti: gente invincibile, non fosse per il tallone, capace di ogni fatica, dal piè veloce e dalle mente poliedrica. Sono nati maturi questi, non sono mai stati bambini, quasi se ne vergognano. E se sono stati bambini erano dei prodigi che appena nati già stritolavano serpenti.
La bellezza non riguarda i bambini ignoti di una periferia riottosa e cavillosa dell’Impero. Non riguarda bambini che devono imparare a gattonare, camminare, leggere e usare le buone maniere. Forse li sfiora la bellezza, perché ogni bambino è a suo modo bello, soprattutto quando sorride o stringe la mano attorno a un dito, ma quella non è una bellezza imperitura. Quella è la vita quotidiana e non c’entra molto con la bellezza. La bellezza è affare straordinario, non c’entra niente con la noia quotidiana di una famiglia qualsiasi, dopo una settimana dalla nascita del pupo. Finiti i festeggiamenti cominciano le occhiaie. No, non c’è bellezza nella vita quotidiana, lì tutto è uguale, monotono. Ogni tanto, sì, balugina uno squarcio di bellezza ma, come sempre è stato e sarà, è strappata al caso, passeggera e per questo impregnata della malinconia di ciò che non è stabile, che non è mai tutto qui, adesso, per me. Nella vita quotidiana tutto invece finisce col rovinarsi, col rompersi, col non durare insomma. Per questo ci vuole quella bellezza da Greci, sinonimo di un per sempre perfetto e luminoso.
Solo l’amore è un po’ così. Se non ci fosse quello non mi alzerei la mattina. L’amore per un libro, un paesaggio, un amico, una donna, una madre. È l’unica cosa quotidiana che non finisca con l’annoiarmi. Ma anche quello spesso si rompe e 'che fatica rimetterlo a posto!'. Quando la trovo, quella bellezza, mi ci aggrappo come la cozza allo scoglio e la piovra alla sua preda, perché non scappi troppo presto, per lasciare solo un ricordo dolce-amaro. Ma quel Bambino? È l’amore in persona? L’amore fatto persona? L’amore fatto limite e quotidianità? Non può essere. Se fosse vero, un’altra bellezza sarebbe entrata nel mondo, nel silenzio, quasi senz’arte. Tutto diverrebbe improvvisamente bello: i pannolini, le pappe, le veglie, i sorrisi e le lacrime. Tutto diverrebbe improvvisamente divino, perché non c’è niente di umano che quel bambino non debba fare: è un uomo e non c’è niente di umano che gli sia estraneo.
Questa è la notizia. Se è così, c’è per me una bellezza che non si rovina, che non si rompe, che non c’entra con il nettare e l’ambrosia, con la proporzione e l’armonia, ma c’entra con la vita quotidiana, con il sudore, i capelli, la pelle, le mani screpolate, la fatica, lo scoraggiamento, la tristezza, la paura, il fallimento, il sangue, il freddo e il sonno. Una bellezza senza perfezione. Una bellezza che c’entra con tutto, perché tutto ha attraversato. Una bellezza fecondata da limiti e sproporzioni, per partorire ciò che non passa. Io questa bellezza cerco. Questa bellezza nasce per me. In una stalla.
La bellezza non è affare da gente nata nei paesini della Palestina. La bellezza è affare di scultori capaci di trasformare persino il vento in pietra, di pittori che sanno i colori di ciò che non si vede. La bellezza è artificio e perfezione. Non ha odore. Non è certo affare da falegnami e casalinghe, la bellezza. Non ha niente a che vedere con la vita quotidiana, la bellezza. Con i pannolini, le pappe, i pianti, le veglie e qualche sorriso non si sa ancora bene lanciato a chi.
La bellezza è affare degli dei: loro sì che mangiano nettare e ambrosia, non si feriscono mai, fanno quello che vogliono. Sono bellissimi e fortissimi. Hanno braccia bianche, le dee, e riccioli belli. Scuotono i cieli, gli dei, e li attraversano in un soffio. Altro che carne pesante. Non è certo affare di bambini la bellezza. Gli dei non sono mai stati bambini deboli e tanto normali da sembrare bambini qualsiasi di una coppia di poveracci, con lei incinta non si sa bene di chi. La bellezza è affare da eroi, da kaloikaiagathoi, tanto belli quanto perfetti: gente invincibile, non fosse per il tallone, capace di ogni fatica, dal piè veloce e dalle mente poliedrica. Sono nati maturi questi, non sono mai stati bambini, quasi se ne vergognano. E se sono stati bambini erano dei prodigi che appena nati già stritolavano serpenti.
La bellezza non riguarda i bambini ignoti di una periferia riottosa e cavillosa dell’Impero. Non riguarda bambini che devono imparare a gattonare, camminare, leggere e usare le buone maniere. Forse li sfiora la bellezza, perché ogni bambino è a suo modo bello, soprattutto quando sorride o stringe la mano attorno a un dito, ma quella non è una bellezza imperitura. Quella è la vita quotidiana e non c’entra molto con la bellezza. La bellezza è affare straordinario, non c’entra niente con la noia quotidiana di una famiglia qualsiasi, dopo una settimana dalla nascita del pupo. Finiti i festeggiamenti cominciano le occhiaie. No, non c’è bellezza nella vita quotidiana, lì tutto è uguale, monotono. Ogni tanto, sì, balugina uno squarcio di bellezza ma, come sempre è stato e sarà, è strappata al caso, passeggera e per questo impregnata della malinconia di ciò che non è stabile, che non è mai tutto qui, adesso, per me. Nella vita quotidiana tutto invece finisce col rovinarsi, col rompersi, col non durare insomma. Per questo ci vuole quella bellezza da Greci, sinonimo di un per sempre perfetto e luminoso.
Solo l’amore è un po’ così. Se non ci fosse quello non mi alzerei la mattina. L’amore per un libro, un paesaggio, un amico, una donna, una madre. È l’unica cosa quotidiana che non finisca con l’annoiarmi. Ma anche quello spesso si rompe e 'che fatica rimetterlo a posto!'. Quando la trovo, quella bellezza, mi ci aggrappo come la cozza allo scoglio e la piovra alla sua preda, perché non scappi troppo presto, per lasciare solo un ricordo dolce-amaro. Ma quel Bambino? È l’amore in persona? L’amore fatto persona? L’amore fatto limite e quotidianità? Non può essere. Se fosse vero, un’altra bellezza sarebbe entrata nel mondo, nel silenzio, quasi senz’arte. Tutto diverrebbe improvvisamente bello: i pannolini, le pappe, le veglie, i sorrisi e le lacrime. Tutto diverrebbe improvvisamente divino, perché non c’è niente di umano che quel bambino non debba fare: è un uomo e non c’è niente di umano che gli sia estraneo.
Questa è la notizia. Se è così, c’è per me una bellezza che non si rovina, che non si rompe, che non c’entra con il nettare e l’ambrosia, con la proporzione e l’armonia, ma c’entra con la vita quotidiana, con il sudore, i capelli, la pelle, le mani screpolate, la fatica, lo scoraggiamento, la tristezza, la paura, il fallimento, il sangue, il freddo e il sonno. Una bellezza senza perfezione. Una bellezza che c’entra con tutto, perché tutto ha attraversato. Una bellezza fecondata da limiti e sproporzioni, per partorire ciò che non passa. Io questa bellezza cerco. Questa bellezza nasce per me. In una stalla.
«Avvenire» del 23 dicembre 2011
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