di Sandro Magister
Nella controversia sull’ICI l’argomento più sfavillante calato ogni volta, immancabilmente, da chi attacca la Chiesa è quello della cappella. Alla Chiesa – si dice – basta sistemare a cappella la camera di un albergo di sua proprietà per essere esonerata dall’obbligo di pagare l’ICI sull’intero edificio. Questo – sempre stando ai si dice – grazie ai decreti legislativi 203 del 2005 (primo ministro Silvio Berlusconi) e 223 del 2006 (primo ministro Romano Prodi), intervenuti a modifica della legge base del 1992 (primo ministro Giuliano Amato) che stabilisce i casi nei quali gli enti non profit devono o no pagare l’imposta. Sono anni che questa storia della cappella viene tirata fuori come un coniglio dal cilindro, per stupire il pubblico. Senza però che qualcuno dei suoi innumerevoli recitanti l’abbia mai corredata di una prova di fatto.
Ebbene, da oggi, 10 dicembre 2011, la prova c’è.
Solo che è tutta al contrario. La riferisce su “Avvenire” Umberto Folena. Riguarda l’Hotel Giusti, a Roma, nel quartiere Esquilino. Un albergo a una stella di proprietà delle suore di Sant’Anna, su tre piani, col quarto e il quinto piano dello stesso edificio occupati dal convento delle suore con la sua brava cappella.
Incolpate di non pagare l’ICI, le suore non l’hanno mandata a dire. Hanno tirato fuori le bollette dei versamenti fatti. Attenzione: ICI calcolata e pagata non per il solo albergo, ma per tutti i cinque piani dell’edificio, cappella compresa.
Ma la cappella non doveva essere il grimaldello per far saltare l’intero banco? Cioè per non pagare più niente?
Certo, a dare ascolto ai cantastorie. Ma le suore, da cittadine avvedute, hanno preferito attenersi rigorosamente alla legge. La quale non consente affatto l’interpretazione truffaldina data per buona da chi crede, raccontandola, di mettere alla berlina la Chiesa.
Anzi, la legge vigente è su questo punto talmente rigida da far pagare l’ICI sull’intero edificio, compresi il convento e la cappella, che se fossero a sé stanti beneficerebbero invece dell’esenzione.
A tenere i conti delle suore di Sant’Anna è lo studio legale dell’avvocato Massimo Merlini, che segue un centinaio di istituti religiosi.
Ma non è solo questo studio legale a interpretare le norme vigenti nel senso che, se in uno stesso edificio si svolgono sia un’attività tenuta a pagare l’ICI sia un’altra esente, l’intero edificio perde l’esenzione.
Questa interpretazione della legge è la medesima che la stessa Chiesa ha sempre dato, sui suoi organi ufficiali.
Una prova? L’articolo che “L’Osservatore Romano” ha pubblicato l’11 novembre del 2007 a firma di Patrizia Clementi, uno dei giuristi di riferimento della conferenza episcopale italiana:
> Dalle opinioni ai fatti. Sui presunti privilegi alla Chiesa cattolica in Italia
Leggere per credere. Interpretazione inequivoca, cipiglio severo. L’articolo così chiude, riferendosi alle eventuali violazioni di tali leggi: “Per questi casi i comuni dispongono dello strumento dell’accertamento, che consente loro di recuperare l’imposta evasa”.
Ebbene, da oggi, 10 dicembre 2011, la prova c’è.
Solo che è tutta al contrario. La riferisce su “Avvenire” Umberto Folena. Riguarda l’Hotel Giusti, a Roma, nel quartiere Esquilino. Un albergo a una stella di proprietà delle suore di Sant’Anna, su tre piani, col quarto e il quinto piano dello stesso edificio occupati dal convento delle suore con la sua brava cappella.
Incolpate di non pagare l’ICI, le suore non l’hanno mandata a dire. Hanno tirato fuori le bollette dei versamenti fatti. Attenzione: ICI calcolata e pagata non per il solo albergo, ma per tutti i cinque piani dell’edificio, cappella compresa.
Ma la cappella non doveva essere il grimaldello per far saltare l’intero banco? Cioè per non pagare più niente?
Certo, a dare ascolto ai cantastorie. Ma le suore, da cittadine avvedute, hanno preferito attenersi rigorosamente alla legge. La quale non consente affatto l’interpretazione truffaldina data per buona da chi crede, raccontandola, di mettere alla berlina la Chiesa.
Anzi, la legge vigente è su questo punto talmente rigida da far pagare l’ICI sull’intero edificio, compresi il convento e la cappella, che se fossero a sé stanti beneficerebbero invece dell’esenzione.
A tenere i conti delle suore di Sant’Anna è lo studio legale dell’avvocato Massimo Merlini, che segue un centinaio di istituti religiosi.
Ma non è solo questo studio legale a interpretare le norme vigenti nel senso che, se in uno stesso edificio si svolgono sia un’attività tenuta a pagare l’ICI sia un’altra esente, l’intero edificio perde l’esenzione.
Questa interpretazione della legge è la medesima che la stessa Chiesa ha sempre dato, sui suoi organi ufficiali.
Una prova? L’articolo che “L’Osservatore Romano” ha pubblicato l’11 novembre del 2007 a firma di Patrizia Clementi, uno dei giuristi di riferimento della conferenza episcopale italiana:
> Dalle opinioni ai fatti. Sui presunti privilegi alla Chiesa cattolica in Italia
Leggere per credere. Interpretazione inequivoca, cipiglio severo. L’articolo così chiude, riferendosi alle eventuali violazioni di tali leggi: “Per questi casi i comuni dispongono dello strumento dell’accertamento, che consente loro di recuperare l’imposta evasa”.
«L'Espresso - Blog» del 10 dicembre 2011
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