Imposte e regole
di Umberto Folena
Il vento della polemica pretestuosa sulla Chiesa e l’Ici, che già paga ma secondo alcuni non pagherebbe, soffia fino a Bruxelles: «Posso dire – dichiarava Mario Monti durante la conferenza stampa al termine del Consiglio Ue – che in questi 17 giorni non abbiamo preso nessuna decisione e mi fermo qui. Sono anche a conoscenza di una procedura Ue sugli aiuti di Stato». Il vento gira, fa dietrofront e cala su Genova, dove il cardinale Angelo Bagnasco partecipava a un convegno dell’Ucid. Il presidente della Cei giudica ragionevole la normativa vigente, «riproposta in pagine documentate e dettagliate da Avvenire, cosa importante perché c’è un po’ di disinformazione», normativa che «riconosce il valore sociale delle attività svolte da una pluralità di enti non profit». Garantisce, ancora una volta, trasparenza: «Se vi sono casi concreti, nei quali un tributo dovuto non è stato pagato, l’abuso sia accertato e abbia fine». In quest’ottica, conclude Bagnasco, «non vi sono da parte nostra preclusioni pregiudiziali circa eventuali approfondimenti volti a valutare la chiarezza delle formule normative vigenti, con riferimento a tutto il mondo dei soggetti non profit, oggetto dell’attuale esenzione».
Citava anche «il giornale cattolico» e i dati normativi e di fatto che su queste pagine abbiamo via via citato, il cardinale. Eppure anche ieri il mondo della politica era un coro stonato di voci reclamanti una legge che c’è già, affinché la Chiesa pagasse... quanto già paga. In ordine sparso: Ignazio Marino, senatore Pd: «Penso che la Chiesa proporrà autonomamente di pagare una tassa sulle attività commerciali, mentre tutti i patrimoni immobiliari destinati all’assistenza e a scopi umanitari dovrebbero essere protetti dalla tassazione». Proporre qualcosa che già esiste? Possibile che Marino ignori la legge 504 del 30 dicembre 1992? Possibilissimo. La ignora, sull’altro versante politico, pure Gabriella Giammanco, deputata Pdl: «Propongo che solo e soltanto gli edifici che hanno finalità commerciali siano sottoposti a tassazione», in altri termini lasciamo tutto come sta. Il collega Domenico Gramazio, anch’egli del Pdl, si dimostra altrettanto disinformato: «Ci sono edifici che non svolgono assistenza, cura o sostegno ai socialmente svantaggiati e ai diversamente abili, ma sono dati in locazione per altre attività. Questi ultimi devono pagare».
Riccardo Nencini, segretario nazionale del Psi, ha addirittura impugnato carta e penna e scritto al segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone: «Gli ho chiesto che la Chiesa stessa sia disponibile a rinunciare a una condizione di privilegio che non ci possiamo più permettere». E pensare che, a Roma, Propaganda Fide e Apsa, con le loro proprietà, sono al secondo e al terzo posto tra i contribuenti, stando ai documenti dell’Agenzia delle entrate inviati dall’Italia alla Corte europea. Ma a che cosa potrebbe servire? Ieri, per il Psi, scendeva in campo pure Bobo Craxi: «Lo Stato pontificio faccia un gesto volontario che rechi una chiara predisposizione a contribuire, in misura significativa, alla riduzione del debito italiano».
Non mancano, per fortuna, i commenti informati e ragionevoli. Mario Lupi, vicepresidente Pdl alla Camera, avverte: nessun privilegio, «è giusto che determinate attività siano esenti. E che le violazioni, se ci sono, siano punite». Francesco Giro, deputato Pdl, dimostra di essere al corrente dei fatti: «La Chiesa le sue tasse le paga tutte, secondo le norme vigenti. Questa polemica le sta producendo un danno incalcolabile all’immagine». Analogo l’intervento di Antonio De Poli, portavoce dell’Udc: «Sarebbe da irresponsabili introdurre l’imposta sui luoghi di culto. Le diocesi pagano già per gli immobili in cui si svolgono attività commerciali». Ieri si facevano autorevolmente sentire anche il Sir («Sul piano tecnico le cose sono chiare: la Chiesa cattolica paga quello che c’è da pagare, paga quello che è previsto, come tutti, e non gode di nessun privilegio»), auspicando un «segnale» significativo in occasione dei 50 anni dal Concilio; e l’Aiart, tramite il suo presidente Luca Borgomeo («Nella vicenda dei presunti privilegi fiscali della Chiesa c’è uno squilibrio informativo»). Cliccatissimo, sul web, il blog di Sandro Magister, che denuncia la disinformazione (conclusione: «Le esenzioni Ici previste dalla legge non sono denari in perdita. Sono risorse che ritornano moltiplicate allo Stato e alla società»). Paradosso vuole che lo abbia fatto sul sito del gruppo più impegnato nella disinformazione stessa.
Citava anche «il giornale cattolico» e i dati normativi e di fatto che su queste pagine abbiamo via via citato, il cardinale. Eppure anche ieri il mondo della politica era un coro stonato di voci reclamanti una legge che c’è già, affinché la Chiesa pagasse... quanto già paga. In ordine sparso: Ignazio Marino, senatore Pd: «Penso che la Chiesa proporrà autonomamente di pagare una tassa sulle attività commerciali, mentre tutti i patrimoni immobiliari destinati all’assistenza e a scopi umanitari dovrebbero essere protetti dalla tassazione». Proporre qualcosa che già esiste? Possibile che Marino ignori la legge 504 del 30 dicembre 1992? Possibilissimo. La ignora, sull’altro versante politico, pure Gabriella Giammanco, deputata Pdl: «Propongo che solo e soltanto gli edifici che hanno finalità commerciali siano sottoposti a tassazione», in altri termini lasciamo tutto come sta. Il collega Domenico Gramazio, anch’egli del Pdl, si dimostra altrettanto disinformato: «Ci sono edifici che non svolgono assistenza, cura o sostegno ai socialmente svantaggiati e ai diversamente abili, ma sono dati in locazione per altre attività. Questi ultimi devono pagare».
Riccardo Nencini, segretario nazionale del Psi, ha addirittura impugnato carta e penna e scritto al segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone: «Gli ho chiesto che la Chiesa stessa sia disponibile a rinunciare a una condizione di privilegio che non ci possiamo più permettere». E pensare che, a Roma, Propaganda Fide e Apsa, con le loro proprietà, sono al secondo e al terzo posto tra i contribuenti, stando ai documenti dell’Agenzia delle entrate inviati dall’Italia alla Corte europea. Ma a che cosa potrebbe servire? Ieri, per il Psi, scendeva in campo pure Bobo Craxi: «Lo Stato pontificio faccia un gesto volontario che rechi una chiara predisposizione a contribuire, in misura significativa, alla riduzione del debito italiano».
Non mancano, per fortuna, i commenti informati e ragionevoli. Mario Lupi, vicepresidente Pdl alla Camera, avverte: nessun privilegio, «è giusto che determinate attività siano esenti. E che le violazioni, se ci sono, siano punite». Francesco Giro, deputato Pdl, dimostra di essere al corrente dei fatti: «La Chiesa le sue tasse le paga tutte, secondo le norme vigenti. Questa polemica le sta producendo un danno incalcolabile all’immagine». Analogo l’intervento di Antonio De Poli, portavoce dell’Udc: «Sarebbe da irresponsabili introdurre l’imposta sui luoghi di culto. Le diocesi pagano già per gli immobili in cui si svolgono attività commerciali». Ieri si facevano autorevolmente sentire anche il Sir («Sul piano tecnico le cose sono chiare: la Chiesa cattolica paga quello che c’è da pagare, paga quello che è previsto, come tutti, e non gode di nessun privilegio»), auspicando un «segnale» significativo in occasione dei 50 anni dal Concilio; e l’Aiart, tramite il suo presidente Luca Borgomeo («Nella vicenda dei presunti privilegi fiscali della Chiesa c’è uno squilibrio informativo»). Cliccatissimo, sul web, il blog di Sandro Magister, che denuncia la disinformazione (conclusione: «Le esenzioni Ici previste dalla legge non sono denari in perdita. Sono risorse che ritornano moltiplicate allo Stato e alla società»). Paradosso vuole che lo abbia fatto sul sito del gruppo più impegnato nella disinformazione stessa.
«Avvenire» del 10 dicembre 2011
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