di Letizia Tortello
“È una vecchia diceria che esista un essere nella nostra lingua chiamato "Dio". Una diceria immortale, che non riusciamo in nessun modo a mettere a tacere». Chi parla (nei chiari toni della provocazione) non è un ateo e neppure un nichilista. È il filosofo Robert Spaemann, uno dei massimi pensatori tedeschi viventi, ospite questa settimana del X ciclo di seminari della Scuola di Alta Formazione Filosofica di Torino. Domani alle 18, presso il Circolo dei Lettori, terrà una lectio intitolata «Che cosa rende persone le persone?», e intanto arriva in libreria, edito da Lindau, il suo libro Tre lezioni sulla dignità umana.
Ottantaquattrenne dall’energia intellettuale inesauribile, nato a Berlino, compagno di ricerche di papa Benedetto XVI, Spaemann è autore di una dimostrazione di Dio «alle condizioni della vita moderna». Una tesi che muove da presupposti nietzscheani. Nel disorientamento del tempo presente, in cui laicità, religione ed etica sembrano sempre più universi lontanissimi tra loro, lui ribalta la «filosofia del martello». Fino al paradosso: «Dio è il fondamento e non si può che pensarlo così». Ma chi ha contribuito a preparare il terreno per questa nuova prova dell’esistenza di Dio è proprio il filosofo dello Zarathustra, che ne teorizzò la morte.
Professore, lei ha definito il suo argomento sull’esistenza di Dio come una tesi «Nietzsche-resistente». Che cosa significa?
«Contrariamente a quanto si crede, Nietzsche è il migliore teorizzatore del legame tra Dio, l’esistenza e la verità. Negare Dio equivale a dire che si nega la verità. Nella visione nietzscheana, gli uomini si limitano a conoscere i propri stati d’animo soggettivi. Ma se ci basiamo sull’identificazione tra il mondo e la sua rappresentazione, le rappresentazioni non coincideranno mai. Un esempio: poniamo che io abbia mal di testa, lei potrebbe dirmi che non è vero, perché il mal di testa lo sento solo io. Ma come ho scritto in un mio libro, se vogliamo essere reali dobbiamo rimanere attaccati all’esistenza di Dio, che è il garante dello spazio della verità, entro il quale il soggetto può recuperare la propria identità oltre l’autocoscienza istantanea».
Nietzsche non si è solo limitato a congedarsi da Dio, ha anche creato il Superuomo, un essere portatore di nuovi valori, fedele alla terra e non più al cielo. Come è stata possibile questa sostituzione?
«Il Superuomo ha accantonato la verità, a esistere sono solamente le interpretazioni del mondo. Ma l’Übermensch è pura fantasia».
Oggi però il mondo sembra dare ragione a Nietzsche. Sembra poter fare a meno di Dio.
«Gli uomini hanno dimostrato di non volere il Superuomo, bensì l’Ultimo uomo, quello che crede che la felicità sia divertimento, una vita piena di comodità, in cui si consumano le droghe. Ma io dico che ogni sostituto di Dio abbassa l’uomo. È la definizione di Dio l’essere insostituibile».
In un discorso del 2005 a Subiaco, quand’era cardinale, Ratzinger aveva lanciato una proposta paradossale: «Vivere come se Dio fosse». Non solo una scommessa, come diceva Pascal, ma una necessità, dice lei.
«Anche qui partirò da un esempio, per spiegare come gli uomini credono a molte verità, ne discutono e ci litigano. In realtà, la verità è una sola e non si basa sulla reciprocità. Parlavo prima del mio ipotetico dolore, non condiviso da lei. L’uomo è capace di verità perché senza di essa, intesa oggettivamente, non si riesce a rendere ragione dell’esperienza. Al fondamento di questa garanzia c’è Dio».
Lei si è più volte espresso sui temi della bioetica. Cosa pensa della recente sentenza della Corte di Giustizia europea che ha vietato la brevettabilità dei farmaci derivanti dalla ricerca su embrioni?
«Deve essere impedito dalle leggi quel progresso che si serve di esperimenti sugli esseri viventi, a partire dagli animali. Sono sperimentazioni criminali, paragonabili a quelle condotte nei campi di concentramento. La scienza non è il valore più alto».
Ottantaquattrenne dall’energia intellettuale inesauribile, nato a Berlino, compagno di ricerche di papa Benedetto XVI, Spaemann è autore di una dimostrazione di Dio «alle condizioni della vita moderna». Una tesi che muove da presupposti nietzscheani. Nel disorientamento del tempo presente, in cui laicità, religione ed etica sembrano sempre più universi lontanissimi tra loro, lui ribalta la «filosofia del martello». Fino al paradosso: «Dio è il fondamento e non si può che pensarlo così». Ma chi ha contribuito a preparare il terreno per questa nuova prova dell’esistenza di Dio è proprio il filosofo dello Zarathustra, che ne teorizzò la morte.
Professore, lei ha definito il suo argomento sull’esistenza di Dio come una tesi «Nietzsche-resistente». Che cosa significa?
«Contrariamente a quanto si crede, Nietzsche è il migliore teorizzatore del legame tra Dio, l’esistenza e la verità. Negare Dio equivale a dire che si nega la verità. Nella visione nietzscheana, gli uomini si limitano a conoscere i propri stati d’animo soggettivi. Ma se ci basiamo sull’identificazione tra il mondo e la sua rappresentazione, le rappresentazioni non coincideranno mai. Un esempio: poniamo che io abbia mal di testa, lei potrebbe dirmi che non è vero, perché il mal di testa lo sento solo io. Ma come ho scritto in un mio libro, se vogliamo essere reali dobbiamo rimanere attaccati all’esistenza di Dio, che è il garante dello spazio della verità, entro il quale il soggetto può recuperare la propria identità oltre l’autocoscienza istantanea».
Nietzsche non si è solo limitato a congedarsi da Dio, ha anche creato il Superuomo, un essere portatore di nuovi valori, fedele alla terra e non più al cielo. Come è stata possibile questa sostituzione?
«Il Superuomo ha accantonato la verità, a esistere sono solamente le interpretazioni del mondo. Ma l’Übermensch è pura fantasia».
Oggi però il mondo sembra dare ragione a Nietzsche. Sembra poter fare a meno di Dio.
«Gli uomini hanno dimostrato di non volere il Superuomo, bensì l’Ultimo uomo, quello che crede che la felicità sia divertimento, una vita piena di comodità, in cui si consumano le droghe. Ma io dico che ogni sostituto di Dio abbassa l’uomo. È la definizione di Dio l’essere insostituibile».
In un discorso del 2005 a Subiaco, quand’era cardinale, Ratzinger aveva lanciato una proposta paradossale: «Vivere come se Dio fosse». Non solo una scommessa, come diceva Pascal, ma una necessità, dice lei.
«Anche qui partirò da un esempio, per spiegare come gli uomini credono a molte verità, ne discutono e ci litigano. In realtà, la verità è una sola e non si basa sulla reciprocità. Parlavo prima del mio ipotetico dolore, non condiviso da lei. L’uomo è capace di verità perché senza di essa, intesa oggettivamente, non si riesce a rendere ragione dell’esperienza. Al fondamento di questa garanzia c’è Dio».
Lei si è più volte espresso sui temi della bioetica. Cosa pensa della recente sentenza della Corte di Giustizia europea che ha vietato la brevettabilità dei farmaci derivanti dalla ricerca su embrioni?
«Deve essere impedito dalle leggi quel progresso che si serve di esperimenti sugli esseri viventi, a partire dagli animali. Sono sperimentazioni criminali, paragonabili a quelle condotte nei campi di concentramento. La scienza non è il valore più alto».
«La Stampa» del 25 ottobre 2011
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