Ho sentito la poesia crescere come il corpo, diventava qualcosa di intimamente attivo. Cominciai a 7 anni
di Paolo Di Stefano
Sorprende trovare Andrea Zanzotto seduto al tavolo della cucina con un pennello in mano e un foglio colorato ad acquerello. Ha un sorriso degli occhi, dolce e stanco. Per raggiungere il divano, a piccoli passi, deve farsi aiutare da suo figlio Fabio, che abita qui con lui, nella vecchia casa di Pieve di Soligo, a Nord di Treviso, il paese in cui il maggior poeta italiano della generazione post-Montale è nato nel 1921 e da cui si è allontanato solo per brevi periodi. Ci sono ricordi che allontanano la tristezza e altri che la rendono più aspra. «Dipende anche dal tempo atmosferico. Per esempio, oggi c'è un bel sole... e ricordare è più piacere che dolore. Ci sono stati periodi terribili, ma la memoria volentieri ti porta a momenti non dirò belli ma almeno sopportabili».
Non è sopportabile il ricordo di papà Giovanni, decoratore e pittore il cui nome è diventato una via di Pieve, socialista e cattolico, costretto ad allontanarsi per le continue minacce squadriste dopo aver lodato pubblicamente Matteotti: «I miei genitori hanno patito a lungo, perché mio padre era perseguitato politico, qui gli negavano l'impiego e dovette trascorrere lunghi periodi in Francia.
Poi trovò lavoro a Santo Stefano di Cadore, grazie a una tradizione di libertà che non teneva conto dei divieti. Papà affrontava i nemici, ma aveva una moglie malata e cinque figli». Il ricordo più fastidioso, oltre all'allergia e all'asma rivelatesi prestissimo, è vicino a quegli anni: «Non aver potuto prender parte con maggiore peso alla resistenza locale». Zanzotto partecipò alla stesura di manifesti e fogli informativi della resistenza e nell'agosto del '44 dovette rifugiarsi in montagna mentre Pieve bruciava. Tra i ricordi non sopportabili c'è anche il dolore e la solitudine di mamma Carmela: «È sempre stata occupata da eventi luttuosi». Tra i ricordi insopportabili ci sono i lutti precoci: la morte a sei anni della sorella Marina (gemella di Angela) nel terribile inverno del '29 e poi nel '37 la morte per tifo di Angela: «Deve esserci una vecchia fotografia con le due sorelline a Santo Stefano...». Zanzotto racconta di aver scritto un biglietto alla Madonna perché resuscitasse Marina: «Cercavo appoggio... Avere vissuto cose dolorosissime da piccolo ha influito sul resto della mia vita, rimane una traccia profonda. Io ero il primogenito e cominciai a esercitare sulle due gemelline una specie di protettorato. Un giorno ci hanno portati da certi parenti di Montebelluna per fare conoscenza, anche loro avevano due gemelle. Io avrò avuto 3 o 4 anni e mi esortarono a lodare le due bambine degli ospiti, io invece dissi che erano brutte, avevano gli occhi bigi, a differenza delle mie sorelline che avevano dei begli occhi neri».
Si avvicina una signora straniera: «La pastiglia, Professore...». Zanzotto ingoia una pastiglia con mezzo bicchiere d'acqua, mentre accarezza Utto2, un gattone nero che dal divano con un salto si è spostato sulle sue gambe. «Utto viene da farabutto. Ho conservato la tradizione del gatto, da piccolo avevo dei gattini, ma morivano anche quelli... Ne ho perso uno di recente, collegato ad altri tempi. Stento anche a ricordare i particolari del passato, perché ho come dei vuoti di memoria, ma c'è un fondo cupo sull'infanzia. Con la morte delle mie sorelle restava un sottofondo triste, anche quando non avevo proprio quel pensiero lì. La poesia mi ha aiutato sempre più, l'ho sentita crescere come il corpo, diventava qualcosa di intimamente attivo, anche perché riuscii abbastanza presto a scrivere delle cose decenti». Aveva più o meno 7 anni, Zanzotto, quando cominciò a scrivere versi: «La ricerca letteraria è come una sorgente che viene avanti e si impone sopra tutto il resto, e con la famiglia non posso dire che sia stata proprio una frizione... Non sono stato un padre distratto, ma nemmeno assorbito. I miei due figli sono cresciuti bravi e indipendenti». Tra i ricordi «sopportabili» c'è, nel '50, il premio San Babila per gli inediti, 100 mila lire. In giuria Montale, Ungaretti Quasimodo. «Ho comprato una Lambretta, che costava 115 mila lire. Quando mi videro arrivare a casa, nella Cal Santa, dove c'erano tutti i vecchi, è stato un momento importante, proprio. Una mia vicina di 80 anni mi pregò di farle fare un giro in lambretta». La voce flebile di Zanzotto, che sembra masticare le lunghe pause tra una frase e l'altra, si inarca in un sorriso. «La soddisfeci».
Più che sopportabile è il ricordo di tre figure femminili dell'infanzia. La nonna paterna: «Pregavo perché potessi morire prima e non dopo la morte di lei. Sono divagazioni lugubri e comiche nello stesso tempo. Le perdite convivevano con l'affetto che la nonna mi dimostrava, e appena potevo mi rifugiavo da lei che mi accontentava in tutto». Zia Maria, che avvia il piccolo Andrea alla lettura di settimanali e giornaletti: «Aveva un estro letterario e artistico, scriveva poesiole, fumava col bocchino e siccome mamma era molto timorata e ne pensava molto male. Era impiegata da un notaio, aveva un'istruzione di scuola inferiore, la sera andava in giro per scrivere lettere e le offrivano da bere. "Signora Maria, un goto?". Purtroppo finì per prendere l'abitudine del bicchiere». Terza presenza femminile è una direttrice didattica veneziana fiera di quello scolaro fuori dalla norma: «Mi aveva preso sotto la sua protezione e mi indicava a esempio di fronte agli altri, specialmente in geografia. Il colpo mancino che annullava tutti era l'enumerazione degli Stati Uniti, che allora erano 48».
Quel «titanismo esistenziale e cosmico» che Franco Fortini intravide subito nella poesia di Zanzotto ha sempre avuto qualcosa di religioso o di sacro: «Non ho mai avuto un distacco dalla religione infantile... Anzi, pian piano quella dimensione veniva sentita come necessaria, soprattutto per vincere i dolori della vita». E ci riusciva? «Sì». Forse anche per questo Zanzotto ha conservato l'abitudine di recitare il Requiem prima di dormire: «Un modo per rivolgere un pensiero ai miei morti». La morte è un pensiero più forte a quest'età? «In passato ho avuto parecchi momenti di angosce, però a un certo punto ci si rassegna. Diciamo che c'è un avvicinamento naturale all'idea. Ormai ho un'età in cui non c'è giornata che non porti la notizia della morte di un amico, e quindi... L'altra mattina Timoteo. Ogni giorno si può dire che qualcuno manca all'appello». All'appello mancano anche i grandi maestri del passato: Montale («quando venne a Pieve, vide mia moglie, che era preside e disse: ai miei tempi i presidi non erano così carini...»), Ungaretti («un uomo di straordinaria generosità»), Fellini, che gli chiese di scrivere per diversi suoi film, a partire da Casanova («è morto troppo presto, direi che aveva quell'ossessione della morte...»).
Utto è tornato ad accucciarsi sul divano. Sono passati tanti anni da quando nelle campagne si sentiva recitare il «filò», a cui il poeta ha dedicato un omonimo, memorabile, poemetto dialettale: «Il filò era un rito importante totalmente scomparso: nelle stalle si riunivano i contadini, e ognuno raccontava una storiella che conosceva. Era un insieme di conoscenze che sono state perdute e che invano qualcuno tenta di restaurare. Mi ricordo, non sono tanti anni, che mi meravigliavo di come potessero creare un partito rivendicando la forza del parlato dialettale senza nessuna base teorica. Per esempio, il rito di Bossi che va alle sorgenti del Piave... Si cominciava a degenerare. Sono equivoci storici. Per esempio, tutto il periodo del Medioevo avanzato in cui cresceva la nuova lingua italiana insieme con i vari dialetti non è stato capito. Ho scritto in dialetto molto presto, ma ho criticato la Lega perché non conosceva la realtà complessa dei dialetti, come nascano, fioriscano e sfioriscano».
Si sa, per Zanzotto è angoscioso anche il mutamento radicale del suo paesaggio. Angoscia e rabbia fotografate nel titolo di un magnifico libro-conversazione con Marzio Breda, In questo progresso scorsoio, uscito un paio d'anni fa da Garzanti. «Il paesaggio qua era qualcosa di compatto, quella stradina che si partiva dalle vicinanze della chiesa e andava al cimitero era un luogo molto rispettato... Mio padre, come pittore, ha decorato di immagini sacre quel porticato. Ora è un disastro, c'è stato uno snaturamento, hanno dato perfino il benestare a creare un deposito di gas che proviene dalla Russia». Marisa, sua moglie, si agita, va e viene, non sta nella pelle: «Parlano delle cattiverie di Zanzotto, perché ha difeso l'unico pezzo verde nell'ansa del Soligo. Andrea dovrebbe pubblicare gli insulti che ha ricevuto dal suo paese». Zanzotto alza gli occhi al cielo: «È diventato tutto incontrollabile, d'altra parte se si pensa agli allagamenti recenti in Veneto... che spavento, proprio!». Espressione di ribrezzo. «Pieve ormai è una piccola Los Angeles. Ci sono limiti realmente invalicabili, ma finché uno non è dentro il caos non se ne rende conto. Il rinsavimento, se avverrà, sarà formato di singulti. D'altra parte, l'altra sera in Tv parlavano degli antichi Maja che prevedevano nel 2012 la fine del mondo: se è così, vale la pena accettare quel che succede». Dall'ultima lunga pausa, sgorga un motivetto allegro, quasi cantato come una filastrocca infantile: «Comunque, se oggi seren non è doman seren sarà, se non sarà seren si rasserenerà».
Non è sopportabile il ricordo di papà Giovanni, decoratore e pittore il cui nome è diventato una via di Pieve, socialista e cattolico, costretto ad allontanarsi per le continue minacce squadriste dopo aver lodato pubblicamente Matteotti: «I miei genitori hanno patito a lungo, perché mio padre era perseguitato politico, qui gli negavano l'impiego e dovette trascorrere lunghi periodi in Francia.
Poi trovò lavoro a Santo Stefano di Cadore, grazie a una tradizione di libertà che non teneva conto dei divieti. Papà affrontava i nemici, ma aveva una moglie malata e cinque figli». Il ricordo più fastidioso, oltre all'allergia e all'asma rivelatesi prestissimo, è vicino a quegli anni: «Non aver potuto prender parte con maggiore peso alla resistenza locale». Zanzotto partecipò alla stesura di manifesti e fogli informativi della resistenza e nell'agosto del '44 dovette rifugiarsi in montagna mentre Pieve bruciava. Tra i ricordi non sopportabili c'è anche il dolore e la solitudine di mamma Carmela: «È sempre stata occupata da eventi luttuosi». Tra i ricordi insopportabili ci sono i lutti precoci: la morte a sei anni della sorella Marina (gemella di Angela) nel terribile inverno del '29 e poi nel '37 la morte per tifo di Angela: «Deve esserci una vecchia fotografia con le due sorelline a Santo Stefano...». Zanzotto racconta di aver scritto un biglietto alla Madonna perché resuscitasse Marina: «Cercavo appoggio... Avere vissuto cose dolorosissime da piccolo ha influito sul resto della mia vita, rimane una traccia profonda. Io ero il primogenito e cominciai a esercitare sulle due gemelline una specie di protettorato. Un giorno ci hanno portati da certi parenti di Montebelluna per fare conoscenza, anche loro avevano due gemelle. Io avrò avuto 3 o 4 anni e mi esortarono a lodare le due bambine degli ospiti, io invece dissi che erano brutte, avevano gli occhi bigi, a differenza delle mie sorelline che avevano dei begli occhi neri».
Si avvicina una signora straniera: «La pastiglia, Professore...». Zanzotto ingoia una pastiglia con mezzo bicchiere d'acqua, mentre accarezza Utto2, un gattone nero che dal divano con un salto si è spostato sulle sue gambe. «Utto viene da farabutto. Ho conservato la tradizione del gatto, da piccolo avevo dei gattini, ma morivano anche quelli... Ne ho perso uno di recente, collegato ad altri tempi. Stento anche a ricordare i particolari del passato, perché ho come dei vuoti di memoria, ma c'è un fondo cupo sull'infanzia. Con la morte delle mie sorelle restava un sottofondo triste, anche quando non avevo proprio quel pensiero lì. La poesia mi ha aiutato sempre più, l'ho sentita crescere come il corpo, diventava qualcosa di intimamente attivo, anche perché riuscii abbastanza presto a scrivere delle cose decenti». Aveva più o meno 7 anni, Zanzotto, quando cominciò a scrivere versi: «La ricerca letteraria è come una sorgente che viene avanti e si impone sopra tutto il resto, e con la famiglia non posso dire che sia stata proprio una frizione... Non sono stato un padre distratto, ma nemmeno assorbito. I miei due figli sono cresciuti bravi e indipendenti». Tra i ricordi «sopportabili» c'è, nel '50, il premio San Babila per gli inediti, 100 mila lire. In giuria Montale, Ungaretti Quasimodo. «Ho comprato una Lambretta, che costava 115 mila lire. Quando mi videro arrivare a casa, nella Cal Santa, dove c'erano tutti i vecchi, è stato un momento importante, proprio. Una mia vicina di 80 anni mi pregò di farle fare un giro in lambretta». La voce flebile di Zanzotto, che sembra masticare le lunghe pause tra una frase e l'altra, si inarca in un sorriso. «La soddisfeci».
Più che sopportabile è il ricordo di tre figure femminili dell'infanzia. La nonna paterna: «Pregavo perché potessi morire prima e non dopo la morte di lei. Sono divagazioni lugubri e comiche nello stesso tempo. Le perdite convivevano con l'affetto che la nonna mi dimostrava, e appena potevo mi rifugiavo da lei che mi accontentava in tutto». Zia Maria, che avvia il piccolo Andrea alla lettura di settimanali e giornaletti: «Aveva un estro letterario e artistico, scriveva poesiole, fumava col bocchino e siccome mamma era molto timorata e ne pensava molto male. Era impiegata da un notaio, aveva un'istruzione di scuola inferiore, la sera andava in giro per scrivere lettere e le offrivano da bere. "Signora Maria, un goto?". Purtroppo finì per prendere l'abitudine del bicchiere». Terza presenza femminile è una direttrice didattica veneziana fiera di quello scolaro fuori dalla norma: «Mi aveva preso sotto la sua protezione e mi indicava a esempio di fronte agli altri, specialmente in geografia. Il colpo mancino che annullava tutti era l'enumerazione degli Stati Uniti, che allora erano 48».
Quel «titanismo esistenziale e cosmico» che Franco Fortini intravide subito nella poesia di Zanzotto ha sempre avuto qualcosa di religioso o di sacro: «Non ho mai avuto un distacco dalla religione infantile... Anzi, pian piano quella dimensione veniva sentita come necessaria, soprattutto per vincere i dolori della vita». E ci riusciva? «Sì». Forse anche per questo Zanzotto ha conservato l'abitudine di recitare il Requiem prima di dormire: «Un modo per rivolgere un pensiero ai miei morti». La morte è un pensiero più forte a quest'età? «In passato ho avuto parecchi momenti di angosce, però a un certo punto ci si rassegna. Diciamo che c'è un avvicinamento naturale all'idea. Ormai ho un'età in cui non c'è giornata che non porti la notizia della morte di un amico, e quindi... L'altra mattina Timoteo. Ogni giorno si può dire che qualcuno manca all'appello». All'appello mancano anche i grandi maestri del passato: Montale («quando venne a Pieve, vide mia moglie, che era preside e disse: ai miei tempi i presidi non erano così carini...»), Ungaretti («un uomo di straordinaria generosità»), Fellini, che gli chiese di scrivere per diversi suoi film, a partire da Casanova («è morto troppo presto, direi che aveva quell'ossessione della morte...»).
Utto è tornato ad accucciarsi sul divano. Sono passati tanti anni da quando nelle campagne si sentiva recitare il «filò», a cui il poeta ha dedicato un omonimo, memorabile, poemetto dialettale: «Il filò era un rito importante totalmente scomparso: nelle stalle si riunivano i contadini, e ognuno raccontava una storiella che conosceva. Era un insieme di conoscenze che sono state perdute e che invano qualcuno tenta di restaurare. Mi ricordo, non sono tanti anni, che mi meravigliavo di come potessero creare un partito rivendicando la forza del parlato dialettale senza nessuna base teorica. Per esempio, il rito di Bossi che va alle sorgenti del Piave... Si cominciava a degenerare. Sono equivoci storici. Per esempio, tutto il periodo del Medioevo avanzato in cui cresceva la nuova lingua italiana insieme con i vari dialetti non è stato capito. Ho scritto in dialetto molto presto, ma ho criticato la Lega perché non conosceva la realtà complessa dei dialetti, come nascano, fioriscano e sfioriscano».
Si sa, per Zanzotto è angoscioso anche il mutamento radicale del suo paesaggio. Angoscia e rabbia fotografate nel titolo di un magnifico libro-conversazione con Marzio Breda, In questo progresso scorsoio, uscito un paio d'anni fa da Garzanti. «Il paesaggio qua era qualcosa di compatto, quella stradina che si partiva dalle vicinanze della chiesa e andava al cimitero era un luogo molto rispettato... Mio padre, come pittore, ha decorato di immagini sacre quel porticato. Ora è un disastro, c'è stato uno snaturamento, hanno dato perfino il benestare a creare un deposito di gas che proviene dalla Russia». Marisa, sua moglie, si agita, va e viene, non sta nella pelle: «Parlano delle cattiverie di Zanzotto, perché ha difeso l'unico pezzo verde nell'ansa del Soligo. Andrea dovrebbe pubblicare gli insulti che ha ricevuto dal suo paese». Zanzotto alza gli occhi al cielo: «È diventato tutto incontrollabile, d'altra parte se si pensa agli allagamenti recenti in Veneto... che spavento, proprio!». Espressione di ribrezzo. «Pieve ormai è una piccola Los Angeles. Ci sono limiti realmente invalicabili, ma finché uno non è dentro il caos non se ne rende conto. Il rinsavimento, se avverrà, sarà formato di singulti. D'altra parte, l'altra sera in Tv parlavano degli antichi Maja che prevedevano nel 2012 la fine del mondo: se è così, vale la pena accettare quel che succede». Dall'ultima lunga pausa, sgorga un motivetto allegro, quasi cantato come una filastrocca infantile: «Comunque, se oggi seren non è doman seren sarà, se non sarà seren si rasserenerà».
«Corriere della Sera» del 28 marzo 2011
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