di Luca Gallesi
Brutte notizie per i genitori e gli educatori che si sforzano di tenere i ragazzi lontano dai computer: sembra che le ore passate a giocare davanti allo schermo non solo non siano dannose, ma che addirittura favoriscano la diminuzione dei reati giovanili.
Secondo i dati di un recente studio del “Centre for European Economic Research”, infatti, la considerevole diminuzione dei reati compiuti negli Usa nell’ultima decade - e parliamo della metà di quelli compiuti negli anni ’90 - è proprio merito dei videogiochi, che hanno tenuto lontano dalla strada, e quindi dal crimine, molti potenziali delinquenti, che si sono limitati a compiere tali reati solo nei giochi virtuali, davanti alla tv e senza alcuna conseguenza penale: al massimo si perde e bisogna ricominciare il gioco daccapo.
Certo, sono dati da prendere con cautela, e soprattutto vanno inseriti in un contesto, quello statunitense, che è assai diverso da quello europeo in generale e quello italiano in particolare, ma sembra che la tendenza globale vada in quella direzione, come dimostra un altro luogo comune sfatato: di solito, chi passa ore a giocare davanti al computer è considerato una persona poco socievole, con degli insuperabili problemi di relazione, quello che in inglese si chiama un nerd. Ebbene, pare che, almeno negli Usa, sia vero esattamente il contrario: Jane McGonigal, autorevole media-guru e apprezzata game-designer, ha appena pubblicato La realtà in gioco (Apogeo), un ponderoso saggio che dimostra come i giochi possano essere utilizzati per accrescere il nostro benessere aumentando il tasso di socialità - e socievolezza - dei giocatori.
L’autrice parte da lontano, addirittura da Erodoto, per dimostrare che i giochi migliorano la qualità della vita, come accadde ai Lidi quando, secondo lo storico greco, inventarono il gioco dei dadi per sopravvivere a una lunghissima carestia, alternando i giorni dedicati al cibo e quelli in cui si sfidavano con attività ludiche, che gli permisero di affrontare con successo i problemi reali. Oggi non è più la fame, ma la noia, l’angoscia, la solitudine o la depressione a rendere triste l’esistenza di molti individui, che nei giochi possono trovare sollievo o addirittura una soluzione alle loro difficoltà senza fuggire dalla realtà ma affrontandola con successo. Questo è il punto di maggiore interesse del libro, che non si limita a teorizzare possibili scappatoie virtuali per lenire il disagio della realtà, ma propone un approccio diverso al mondo dei videogiochi, che lungi dall’estraniarci dalla realtà, potrebbero insegnarci ad affrontarla con maggiori probabilità di successo.
Al rafforzamento delle virtù individuali, sempre secondo la studiosa americana, i videogiochi possono affiancare lo sviluppo di sensibilità sociali, come nel caso di The Extraordinaries o World without Oil, che invitano i giocatori - che sono tantissimi in tutto il mondo, a partecipare al mondo del microvolontariato, o a esplorare possibili alternative energetiche ai combustibili fossili.
The Extraordinaries è un’applicazione web, utilizzabile anche dai cellulari di ultima generazione, che permette a chiunque di far del bene, e non solo virtualmente: infatti si può, in un paio di minuti, aiutare una reale organizzazione no profit a raggiungere i suoi obiettivi, trasformati in una specie di caccia al tesoro tanto appassionante quanto effettivamente utile.
World without Oil, invece, immagina che, nel mondo reale, il petrolio stia esaurendosi; i giocatori, per sopravvivere, devono scambiarsi informazioni inventando soluzioni ai problemi di tutti i giorni, dalle inevitabili difficoltà nei trasporti alle probabili insurrezioni rivoluzionarie. Finanziato dalla “Corporation for Public Broadcasting”, il gioco ha immediatamente suscitato la curiosità di migliaia di giocatori, che hanno esplorato le più originali alternative, dalla coltivazione della propria verdura sui terrazzi dei condomini trasformati in orti alla diffusione di nuovi velocipedi, fino a enfatizzare quelle piccole attenzioni che possono cambiare le abitudini quotidiane come l’uso di borse di tela per fare la spesa o una maggiore, quasi maniacale cautela nell’evitare gli sprechi aumentando il riciclo.
Certo, si tratta di giochi la cui partecipazione non vanta i numeri del fantasy game World of Warcraft, che ha 13.000.000 (tredici milioni) di iscritti pronti a uccidere orde di nemici con armi e sortilegi, ma in futuro, forse anche in Europa, le cose potrebbero cambiare: il gioco è una cosa dannatamente seria.
Secondo i dati di un recente studio del “Centre for European Economic Research”, infatti, la considerevole diminuzione dei reati compiuti negli Usa nell’ultima decade - e parliamo della metà di quelli compiuti negli anni ’90 - è proprio merito dei videogiochi, che hanno tenuto lontano dalla strada, e quindi dal crimine, molti potenziali delinquenti, che si sono limitati a compiere tali reati solo nei giochi virtuali, davanti alla tv e senza alcuna conseguenza penale: al massimo si perde e bisogna ricominciare il gioco daccapo.
Certo, sono dati da prendere con cautela, e soprattutto vanno inseriti in un contesto, quello statunitense, che è assai diverso da quello europeo in generale e quello italiano in particolare, ma sembra che la tendenza globale vada in quella direzione, come dimostra un altro luogo comune sfatato: di solito, chi passa ore a giocare davanti al computer è considerato una persona poco socievole, con degli insuperabili problemi di relazione, quello che in inglese si chiama un nerd. Ebbene, pare che, almeno negli Usa, sia vero esattamente il contrario: Jane McGonigal, autorevole media-guru e apprezzata game-designer, ha appena pubblicato La realtà in gioco (Apogeo), un ponderoso saggio che dimostra come i giochi possano essere utilizzati per accrescere il nostro benessere aumentando il tasso di socialità - e socievolezza - dei giocatori.
L’autrice parte da lontano, addirittura da Erodoto, per dimostrare che i giochi migliorano la qualità della vita, come accadde ai Lidi quando, secondo lo storico greco, inventarono il gioco dei dadi per sopravvivere a una lunghissima carestia, alternando i giorni dedicati al cibo e quelli in cui si sfidavano con attività ludiche, che gli permisero di affrontare con successo i problemi reali. Oggi non è più la fame, ma la noia, l’angoscia, la solitudine o la depressione a rendere triste l’esistenza di molti individui, che nei giochi possono trovare sollievo o addirittura una soluzione alle loro difficoltà senza fuggire dalla realtà ma affrontandola con successo. Questo è il punto di maggiore interesse del libro, che non si limita a teorizzare possibili scappatoie virtuali per lenire il disagio della realtà, ma propone un approccio diverso al mondo dei videogiochi, che lungi dall’estraniarci dalla realtà, potrebbero insegnarci ad affrontarla con maggiori probabilità di successo.
Al rafforzamento delle virtù individuali, sempre secondo la studiosa americana, i videogiochi possono affiancare lo sviluppo di sensibilità sociali, come nel caso di The Extraordinaries o World without Oil, che invitano i giocatori - che sono tantissimi in tutto il mondo, a partecipare al mondo del microvolontariato, o a esplorare possibili alternative energetiche ai combustibili fossili.
The Extraordinaries è un’applicazione web, utilizzabile anche dai cellulari di ultima generazione, che permette a chiunque di far del bene, e non solo virtualmente: infatti si può, in un paio di minuti, aiutare una reale organizzazione no profit a raggiungere i suoi obiettivi, trasformati in una specie di caccia al tesoro tanto appassionante quanto effettivamente utile.
World without Oil, invece, immagina che, nel mondo reale, il petrolio stia esaurendosi; i giocatori, per sopravvivere, devono scambiarsi informazioni inventando soluzioni ai problemi di tutti i giorni, dalle inevitabili difficoltà nei trasporti alle probabili insurrezioni rivoluzionarie. Finanziato dalla “Corporation for Public Broadcasting”, il gioco ha immediatamente suscitato la curiosità di migliaia di giocatori, che hanno esplorato le più originali alternative, dalla coltivazione della propria verdura sui terrazzi dei condomini trasformati in orti alla diffusione di nuovi velocipedi, fino a enfatizzare quelle piccole attenzioni che possono cambiare le abitudini quotidiane come l’uso di borse di tela per fare la spesa o una maggiore, quasi maniacale cautela nell’evitare gli sprechi aumentando il riciclo.
Certo, si tratta di giochi la cui partecipazione non vanta i numeri del fantasy game World of Warcraft, che ha 13.000.000 (tredici milioni) di iscritti pronti a uccidere orde di nemici con armi e sortilegi, ma in futuro, forse anche in Europa, le cose potrebbero cambiare: il gioco è una cosa dannatamente seria.
«Avvenire» del 26 ottobre 2011
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