di Marcello Pera
La questione dell’omofobia è come quella del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Si mira da una parte per colpire dall’altra. Sulle coppie di fatto non esiste un vero problema. Non lo hanno le stesse coppie di fatto, le quali, avendo liberamente scelto di essere di fatto, non chiedono di diventare di diritto. Né lo ha la società, perché nessun movimento è mai nato per protestare contro presunte discriminazioni in materia di unioni. In realtà, con la scusa della protezione delle coppie uomo-donna, si vuole arrivare al matrimonio uomo-uomo e donna-donna.
Lo stesso vale per la condanna dell’omofobia. Non esiste un problema sociale degli omosessuali, salvo che nei Paesi islamici (che però, al momento, non fanno parte dell’Unione europea), perché né di fatto né di diritto essi sono discriminati in Europa e in Occidente. Vale addirittura il contrario: da quando si sono liberati dal condizionamento sociale e dalla propria autorepressione psicologica e hanno cominciato a fare outing, non solo gli omosessuali sono stati accettati come tali (salvo i normali pettegolezzi che si riservano a tutti), ma addirittura sono diventati i nuovi eroi portatori di nuovi diritti, nuova cultura e nuova civiltà. Al punto che, se c’è, la discriminazione è a loro favore: ad esempio, mentre è possibile oggi bloccare strade e città per una manifestazione di gay pride, non è più possibile intralciare il traffico per una processione del Corpus Domini.
E allora contro chi ce l’ha il Parlamento europeo? Ce l’ha con la Chiesa cattolica, la quale, come tanti, i più, ritiene che l’omosessualità sia un disordine morale e una a-normalità, per ragioni culturali, genetiche, fisiologiche o che altro. Oltre a ciò, il Parlamento europeo ce l’ha con quei credenti e con quei non credenti (che solo in italiano e francese si chiamano «laici»), i quali, benché non abbiano problemi riguardo ai diritti degli omosessuali, ne hanno di irriducibili contro la loro richiesta di congiungersi in matrimonio, o comunque si chiami l’istituto giuridico a seconda delle fantasie dei vocabolari europei.
E perché il Parlamento europeo ce l’ha tanto con la Chiesa cattolica e coloro che, sul punto, ne condividono la posizione? Perché il Parlamento europeo è la punta avanzata del laicismo europeo, il quale è una delle due valvole mitraliche del cuore dell’ideologia europeista (l’altra, come è noto, è il pacifismo, ma solo se antiamericano e preferibilmente filoislamico).
Morti il fascismo, il nazismo e, alla fine e per grazia di Dio, anche il comunismo, l’europeismo è l’ultimo (nel senso di più recente) rifugio ideologico dell’Europa, soprattutto quella di sinistra e soprattutto quella che, da sinistra, l’aveva sempre osteggiata quando era atlantica e voleva essere cristiana.
A questa ideologia il laicismo fa così tanto da cemento che attorno a esso si edifica quel poco di identità europea che ancora è ammessa (l’Europa laica contro l’America bigotta) o su di esso si costruiscono partiti politici postcomunisti o postcattolici (in Europa, quella Margherita che si chiama partito liberale, in Italia il partito democratico, che non a caso si è definito «partito laico» e, al primo punto programmatico, ha posto il riconoscimento dei matrimoni omosessuali).
L’odio contro la Chiesa e le sue gerarchie (pericolosissimo perché finirà con l’armare ideologicamente la mano di qualche criminale) e l’apostasia del cristianesimo è ciò su cui oggi si basa l’Europa. Non sapendo più che cosa è, né avendo chiara idea di che cosa vuole essere (se non zona di pace e di ferie), l’Europa fugge da se stessa. Ma poiché senza un interlocutore o un avversario, anche immaginario, che consenta di distinguere «noi» da «loro» non si può esistere, l’Europa, per mostrare che invece esiste, ha fatto la sua scelta: ha puntato al fantasma degli omofobi per combattere il cristianesimo.
Trovato il nemico, fascismo, nazismo, comunismo si inventarono confini, campi e gulag per rinchiudercelo. Ma l’ideologia europeista, come ha scritto un Tale, è «una forza gentile»: al momento si limita alle minacce culturali e alle censure parlamentari.
Lo stesso vale per la condanna dell’omofobia. Non esiste un problema sociale degli omosessuali, salvo che nei Paesi islamici (che però, al momento, non fanno parte dell’Unione europea), perché né di fatto né di diritto essi sono discriminati in Europa e in Occidente. Vale addirittura il contrario: da quando si sono liberati dal condizionamento sociale e dalla propria autorepressione psicologica e hanno cominciato a fare outing, non solo gli omosessuali sono stati accettati come tali (salvo i normali pettegolezzi che si riservano a tutti), ma addirittura sono diventati i nuovi eroi portatori di nuovi diritti, nuova cultura e nuova civiltà. Al punto che, se c’è, la discriminazione è a loro favore: ad esempio, mentre è possibile oggi bloccare strade e città per una manifestazione di gay pride, non è più possibile intralciare il traffico per una processione del Corpus Domini.
E allora contro chi ce l’ha il Parlamento europeo? Ce l’ha con la Chiesa cattolica, la quale, come tanti, i più, ritiene che l’omosessualità sia un disordine morale e una a-normalità, per ragioni culturali, genetiche, fisiologiche o che altro. Oltre a ciò, il Parlamento europeo ce l’ha con quei credenti e con quei non credenti (che solo in italiano e francese si chiamano «laici»), i quali, benché non abbiano problemi riguardo ai diritti degli omosessuali, ne hanno di irriducibili contro la loro richiesta di congiungersi in matrimonio, o comunque si chiami l’istituto giuridico a seconda delle fantasie dei vocabolari europei.
E perché il Parlamento europeo ce l’ha tanto con la Chiesa cattolica e coloro che, sul punto, ne condividono la posizione? Perché il Parlamento europeo è la punta avanzata del laicismo europeo, il quale è una delle due valvole mitraliche del cuore dell’ideologia europeista (l’altra, come è noto, è il pacifismo, ma solo se antiamericano e preferibilmente filoislamico).
Morti il fascismo, il nazismo e, alla fine e per grazia di Dio, anche il comunismo, l’europeismo è l’ultimo (nel senso di più recente) rifugio ideologico dell’Europa, soprattutto quella di sinistra e soprattutto quella che, da sinistra, l’aveva sempre osteggiata quando era atlantica e voleva essere cristiana.
A questa ideologia il laicismo fa così tanto da cemento che attorno a esso si edifica quel poco di identità europea che ancora è ammessa (l’Europa laica contro l’America bigotta) o su di esso si costruiscono partiti politici postcomunisti o postcattolici (in Europa, quella Margherita che si chiama partito liberale, in Italia il partito democratico, che non a caso si è definito «partito laico» e, al primo punto programmatico, ha posto il riconoscimento dei matrimoni omosessuali).
L’odio contro la Chiesa e le sue gerarchie (pericolosissimo perché finirà con l’armare ideologicamente la mano di qualche criminale) e l’apostasia del cristianesimo è ciò su cui oggi si basa l’Europa. Non sapendo più che cosa è, né avendo chiara idea di che cosa vuole essere (se non zona di pace e di ferie), l’Europa fugge da se stessa. Ma poiché senza un interlocutore o un avversario, anche immaginario, che consenta di distinguere «noi» da «loro» non si può esistere, l’Europa, per mostrare che invece esiste, ha fatto la sua scelta: ha puntato al fantasma degli omofobi per combattere il cristianesimo.
Trovato il nemico, fascismo, nazismo, comunismo si inventarono confini, campi e gulag per rinchiudercelo. Ma l’ideologia europeista, come ha scritto un Tale, è «una forza gentile»: al momento si limita alle minacce culturali e alle censure parlamentari.
«La Stampa» del 30 aprile 2007
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