Lo storico francese configura la religione dell’Età di Mezzo come un ibrido che aggiunse la quarta persona della Vergine Madre alla Trinità
di Marco Meschini
Jacques Le Goff è uno dei più grandi medievisti viventi e ogni suo intervento merita di essere ascoltato con attenzione, anche sotto le vesti di un’agile conversazione, come nel piccolo libro dedicato a Il Dio del Medioevo. Il tema è di quelli centrali: il ruolo di Dio nella storia medievale, cioè in quei mille e più anni di storia europea che sono parte ineliminabile di noi. E visto che il Medioevo si autoconcepì come Cristianità, cioè come lo spazio sociale, culturale e politico di una forma di cristianesimo, ebbene le parole di Le Goff meritano una doppia attenzione, perché qui il discorso ruota attorno al «cuore» del Medioevo stesso.
E dunque: Le Goff ha ragione quando ricorda che «con il Dio del Medioevo si opera una profonda riorganizzazione dello spazio, tramite l’occupazione compatta e strutturata della topografia. Si organizzano reti e strade, di ordini religiosi e di pellegrinaggi». È vero: parte della nostra viabilità, il paesaggio, i luoghi di identità territoriale devono molto al Medioevo, in stretta connessione con la dimensione del divino: culti di santi e reliquie, crocicchi e cappelle, abbazie e cattedrali... Che cosa sarebbero tanti spazi europei senza questo? E l’autore ha ancora ragione quando ricorda il ruolo riconosciuto dagli uomini del Medioevo allo Spirito Santo, una delle persone della Trinità che in quest’epoca occupa un ruolo centrale, nella spiritualità e nella cultura in genere. Ed è sempre merito del Medioevo se il Cristo in trono, giudice e sovrano, dell’iconografia tardoantica scese dal seggio per risalire sulla croce, mostrarsi sofferente, compassionevole e redentore dell’uomo.
Tuttavia, questi passaggi significativi si trovano accanto ad altri stranianti. Che cosa significa, infatti, che «per la grande maggioranza dei cristiani, chierici compresi, non sempre Dio si presentava come lo stesso Dio»? Che la pietà colta e popolare insistesse - e insista ancora oggi - ora sul Padre, ora sul Figlio o lo Spirito, oppure sulla Vergine e i santi, significa forse che vi fossero diverse divinità? È quanto sembra pensare il nostro autore, quando propone di pensare al cristianesimo medievale come una forma di «politeismo». In bilico tra monoteismo e politeismo, Le Goff configura la religione medievale come un ibrido, capace persino di aggiungere una «quarta persona» a Dio, cioè la Vergine Madre ...
Qui la ricerca di una nuova concettualizzazione sconfina nel travisamento: il cristianesimo ha da sempre visto in Maria la theotòkos, la «madre di Dio», tanto da scatenare eresie (il nestorianesimo, per dirne una) intorno a questo problema... ma si era nel Tardoantico, non nel Medioevo. Insomma Maria ha sempre avuto quel ruolo, senza che ciò significasse una sua confusione con la divinità: per Dante essa non è forse «figlia del suo Figlio»? Ma l’errore è più profondo: il monoteismo cristiano è sui generis, distinguendosi nettamente dallo Jahvè ebraico e dall’Allah islamico (che non è un «nome proprio», ma significa semplicemente «il Dio», cioè «Iddio»). Il Dio cristiano è concepito come Persona e Relazione, non come Idea e Solitudine.
Anche l’«antropomorfizzazione» di Dio, che Le Goff attribuisce al Medioevo, è un elemento primigenio: Cristo è vero uomo e vero Dio da sempre, nel cristianesimo cattolico e ortodosso, e dunque di quale «politeismo» si può parlare? Senza contare che il Medioevo combatté duramente - e a tratti spietatamente - il politeismo, come per esempio il catarismo che vedeva due dei, il Bene e il Male, in lotta perenne. Insomma mi pare che l’autore finisca con il confondere la causa con l’effetto: che i fedeli non pensassero uniformemente e monoliticamente a Dio non derivava dai loro «bisogni», ma dalla ricchezza in sé della religione cui avevano aderito e che li aveva, per tanti aspetti, generati.
Jacques Le Goff, Il Dio del Medioevo (con Jean-Luc Pouthier, Laterza, pagg. 118, euro 12).
E dunque: Le Goff ha ragione quando ricorda che «con il Dio del Medioevo si opera una profonda riorganizzazione dello spazio, tramite l’occupazione compatta e strutturata della topografia. Si organizzano reti e strade, di ordini religiosi e di pellegrinaggi». È vero: parte della nostra viabilità, il paesaggio, i luoghi di identità territoriale devono molto al Medioevo, in stretta connessione con la dimensione del divino: culti di santi e reliquie, crocicchi e cappelle, abbazie e cattedrali... Che cosa sarebbero tanti spazi europei senza questo? E l’autore ha ancora ragione quando ricorda il ruolo riconosciuto dagli uomini del Medioevo allo Spirito Santo, una delle persone della Trinità che in quest’epoca occupa un ruolo centrale, nella spiritualità e nella cultura in genere. Ed è sempre merito del Medioevo se il Cristo in trono, giudice e sovrano, dell’iconografia tardoantica scese dal seggio per risalire sulla croce, mostrarsi sofferente, compassionevole e redentore dell’uomo.
Tuttavia, questi passaggi significativi si trovano accanto ad altri stranianti. Che cosa significa, infatti, che «per la grande maggioranza dei cristiani, chierici compresi, non sempre Dio si presentava come lo stesso Dio»? Che la pietà colta e popolare insistesse - e insista ancora oggi - ora sul Padre, ora sul Figlio o lo Spirito, oppure sulla Vergine e i santi, significa forse che vi fossero diverse divinità? È quanto sembra pensare il nostro autore, quando propone di pensare al cristianesimo medievale come una forma di «politeismo». In bilico tra monoteismo e politeismo, Le Goff configura la religione medievale come un ibrido, capace persino di aggiungere una «quarta persona» a Dio, cioè la Vergine Madre ...
Qui la ricerca di una nuova concettualizzazione sconfina nel travisamento: il cristianesimo ha da sempre visto in Maria la theotòkos, la «madre di Dio», tanto da scatenare eresie (il nestorianesimo, per dirne una) intorno a questo problema... ma si era nel Tardoantico, non nel Medioevo. Insomma Maria ha sempre avuto quel ruolo, senza che ciò significasse una sua confusione con la divinità: per Dante essa non è forse «figlia del suo Figlio»? Ma l’errore è più profondo: il monoteismo cristiano è sui generis, distinguendosi nettamente dallo Jahvè ebraico e dall’Allah islamico (che non è un «nome proprio», ma significa semplicemente «il Dio», cioè «Iddio»). Il Dio cristiano è concepito come Persona e Relazione, non come Idea e Solitudine.
Anche l’«antropomorfizzazione» di Dio, che Le Goff attribuisce al Medioevo, è un elemento primigenio: Cristo è vero uomo e vero Dio da sempre, nel cristianesimo cattolico e ortodosso, e dunque di quale «politeismo» si può parlare? Senza contare che il Medioevo combatté duramente - e a tratti spietatamente - il politeismo, come per esempio il catarismo che vedeva due dei, il Bene e il Male, in lotta perenne. Insomma mi pare che l’autore finisca con il confondere la causa con l’effetto: che i fedeli non pensassero uniformemente e monoliticamente a Dio non derivava dai loro «bisogni», ma dalla ricchezza in sé della religione cui avevano aderito e che li aveva, per tanti aspetti, generati.
Jacques Le Goff, Il Dio del Medioevo (con Jean-Luc Pouthier, Laterza, pagg. 118, euro 12).
«Il Giornale» del 29 aprile 2007
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