di Armando Fumagalli - Luisa Cotta RamosinoFumagalli
Tratto dal volume Scegliere un film 2005
Dopo aver perso i genitori uccisi in un tentativo di rapina, il giovane Bruce Wayne, rampollo di una ricchissima famiglia di Gotham City, non riesce a darsi pace e vive solo per la vendetta, sottrattagli dall’uccisione dell’assassino da parte di un malavitoso che stava per essere da lui denunciato. Disperato, Bruce parte per un lungo viaggio in Oriente, da cui ritornerà profondamente cambiato e deciso a portare ordine nella corrotta Gotham. Con la collaborazione del fido maggiordomo Alfred e del geniale inventore Fox, nasce l’Uomo Pipistrello. Ma le cose a Gotham sono più complicate di quanto sembrano e per Bruce/Batman sconfiggere i malvagi significa anche affrontare le proprie peggiori paure. Dopo che negli anni dei più meno riusciti sequel i villain di turno avevano sempre più spesso rubato alla scena all’uomo pipistrello, la vera novità di Batman Begins è proprio nell’assoluto protagonismo dell’eroe, che qui, anche nell’ottica di un restyling del marchio detenuto dalla Warner, vive un vero e proprio processo di rifondazione, alla ricerca delle radici esistenziali e morali della sua missione.
Niente da stupirsi quindi se l’eroe mascherato entra in scena dopo un’ora abbondante di film – non per questo meno interessante e coinvolgente –, una scelta certamente insolita per una pellicola tratta da un fumetto, ma vincente nel dare spessore a una storia già nota agli appassionati della striscia ma quasi del tutto nuova per gli altri spettatori cinematografici.
La chiave di (ri)lettura della vicenda, d’altra parte, trova il suo senso profondo nel presentare un lungo e doloroso processo di trasformazione del giovane Bruce Wayne, che è interiore prima ancora che esteriore o fisica (e infatti Batman, a differenza di Superman o del mutato Spiderman, non ha superpoteri, ma molti gadget e un’enorme forza di volontà!).
L’intento del regista e sceneggiatore Nolan (sensibile interprete di dissidi interiori in Memento e Insomnia) e del suo coautore Goyer (che già si era occupato della serie di Blade, ma anche del cupo e profondo Dark City) sembra quello di ridare profondità e credibilità al personaggio, scavandone le radici e collocandolo in un contesto che, se pure mantiene le semplificazioni tipiche del genere, appare al contempo più reale e meno platealmente scenografico.
Non a caso la Gotham di Batman Begins, pur con i suoi treni sopraelevati che rimandano alla fantascienza, assomiglia molto di più a una New York/Chicago attuale rispetto alle città dipinte a tinte oscure o psichedeliche da Burton e Schumacher nei loro film.
In questa paradossale scelta di «realismo» gli autori del film si soffermano a lungo sul nodo fondante del personaggio, sul legame profondo tra la paura e la vendetta, e quindi sul problema della corruzione e sul concetto di giustizia (equità, armonia, legge del taglione?), rendendo il tutto estremamente credibile attraverso una rete di personaggi che circondano il protagonista dandogli profondità.
Per la prima volta conosciamo meglio il padre di Bruce Wayne, medico filantropo che ha deciso di dividere la sua ricchezza con la città, affetto perduto del futuro eroe, ma anche modello messo in discussione dal mentore ambiguo Ducard (Liam Neeson).
E il Batman che nascerà dalle ceneri di un’infanzia segnata dalla violenza e da una giovinezza perduta nel desiderio confuso di una vendetta impossibile, disegna il suo ruolo di oscuro protettore di Gotham proprio nello spazio che passa tra il rigido Ducard (Neeson), deciso a buttare il bambino con l’acqua sporca (cioè a distruggere la decadente Gotham come nel passato la setta di cui è al comando ha fatto con altre grandi metropoli – Roma, Costantinopoli, Londra – per liberarsi della loro corruzione), e l’idealista inerme Wayne Sr., che sposa la non violenza e il mecenatismo in grande stile per ridare speranza ai suoi concittadini (ma insegna anche al figlio che si cade per poi rialzarsi…).
I dilemmi esistenziali e morali della pellicola sono abilmente mescolati a una robusta dose di «divertimento», grazie soprattutto a un’ottima coppia di spalle di lusso, il maggiordomo Alfred (Caine) e l’inventore Fox (Freeman). Se il primo si preoccupa di sdrammatizzare gli eccessi di pathos con un humor di marca britannica, ma si fa anche portatore della memoria familiare di Bruce, il secondo, nei panni di un inventore geniale e ironico (una sorta di M di colore), fornisce l’apparato di tecnologia necessario a dare corpo al progetto del futuro supereroe. Da notare, comunque, che nemmeno questi gadget sfuggono, nella loro imperfezione, alla scelta di realismo che pervade tutto il film.
Così, godendoci la «vera» storia di Batman, non sentiamo la mancanza di un cattivone che gigioneggi con i suoi drammi e i suoi piani criminali strabilianti togliendo la scena all’eroe (come accadeva con Joker-Nicholson, Pinguino-De Vito & C.); per questo ci sarà tempo nelle pellicole che sicuramente arriveranno a rivisitare l’intera saga dell’uomo pipistrello.
Per intanto resta il piacere di riscoprire le emozioni legate al percorso del personaggio piuttosto che al gusto scenografico degli effetti speciali che qui, pur non venendo meno, lasciano spazio a una dimensione più personale senza nulla togliere al gusto di uno spettacolo capace di conquistare un pubblico di tutte le età.
Elementi problematici per la visione:qualche scena violenta nei limiti del genere.
Niente da stupirsi quindi se l’eroe mascherato entra in scena dopo un’ora abbondante di film – non per questo meno interessante e coinvolgente –, una scelta certamente insolita per una pellicola tratta da un fumetto, ma vincente nel dare spessore a una storia già nota agli appassionati della striscia ma quasi del tutto nuova per gli altri spettatori cinematografici.
La chiave di (ri)lettura della vicenda, d’altra parte, trova il suo senso profondo nel presentare un lungo e doloroso processo di trasformazione del giovane Bruce Wayne, che è interiore prima ancora che esteriore o fisica (e infatti Batman, a differenza di Superman o del mutato Spiderman, non ha superpoteri, ma molti gadget e un’enorme forza di volontà!).
L’intento del regista e sceneggiatore Nolan (sensibile interprete di dissidi interiori in Memento e Insomnia) e del suo coautore Goyer (che già si era occupato della serie di Blade, ma anche del cupo e profondo Dark City) sembra quello di ridare profondità e credibilità al personaggio, scavandone le radici e collocandolo in un contesto che, se pure mantiene le semplificazioni tipiche del genere, appare al contempo più reale e meno platealmente scenografico.
Non a caso la Gotham di Batman Begins, pur con i suoi treni sopraelevati che rimandano alla fantascienza, assomiglia molto di più a una New York/Chicago attuale rispetto alle città dipinte a tinte oscure o psichedeliche da Burton e Schumacher nei loro film.
In questa paradossale scelta di «realismo» gli autori del film si soffermano a lungo sul nodo fondante del personaggio, sul legame profondo tra la paura e la vendetta, e quindi sul problema della corruzione e sul concetto di giustizia (equità, armonia, legge del taglione?), rendendo il tutto estremamente credibile attraverso una rete di personaggi che circondano il protagonista dandogli profondità.
Per la prima volta conosciamo meglio il padre di Bruce Wayne, medico filantropo che ha deciso di dividere la sua ricchezza con la città, affetto perduto del futuro eroe, ma anche modello messo in discussione dal mentore ambiguo Ducard (Liam Neeson).
E il Batman che nascerà dalle ceneri di un’infanzia segnata dalla violenza e da una giovinezza perduta nel desiderio confuso di una vendetta impossibile, disegna il suo ruolo di oscuro protettore di Gotham proprio nello spazio che passa tra il rigido Ducard (Neeson), deciso a buttare il bambino con l’acqua sporca (cioè a distruggere la decadente Gotham come nel passato la setta di cui è al comando ha fatto con altre grandi metropoli – Roma, Costantinopoli, Londra – per liberarsi della loro corruzione), e l’idealista inerme Wayne Sr., che sposa la non violenza e il mecenatismo in grande stile per ridare speranza ai suoi concittadini (ma insegna anche al figlio che si cade per poi rialzarsi…).
I dilemmi esistenziali e morali della pellicola sono abilmente mescolati a una robusta dose di «divertimento», grazie soprattutto a un’ottima coppia di spalle di lusso, il maggiordomo Alfred (Caine) e l’inventore Fox (Freeman). Se il primo si preoccupa di sdrammatizzare gli eccessi di pathos con un humor di marca britannica, ma si fa anche portatore della memoria familiare di Bruce, il secondo, nei panni di un inventore geniale e ironico (una sorta di M di colore), fornisce l’apparato di tecnologia necessario a dare corpo al progetto del futuro supereroe. Da notare, comunque, che nemmeno questi gadget sfuggono, nella loro imperfezione, alla scelta di realismo che pervade tutto il film.
Così, godendoci la «vera» storia di Batman, non sentiamo la mancanza di un cattivone che gigioneggi con i suoi drammi e i suoi piani criminali strabilianti togliendo la scena all’eroe (come accadeva con Joker-Nicholson, Pinguino-De Vito & C.); per questo ci sarà tempo nelle pellicole che sicuramente arriveranno a rivisitare l’intera saga dell’uomo pipistrello.
Per intanto resta il piacere di riscoprire le emozioni legate al percorso del personaggio piuttosto che al gusto scenografico degli effetti speciali che qui, pur non venendo meno, lasciano spazio a una dimensione più personale senza nulla togliere al gusto di uno spettacolo capace di conquistare un pubblico di tutte le età.
Elementi problematici per la visione:qualche scena violenta nei limiti del genere.
Postato l'11 febbraio 2012
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