Lezione d'umiltà per l'homo technologicus
di Tommaso Scandroglio
«Alla natura si comanda solo ubbidendole». Questo aforisma di Francis Bacon si attaglia perfettamente non solo alla situazione meteorologica siberiana che sta sopportando il Bel Paese in questi giorni, ma soprattutto alle ricadute di ordine sociale.
Ancora una volta il braccio di ferro tra uomo e natura vede vincitrice quest’ultima. E questo, per paradosso, proprio a motivo dell’elevato tenore tecnologico delle nostre esistenze. Noi viviamo in una società complessa, resa tale dal progredire della tecnica. Ma è di tutta evidenza che laddove c’è complessità parimenti c’è un ugual grado di rischio che il meccanismo regolato dalla tecnica vada gambe all’aria al verificarsi di una mutazione rispetto al quadro normale per cui il meccanismo stesso è stato progettato. È un circolo vizioso che ha del curioso: si affinano gli strumenti per dominare il reale, ma più sono affinati più sono fragili. Il fiocco di neve ha la meglio sul chip, forse perché la sua complessità è assai più stupefacente di qualsiasi manufatto umano.
Una favoletta raccontata ormai da decenni dall’ambientalismo più radicale vuole persuaderci che la natura è – per dirla alla Rousseau – sì selvaggia ma anche buona. In questi giorni di Febbraio il meteo ci ha ricordato una sacra banalità che guarda caso è posta proprio nel primissimo capitolo della Genesi ed è la prima cosa che Dio dice all’uomo, dopo avergli comandato di moltiplicarsi: «soggiogate» la terra (Gen. 1, 28). Ora non si soggioga qualcosa che, come invece vorrebbe farci intendere un pensiero neo-illuminista, è mite e amico dell’uomo. Si domina ciò che è ribelle, ciò che è pericoloso. Sempre nella consapevolezza della finitudine del nostro essere creatura e quindi sempre nella coscienza che a volte le briglie semplicemente non bastano o, se troppo strette, possono spezzarsi.
Gli esperti ci assicurano che il freddo, il ghiaccio e la neve di questo periodo sono assolutamente normali, cioè rientrano nelle «medie stagionali». Lo stupore dell’uomo della strada di fronte a queste affermazioni nasce forse da due motivi. Il primo è che ci siamo scordati una nozione di base della matematica appresa sui banchi di scuola alle elementari: la media è data dalla somma di tutte le cifre diviso il numero di cifre stesso. Quindi in buona sostanza la media è appunto la via di mezzo tra un massimo e un minimo: ora stiamo semplicemente vivendo un minimo in quanto a temperature. Anzi, proprio per questo motivo, a ben vedere la temperatura media è difficile che spunti sul nostro termometro. Il secondo motivo riposa su una nostra mancanza di realismo: se nevica, da che mondo è mondo, è più difficile andare in giro. L’automatismo della tecnica, in specie quella virtuale, ci ha invece abituati all’utopia di un mondo perfetto che corre sempre dritto, senza sussulti, sia che splenda il sole sia che ci sia buriana. Ciò non toglie che ci possono essere state delle responsabilità nel gestire la situazione presente e che i disservizi verificatisi non dovrebbero più accadere in futuro, ma il tempo di questi giorni ci ha riportato con i piedi per terra, ricoperta anche di un metro e mezzo di neve: non tutto si risolve premendo un bottone o un tasto del mouse.
Il governo tecnico fatica a mettere a posto i conti del Paese e analogamente anche il governo tecnico delle bizze di madre natura annaspa nel fronteggiare gli andamenti ondivaghi del clima. Nulla di scandaloso, solo una lezione di umiltà che la mente insuperbita dell’homo technologicus fatica a ricordare, a trasmettere o ad apprendere.
Ancora una volta il braccio di ferro tra uomo e natura vede vincitrice quest’ultima. E questo, per paradosso, proprio a motivo dell’elevato tenore tecnologico delle nostre esistenze. Noi viviamo in una società complessa, resa tale dal progredire della tecnica. Ma è di tutta evidenza che laddove c’è complessità parimenti c’è un ugual grado di rischio che il meccanismo regolato dalla tecnica vada gambe all’aria al verificarsi di una mutazione rispetto al quadro normale per cui il meccanismo stesso è stato progettato. È un circolo vizioso che ha del curioso: si affinano gli strumenti per dominare il reale, ma più sono affinati più sono fragili. Il fiocco di neve ha la meglio sul chip, forse perché la sua complessità è assai più stupefacente di qualsiasi manufatto umano.
Una favoletta raccontata ormai da decenni dall’ambientalismo più radicale vuole persuaderci che la natura è – per dirla alla Rousseau – sì selvaggia ma anche buona. In questi giorni di Febbraio il meteo ci ha ricordato una sacra banalità che guarda caso è posta proprio nel primissimo capitolo della Genesi ed è la prima cosa che Dio dice all’uomo, dopo avergli comandato di moltiplicarsi: «soggiogate» la terra (Gen. 1, 28). Ora non si soggioga qualcosa che, come invece vorrebbe farci intendere un pensiero neo-illuminista, è mite e amico dell’uomo. Si domina ciò che è ribelle, ciò che è pericoloso. Sempre nella consapevolezza della finitudine del nostro essere creatura e quindi sempre nella coscienza che a volte le briglie semplicemente non bastano o, se troppo strette, possono spezzarsi.
Gli esperti ci assicurano che il freddo, il ghiaccio e la neve di questo periodo sono assolutamente normali, cioè rientrano nelle «medie stagionali». Lo stupore dell’uomo della strada di fronte a queste affermazioni nasce forse da due motivi. Il primo è che ci siamo scordati una nozione di base della matematica appresa sui banchi di scuola alle elementari: la media è data dalla somma di tutte le cifre diviso il numero di cifre stesso. Quindi in buona sostanza la media è appunto la via di mezzo tra un massimo e un minimo: ora stiamo semplicemente vivendo un minimo in quanto a temperature. Anzi, proprio per questo motivo, a ben vedere la temperatura media è difficile che spunti sul nostro termometro. Il secondo motivo riposa su una nostra mancanza di realismo: se nevica, da che mondo è mondo, è più difficile andare in giro. L’automatismo della tecnica, in specie quella virtuale, ci ha invece abituati all’utopia di un mondo perfetto che corre sempre dritto, senza sussulti, sia che splenda il sole sia che ci sia buriana. Ciò non toglie che ci possono essere state delle responsabilità nel gestire la situazione presente e che i disservizi verificatisi non dovrebbero più accadere in futuro, ma il tempo di questi giorni ci ha riportato con i piedi per terra, ricoperta anche di un metro e mezzo di neve: non tutto si risolve premendo un bottone o un tasto del mouse.
Il governo tecnico fatica a mettere a posto i conti del Paese e analogamente anche il governo tecnico delle bizze di madre natura annaspa nel fronteggiare gli andamenti ondivaghi del clima. Nulla di scandaloso, solo una lezione di umiltà che la mente insuperbita dell’homo technologicus fatica a ricordare, a trasmettere o ad apprendere.
«Avvenire» dell'8 febbraio 2012
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