04 febbraio 2008

Il laicismo obbligatorio

L’università e il Pontefice
di Ernesto Galli Della Loggia
Non manda un suono per nulla limpido la protesta che si sta organizzando per impedire la visita del Papa all’Università di Roma, in programma per giovedì prossimo. Sia chiaro: è assolutamente lecito non condividere, e quindi criticare pubblicamente, l’idea d’invitare il Papa alla Sapienza: ma una cosa è questa, e tutt’altra cosa è protestare giudicando inammissibile l’invito, e di conseguenza cercare di far sì che concretamente la visita non avvenga. Proprio questo invece sta accadendo, sicché la protesta in corso sembra rispondere al puro e semplice intento di impedire la presenza e insieme la parola a chi risulta ideologicamente sgradito. Lo ha chiarito apertamente in un’intervista di ieri al Corriere uno dei più illustri tra gli aderenti alla protesta, Alberto Asor Rosa, illustrandone il merito in questi termini: «Non si può prescindere da un magistero pontificio fortemente connotato da posizioni conservatrici e reazionarie». Dal che sembra ragionevole dedurre che se, puta caso, l’orientamento del Papa (naturalmente sempre secondo l’inappellabile giudizio di Asor Rosa) fosse stato invece «progressista e democratico», allora la protesta non avrebbe avuto motivo d’esserci, e perciò probabilmente non ci sarebbe stata. Un punto di vista, ce lo consentirà Asor Rosa, che ricorda sgradevolmente quegli episodi, di cui in passato si sono rese responsabili più volte alcune università italiane, quando al loro interno si è cercato (spesso con successo) di impedire di prendere la parola a studiosi ebrei o israeliani perché considerati vicini a posizioni «sioniste». In realtà, come ha detto bene il rettore di Roma 3 Guido Fabiani, da sempre vicino alla sinistra e per sua ammissione un non credente, ma che tuttavia nel 2002 invitò Giovanni Paolo II nel suo ateneo, «l’esercizio della libertà di ricerca ha bisogno del rispetto e del confronto di valori». E’davvero necessario aggiungere che un tale confronto non può che essere con i valori diversi dai propri? Un’eguale, forte, perplessità suscita l’altra motivazione addotta dalla protesta, quella che contesta al Papa, per usare sempre le parole di Asor Rosa, le «continue intromissioni nella vita privata e pubblica del Paese». Ma anche qui: cosa è questo se non un giudizio di evidente natura politica, sul quale peraltro, Asor Rosa ne converrà, la metà o forse più del Paese non sarebbe d’accordo? Ora, nessuno pensa che sia illecito esprimere simili giudizi all’università e fuori, ma la protesta che si annuncia giovedì, è bene ribadirlo, non è rivolta già a esprimere giudizi, bensì a impedire a qualcun altro, cioè al Papa, di aprire bocca. Ma se si accettasse oggi una cosa del genere, mi chiedo, come potremmo allora condannare, come invece sia pur retrospettivamente facciamo, le gazzarre organizzate per esempio, nel 1923-24, dagli studenti fascisti fiorentini per impedire a Salvemini e Calamandrei di tenere lezione? In verità, dietro molte voci che animano la protesta (e che ne spiegano l’asprezza) c’è un’idea più radicale e più inquietante. L’idea che la visita di un papa significhi, in quanto tale, la violazione dello statuto pubblico, e perciò pluralista, dell’istituzione universitaria. C'è l’idea che in una democrazia che vuole essere tale la religione debba essere esclusa da qualsiasi spazio pubblico; che esistono orientamenti culturali e ideali - e quelli religiosi sarebbero i primi tra questi - i quali sono radicalmente incompatibili vuoi con la società democratica e con il suo ethos pubblico, vuoi più in generale con una moderna visione del mondo. E che quindi nell’università possa trovare posto e avere corso esclusivamente quello che si autodefinisce compiaciutamente il «libero pensiero». Idea inquietante che mette inevitabilmente capo a una sorta di obbligatorio laicismo di Stato, di pubblica preferenza sociale accordata all’irreligiosità: tutta roba in cui l’autentica tradizione liberale si è sempre ben guardata dal riconoscersi, ravvisandovi giustamente una più che probabile anticamera del dispotismo.
«Corriere della sera» del 15 gennaio 2008

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