03 febbraio 2008

La finanza che divora la politica

Il giurista nel saggio «Mercato d’azzardo» analizza presente e futuro dell’economia
di Dario Di Vico
Guido Rossi: «Soltanto il diritto può salvare il capitalismo»
Solo il diritto può salvare il capitalismo. Il professor Guido Rossi torna in libreria con un volume Adelphi che già dal titolo è destinato a far rumore: Mercato d’azzardo (pagine 120, 13,50). La finanza moderna, secondo il giurista milanese, ha tradito i suoi scopi. La democrazia azionaria, l’interesse sociale, la creazione di valore sono altrettanti principi che i mercati finanziari globalizzati calpestano ogni giorno. L’Economia con la maiuscola, che va dal potere delle grandi corporation alla cinica speculazione degli hedge fund, ha messo in scacco la politica, la fa apparire provinciale, la obbliga ad abdicare ai suoi compiti di indirizzo. Le chiede «di obbedire senza discutere» e se ciò non avviene arriva anche a corromperla, a comprarne i servigi. Nelle cento pagine del suo saggio-shock - che l’autore assicura aver scritto «di getto» e che comunque si sfogliano tutte d’un fiato quasi fosse un financial thriller - il lettore non troverà la parola «locuste» o altri luoghi comuni della neo-ideologia socialdemocratica, tutta la reprimenda nei confronti del capitalismo poggia su riflessioni maturate dentro le fortezze della globalizzazione, non nelle periferie. I riferimenti culturali sono quelli del procuratore generale dello Stato di New York, Eliot Spitzer, e di giuristi come Ronald Gilson, Jeffrey Gordon o Martin Lipton. Il mercato finanziario, dunque, da novello Tantalo ha divorato i suoi figli. «Non voglio infierire - scrive Rossi - ma ricordo solo che un anno dopo l’11 settembre Kent Greenfield ha sostenuto che senza la crescente ossessione per il prezzo delle azioni, e il parallelo disinteresse per i problemi della sicurezza da parte delle compagnie aeree, gli attentati alle Torri forse non sarebbero avvenuti. Sono affermazioni quasi grottesche, ma esprimono uno stato d’animo che non è saggio sottovalutare». I mercati non sono più i luoghi dell’investimento ma «i teatri della liquidità» e le bolle speculative sono create ad arte dagli operatori che agiscono con il denaro e i beni di terzi. La democrazia azionaria è stata sequestrata dalle minoranze che usando impropriamente patti parasociali e scatole cinesi hanno creato un potere senza responsabilità, annullato la funzione delle assemblee e dato vita a una prassi autocratica che calpesta sistematicamente i diritti dei piccoli azionisti. Le società per azioni sono terrorizzate dai fondi avvoltoio e dai private equity che ne condizionano le scelte e le costringono ad acquisizioni o scissioni che non tengono in alcun conto gli interessi di medio-periodo dei loro azionisti. Le assemblee sono diventate «la scatola nera» degli affari. La dottrina della corporate governance esaltata come «un antibiotico a largo spettro contro qualsiasi infezione colpisca i mercati finanziari» si è rivelata un’entità misteriosa. Doveva servire ad autoregolamentare il governo societario e a creare valore per gli azionisti, ha finito per far lievitare all’inverosimile i compensi dei manager e per produrre un nuovo ceto di amministratori che retoricamente sono definiti «indipendenti» ma nella realtà si comportano da financial gigolò. Lapidario il giudizio finale: «La corporate governance è essenzialmente il risultato fallimentare di una catena di mistificazioni e il suo inglorioso epilogo sta trascinando in una crisi di proporzioni ancora ignote i mercati e il capitalismo finanziario nel suo insieme». Laddove l’analisi si sofferma sull’Italia l’argomentare di Rossi si fa caustico. Ce n’è per molti. Il parere del presidente della Consob Lamberto Cardia, spesosi nella sua ultima relazione annuale per concedere maggiore libertà alle società quotate nell’emissione di azioni con diritti differenziati, viene polemicamente contrapposto all’orientamento del Parlamento europeo favorevole al principio «una testa, un voto». La Confindustria viene criticata per aver difeso i patti parasociali («l’unico antidoto efficace al contagio della scalate») e per non aver compreso che proprio quei marchingegni d’antan ledono un cardine della libera concorrenza e concorrono a creare dell’Italia l’immagine di «market for lemons», un mercato dove solo i risparmiatori-limoni hanno una chiara missione: farsi spremere. I banchieri, poi, grazie all’abolizione della vecchia esclusiva a favore degli agenti di cambio, sono accusati di aver invaso il mercato del risparmio moltiplicando i conflitti di interesse e ostacolandone lo sviluppo. Ma riuscirà a salvarsi un sistema come quello del capitalismo di oggi descritto come irrazionale, opaco e delegittimato tanto che se John Maynard Keynes partecipasse oggi a un’assemblea societaria rischierebbe di beccarsi di nuovo «vaiolo, sifilide e pulci» come ebbe a denunciare ottant’anni orsono? Per rispondere al padre di tutti i quesiti Guido Rossi si concede un sogno e invoca kantianamente lo ius cosmopoliticum. Un diritto che viaggi oltre i confini dei vecchi Stati-nazione e che abbia tutte le prerogative per battersi ad armi pari con la finanza globale. Cominciamo, sostiene il giurista, con «un’autorità europea di vigilanza sui mercati finanziari», visto che «la Ue si è dotata di una normativa antitrust, non si vede perché non dovrebbe saper disciplinare i propri mercati finanziari». Se ciò accadesse il passaggio ad analoghe strutture di carattere e ambito globali potrebbe rivelarsi mento faticoso del previsto e raggiungere un consenso di base su questi temi è tutt’altro che impossibile. «È appena accaduto per una materia molto più controversa come la moratoria sulla pena di morte, può accadere ancora». Quanto alla legislazione ordinaria, se la politica rispondesse alla perdita di sovranità con una frenesia normativa commetterebbe un altro errore. Di leggi ne bastano poche, meglio drastiche. E l’esempio che fa Rossi drastico sicuramente lo è. Propone di vietare espressamente la circolazione di quei prodotti che «il risparmiatore sprovveduto viene invitato ad acquistare da banche poco affidabili o intermediari senza scrupoli: i derivati, gli strutturati, i collaterali e così via». Non tutti applaudiranno.

Guido Rossi è nato a Milano il 16 marzo 1931. Alunno del collegio Ghisleri, si è laureato in giurisprudenza a Pavia nel 1953. Ha insegnato a Pavia, Trieste, Venezia, Milano. Nel 1981 viene nominato presidente della Consob dal ministro del Tesoro Beniamino Andreatta. Dal 1987 al 1992 è senatore indipendente nel Pci. Nel maggio 2006 viene nominato commissario straordinario della Figc, dopo lo scandalo di Calciopoli. Lascerà l’incarico nel settembre dello stesso anno dopo la nomina a presidente di Telecom Italia (incarico che ricoprirà fino all’aprile 2007). Insegna Filosofia del diritto all’università Vita-Salute San Raffaele.

«Corriere della sera» del 10 gennaio 2008

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