31 ottobre 2025

Francesco, voce che chiama anche nel nostro deserto

di Erri De Luca
Scrive Isaia (40,3): «Voce di chi chiama: nel deserto battete pista di D». Non è strada maestra, non è lastricata, non è lineare la pista in cerca della divinità. Nel deserto s’incammina incolonnato il popolo staccato di netto da secoli di servitù in Egitto.
Staccato da un’ora all’altra, separato, avviato al vagabondaggio della più lunga marcia, spiato da predoni. Non è un pellegrinaggio il cammino a zigzag verso la libertà che non è vacanza ma sistema di leggi fondato su uguaglianze.
Non è metafora il deserto, non ha un doppio fondo di significato. È spazio spalancato senza sapere dove. È labirinto crollato. I Greci ebbero l’edificio architettato da Dedalo, luogo di giravolte, di biforcazioni, disorientamenti a confondere l’uscita.
Gli scippati dall’egitto ebbero i bivacchi dentro il labirinto a cielo aperto, con le razioni di manna e la disciplina incisa su tavole di pietra. S’inoltrarono seguendo la segnaletica celeste. Di notte una colonna di fuoco marciava innanzi a loro. Di giorno una nuvola lunga e stretta a forma di colonna stendeva in terra un’ombra come un tappeto srotolato. Non è mare il deserto, da scrutare le stelle per la rotta. È terra sbriciolata dal vento e dalla siccità, dune da risalire e per approdo un’oasi.
La divinità si manifesta negli isolamenti. La sua voce esplode nell’udito dei destinatari sbigottiti, sillabe solo da loro percepite.
È bene che di mestiere siano pastori, avvezzi a solitudini, orecchie tese ai minimi segnali d’insidia per le greggi.
È andata così con Francesco. Dal tumulto delle armi, delle giostre, delle mischie all’isolamento di prigioniero. Improvvisa la cesura tra il chiasso di prima e il raccoglimento forzato di dopo. Ne esce rigirato come un guanto. Si spoglia, si disereda e inventa la povertà volontaria. Sceglie di essere un principiante di tutto. Si spalanca il deserto che non consente ritorni. Dietro di lui il tempo precedente si è chiuso a serratura come il Mar Rosso dopo il guado asciutto.
Non è rivolta, slancio che presto si esaurisce. È conversione, il più profondo rivolgimento personale. Comporta l’abiura di ogni momento della vita precedente, come per Paolo di Tarso diretto a Damasco. Cade, si acceca, resta in un’anticamera tra chi è stato finora e chi dovrà diventare: da persecutore a protettore, da spada a elemosina.
Enorme il compito di chi s’ispira a Cristo, all’impossibile imitazione.
Eppure: «E sarete santi poiché santo sono io» dice la divinità (Levitico 11,44). Non è un oplà, è il viaggio. Dentro quel futuro «e sarete» c’è la pista da battere di ognuno in un deserto.
Francesco stabilisce la sua regola, una tavola grezza, per abbigliamento un sacco, la dimora scarna. Più della dottrina conta l’esempio. E se intorno ci sono predatori come quelli di Amalek nel Sinai, niente schiere in battaglia ma il dono a loro del pane, per disarmare a mani aperte non a mani armate. Nutrire il lupo che spaventa Gubbio.
La nuova disciplina non si sovrappone al potere delle autorità, né vuole affiancarlo. Se ne vuole privare, rinunciare a qualunque forma di potere. Prima che i filosofi parlassero della volontà di potenza, Francesco praticò la volontà d’impotenza, secessione interiore da qualunque esercizio di autorità.
Perfino la reputazione di santo è una botola pronta sotto il piedistallo. Meglio essere disprezzato in pubblico per disintossicarsi dall’elogio.
Occasione di questo libro e di questa nota è la ricorrenza ultrasecolare dell’anno di morte.
Nel frattempo il corso delle vicende umane non ha intaccato nessuna delle sue parole scritte e delle opere aggiunte. Nel pendolo delle epoche avvengono fasi regressive, favorevoli a spaventapasseri e illusionisti. Dilaga la credulità al posto del credo. A chi soccorre un naufrago è sequestrata la barca.
E se tornasse Francesco? propone il titolo del libro. Ne ho visto tornare uno sul sedile di Pietro. Il suo primo esempio è stato un pellegrinaggio a Lampedusa. In questa tale e quale epoca è più sentita la necessità di chi pratica esempi di fraternità e di rettitudine.
Francesco è la voce di chi esclama: «Nel deserto battete pista di Dio».

Un viaggio reale e spirituale nel cuore del messaggio francescano: in vista dell’ottavo centenario, nel 2026, della morte del Santo di Assisi, Enzo Fortunato, giornalista, saggista e direttore della Comunicazione della Basilica Papale di San Pietro, torna in libreria con E se tornasse Francesco? (San Paolo). Il libro arriva dopo E se tornasse Gesù?, successo da oltre 15 mila copie uscito nel 2021 per lo stesso editore. Frate minore conventuale, padre Fortunato ha diretto la Sala Stampa del sacro Convento di Assisi. Nominato da papa Francesco, presiede il Pontificio Comitato per la Giornata mondiale dei bambini. È direttore editoriale della rivista «Piazza San Pietro».
«Corriere della sera» del 29 ottobre 2025

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