La sua memoria ha una «capacità» di appena novanta minuti. Da dieci anni vive costretto a tenere appunti delle sue giornate, ma nessuno sa i motivi del l’amnesia
di Elena Meli
Si sveglia pensando che sia sempre lo stesso giorno di dieci anni fa come il protagonista del film dei primi anni ‘90 «Ricomincio da capo», Bill Murray, che riviveva continuamente il «groundhog day», il giorno della marmotta. E per orientarsi nel mondo è costretto a ricorrere a espedienti come il personaggio di Memento, la pellicola del 2000 di Christopher Nolan, che usava fotografie, appunti e tatuaggi per ricordare. La storia di William è stata raccontata dal medico che lo ha in cura sulle pagine di Neurocase: the Neural Basis of Cognition, con la speranza di trovare casi simili e capire che cosa abbia provocato questa a dir poco inusuale amnesia.
Un intervento dal dentista
Tutto è iniziato dieci anni fa quando l’uomo, oggi trentottenne, si è sottoposto a un trattamento canalare dal dentista. Un’anestesia locale di routine, un’ora di intervento e poi, da quel momento, nessuna capacità di ricordare oltre novanta minuti: dopo un’ora e mezza la sua memoria si «resetta» e l’uomo non ricorda niente di quanto successo prima, così si sveglia ogni giorno convinto di dover uscire per andare all’appuntamento dal dentista. È consapevole della sua identità, la sua personalità non è cambiata, ma deve tenere ogni giorno un diario elettronico di quanto accade e si circonda di appunti e «tracce» che lo aiutino a capire che cosa gli sta accadendo senza «perdersi». «Non ci sono prove che il problema dipenda dall’anestesia o dal trattamento canalare, perciò non vogliamo che la gente pensi che sia colpa del dentista: non sarebbe etico né corretto, vista la mancanza di evidenze a sostegno di questa ipotesi. Certo dobbiamo tenere conto di quanto accaduto, anche se pensiamo che l’origine del problema risieda altrove – spiega Gerald Burgess dell’università di Leicester, lo psicologo clinico che segue l’uomo “senza memoria” assieme allo psichiatra Bhanu Chadalavada –. Abbiamo deciso di raccontare la storia di questo paziente proprio perché non abbiamo mai visto nulla del genere prima d’ora e non sappiamo come affrontarlo: rendere pubblico il caso potrebbe metterci in contatto con colleghi che abbiano gestito situazioni simili e possano darci aiuto».
Le cause sconosciute
L’obiettivo principale è trovare soluzioni per alleviare le indubbie difficoltà del paziente, ma gli specialisti vorrebbero anche capire perché si sia verificato un incidente così bizzarro. «In letteratura medica sono segnalati pochissimi casi di amnesia anterograda profonda simili a questo, tutti emersi dopo emergenze mediche acute in cui era coinvolta la colonna vertebrale: non abbiamo trovato perciò nessun legame con anestesie o trattamenti dentistici – racconta Burgess –. Per quanto è noto, amnesie gravi sono correlate ad alterazioni visibili nelle regioni cerebrali dell’ippocampo e del diencefalo che però in questo caso non ci sono, per questo stiamo prendendo in considerazione altre ipotesi. Ippocampo e diencefalo sembrano necessari per «trattenere» inizialmente le informazioni, che poi devono essere «fissate» attraverso processi neuroelettrici e neurochimici successivi. Una nostra ipotesi è che il paziente soffra di un deficit della sintesi di proteine specifiche che servono perché le connessioni cerebrali coinvolte nell’acquisizione di memorie possano «ristrutturarsi» e mantenere i ricordi nel lungo termine: lo sospettiamo perché lo stadio di questa sintesi proteica coincide con i 90 minuti dall’evento, oltre i quali l’uomo non ricorda più nulla, e perché il passaggio serve anche per fissare nel tempo memorie episodiche (ovvero quelle di un evento qualsiasi) e procedurali (quelle che servono per compiere un gesto o imparare qualcosa). Il paziente le ha perse entrambe e questo è molto insolito nei “tradizionali” casi di amnesia». Burgess spera che altri medici possano interessarsi al caso e approfondire i meccanismi che potrebbero averlo causato: la speranza è trovare una soluzione praticabile per restituire la memoria al paziente, costretto a vivere suo malgrado come un personaggio da film.
Un intervento dal dentista
Tutto è iniziato dieci anni fa quando l’uomo, oggi trentottenne, si è sottoposto a un trattamento canalare dal dentista. Un’anestesia locale di routine, un’ora di intervento e poi, da quel momento, nessuna capacità di ricordare oltre novanta minuti: dopo un’ora e mezza la sua memoria si «resetta» e l’uomo non ricorda niente di quanto successo prima, così si sveglia ogni giorno convinto di dover uscire per andare all’appuntamento dal dentista. È consapevole della sua identità, la sua personalità non è cambiata, ma deve tenere ogni giorno un diario elettronico di quanto accade e si circonda di appunti e «tracce» che lo aiutino a capire che cosa gli sta accadendo senza «perdersi». «Non ci sono prove che il problema dipenda dall’anestesia o dal trattamento canalare, perciò non vogliamo che la gente pensi che sia colpa del dentista: non sarebbe etico né corretto, vista la mancanza di evidenze a sostegno di questa ipotesi. Certo dobbiamo tenere conto di quanto accaduto, anche se pensiamo che l’origine del problema risieda altrove – spiega Gerald Burgess dell’università di Leicester, lo psicologo clinico che segue l’uomo “senza memoria” assieme allo psichiatra Bhanu Chadalavada –. Abbiamo deciso di raccontare la storia di questo paziente proprio perché non abbiamo mai visto nulla del genere prima d’ora e non sappiamo come affrontarlo: rendere pubblico il caso potrebbe metterci in contatto con colleghi che abbiano gestito situazioni simili e possano darci aiuto».
Le cause sconosciute
L’obiettivo principale è trovare soluzioni per alleviare le indubbie difficoltà del paziente, ma gli specialisti vorrebbero anche capire perché si sia verificato un incidente così bizzarro. «In letteratura medica sono segnalati pochissimi casi di amnesia anterograda profonda simili a questo, tutti emersi dopo emergenze mediche acute in cui era coinvolta la colonna vertebrale: non abbiamo trovato perciò nessun legame con anestesie o trattamenti dentistici – racconta Burgess –. Per quanto è noto, amnesie gravi sono correlate ad alterazioni visibili nelle regioni cerebrali dell’ippocampo e del diencefalo che però in questo caso non ci sono, per questo stiamo prendendo in considerazione altre ipotesi. Ippocampo e diencefalo sembrano necessari per «trattenere» inizialmente le informazioni, che poi devono essere «fissate» attraverso processi neuroelettrici e neurochimici successivi. Una nostra ipotesi è che il paziente soffra di un deficit della sintesi di proteine specifiche che servono perché le connessioni cerebrali coinvolte nell’acquisizione di memorie possano «ristrutturarsi» e mantenere i ricordi nel lungo termine: lo sospettiamo perché lo stadio di questa sintesi proteica coincide con i 90 minuti dall’evento, oltre i quali l’uomo non ricorda più nulla, e perché il passaggio serve anche per fissare nel tempo memorie episodiche (ovvero quelle di un evento qualsiasi) e procedurali (quelle che servono per compiere un gesto o imparare qualcosa). Il paziente le ha perse entrambe e questo è molto insolito nei “tradizionali” casi di amnesia». Burgess spera che altri medici possano interessarsi al caso e approfondire i meccanismi che potrebbero averlo causato: la speranza è trovare una soluzione praticabile per restituire la memoria al paziente, costretto a vivere suo malgrado come un personaggio da film.
«Corriere della sera» del 12 agosto 2015
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