10 ottobre 2013

Perché (ora) sono inutili più fondi alla scuola

Stipendi bassi e poco peso alla meritocrazia: incapaci di attrarre gli insegnanti migliori
di Andrea Ichino
L’Italia investe molto nell’istruzione, ma spende male. Studiamo più ore e siamo meno bravi degli altri
I risultati della prima indagine Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competence) sono una doccia fredda per chi pensa ancora che la scuola italiana sia, nonostante tutto, migliore di quella di altri Paesi.
Quando il confronto non si basa su aneddoti («mia figlia ha frequentato un anno all’estero ed era la piu brava ...»), ma sui risultati di questionari uguali in 24 Paesi e ai quali hanno risposto campioni rappresentativi della popolazione di età compresa tra i 16 e i 65 anni, il quadro è disastroso. Siamo in fondo alla classifica sia per le competenze linguistiche sia per quelle matematiche. E il disastro riguarda non solo i giovani ma anche gli anziani, a dimostrazione del fatto che i problemi della scuola italiana derivano da lontano, dal suo impianto dirigistico e centralizzato che deve essere radicalmente cambiato. Non continuiamo a illuderci sulle virtù del liceo classico!
Agli italiani viene invece costantemente detto che è solo un problema di risorse destinate alla scuola, ma i dati Ocse (Education at a Glance ) esaminati dal Rapporto del Forum «Idee per la crescita» (vedi e-book del Corriere della Sera) mostrano una realtà diversa.
Nel 1999-2000 la spesa annua per studente era maggiore in Italia rispetto alla media dei Paesi Ocse in tutti e tre i livelli di istruzione: pre-scolare, primaria e secondaria. Ad esempio nel caso della secondaria, lo Stato italiano spendeva 7218 dollari per studente mentre la media Ocse era 5957 dollari (e il confronto è in termini reali, ossia a parità di potere d’acquisto della moneta). È vero che i governi Berlusconi hanno tagliato pesantemente la spesa per l’istruzione e lo hanno fatto nel modo peggiore possibile, ossia colpendo alla cieca non solo chi meritava di essere punito, ma anche chi con fatica e senza riconoscimenti teneva in piedi la scuola italiana. Tuttavia, nel 2008-2009 la spesa per studente secondario italiano era comunque di 9112 dollari, di poco inferiore alla media Ocse di 9312. E in ogni caso, non sono certo questi tagli la causa della pessima performance dei quarantenni e cinquantenni nella indagine Piaac.
Ha ragione chi nota che lo Stato italiano spende poco per la scuola in proporzione al Pil e in proporzione alla spesa pubblica totale, ma quello che conta per valutare se le risorse sono scarse o sufficienti è la spesa per studente. E il motivo per cui questa spesa, nonostante tutto, è alta in Italia deriva dal forte calo demografico che ha caratterizzato il nostro Paese. Lo Stato italiano non spende poco per i suoi studenti, spende male! E per questo la decisione recente del governo Letta di aumentare i finanziamenti alla scuola, non è affatto rassicurante. Se prima non impariamo a spendere bene, è inutile versare più risorse nella scuola: sarebbe come trasportare acqua con un secchio bucato.
Si sente però anche dire che siano pochi gli insegnanti in Italia o scarse le ore di insegnamento. Anche in questo caso i dati Ocse presentano una realtà diversa. Nella scuola secondaria c’erano in media 10,3 studenti per insegnante in Italia nel 1999-2000 contro una media Ocse di 14,3. Le cifre corrispondenti per il 2009-2010 erano 12 e 13,8. Le ore obbligatorie di insegnamento erano 1020 in Italia nel primo periodo contro una media Ocse di 935 (1023 e 899 nel secondo periodo). I dati sono simili per gli altri livelli di istruzione.
Se le risorse economiche, gli insegnanti e le ore di insegnamento per studente non sono inferiori alla media Ocse, perché allora siamo ultimi nella indagine Piaac?
Viene naturale chiedersi se lo Stato sia in grado di attrarre i laureati migliori alla professione di insegnante dando loro l’autonomia di cui hanno bisogno per disegnare meglio l’offerta formativa e spendere in modo più efficace le risorse.
Gli insegnanti italiani sono pagati poco in rapporto al Pil pro capite, rispetto a quanto sono pagati in media gli insegnanti nei Paesi Ocse. E a questo si aggiunge una lunga gavetta di precariato in cui conta soprattutto l’anzianità e non il merito, per diventare docenti. È difficile pensare che in questo modo si possano attirare i laureati migliori (soprattutto nelle materie scientifiche e tecniche) a meno che non si tratti di persone che abbiano una vera passione totalmente disinteressata per questo mestiere (e per nostra fortuna ce ne sono).
Eppure, ad ogni concorso per la scuola il numero di candidati è sempre largamente superiore al numero di posti disponibili. È un fatto per certi versi sorprendente, ma è facile ipotizzare che non siano i migliori laureati a essere attratti da questa professione, che paga poco ma chiede anche poco (l’orario di lavoro di un insegnante italiano è inferiore alla media Ocse) e assicura il posto fisso.
All’iniquità di una situazione che punisce chi lavora con impegno e premia invece chi la prende come una comoda rendita, bisogna rapidamente porre fine. Lo Stato italiano ha ampiamente dimostrato di non essere in grado di farlo. È bene allora che, pur conservando il ruolo di finanziatore e regolatore delle scuole pubbliche, lasci ad altri il compito di gestirne le risorse umane e finanziarie.
«Corriere della Sera» del 10 ottobre 2013

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